FILOSOFIA SALVAVITA

E’ il titolo del libro postumo del filosofo Giorgio Girard, edito a cura dei figli Cristina e Claudio che, come spiegano in una nota in esergo: “Abbiamo voluto rispettare il desiderio di nostro padre, espresso durante la sua malattia, di pubblicare questo ultimo suo lavoro. Giorgio Girard ha lavorato a questo libro fino  alla fine dei suoi giorni con impegno e ricerca costante. Nel pubblicarlo vogliamo onorare la sua memoria di intellettuale e studioso, nella speranza che il suo pensiero possa rimanere vivo in chi lo ha seguito e nei suoi lettori”.

Il sottotitolo che, come il titolo, ha come sfondo un acquerello di Cristina Girard che raffigura una specie di iceberg che si erge sulla linea dell’orizzonte di una terra desolata dove si scorge l’ombra minuscola di uomo in cammino non si sa verso quale meta, ci dice su quali grandi temi vertono le ultime riflessioni di  Giorgio Girard: Eterno tempo e diari dell’anima. Come specifica egli stesso nella Prefazione: “Il titolo di questo libro richiede fin da subito di uscire da una considerazione normale delle cose di questo mondo che tutti abitiamo, per “aggredire” il tempo e l’eterno nel quadro di quanto possiamo chiamare metafisica”. Come dire che questo  è un libro  per chi ha una formazione filosofica, non, ad esempio, per chi crede che la realtà corrisponda a quello che percepiamo con i nostri sensi, cioè per chi non esce dal senso comune e non si interroga sulla validità dei propri pensieri e delle proprie credenze “non interrogate”, insomma per chi è fermo allo stadio del cosiddetto “realismo ingenuo”. Precisa ancora Girard: “Il termine ‘metafisica’ ha a che fare con l’ordine e la distinzione che ogni ordine comporta, e dunque un Due (giusto/sbagliato ecc.) che assesta  i giudizi e le regole. Tuttavia, per capire bene il titolo occorre spiegarci  la metafisica secondo la versione che le è più propria, cioè  quella di un andar oltre, di un entrare nella considerazione di quanto è al di là della ‘fusis’, cioè di tutto il ‘naturale’ che ci si offre alla vista, o appunto di tutto quanto è per noi vita e mondo offertoci nella sua più piena e scontata visibilità”. E, ovviamente, non solo nella visibilità ma anche negli schemi interpretativi incorporati nel linguaggio che adoperiamo e da cui siamo nello stresso tempo adoperati, vale a dire nei paradigmi intesi come modelli  tanto teorici quanto pratici tramessici dalla cultura e dalla tradizione in cui siamo immersi fin dalla nascita e che, quindi, condizionano, per lo più inconsciamente, i nostri pensieri e i nostri comportamenti. In quest’opera postuma ritroviamo molti dei paradigmi già interrogati dall’Autore nei suoi precedenti lavori tanto che possiamo considerarla come il suo testamento spirituale, oltre che una “summa” di quanto è venuto elaborando nel corso della sua vita “di intellettuale e di studioso” attento indagatore non solo dei massimi problemi della filosofia teoretica e pratica ma anche dei fenomeni più attuali –  spesso sconcertanti – di costume e di cultura (o sottocultura) delle masse nella nostra epoca dominata dalla tecnica e  dai media onnipervasivi come la televisione e i social network, in cui la realtà virtuale sembra più vera di quella reale. Sempre nella sua Prefazione, Girard ci fornisce le chiavi interpretative di questo suo testo di cui, come i precedenti,  tutto si può dire meno che sia di facile lettura: “Se dunque diamo per plausibile questo oltre, se noi abbiamo qualche sentore che spingerci  oltre quella che allora potremmo ‘svilire’ come pura ‘apparenza’, potrebbe avere un valore per noi, questo essere ‘oltre la natura’ della metafisica ci apre un campo di considerazioni atte a farci riflettere  sul tempo e sull’ eterno”. Questo tema metafisico  ma anche teologico e psicologico  (il pensiero di Giorgio Girard si è sempre mosso sul crinale che corre tra filosofia, teologia e psicologia) è già  stato oggetto di riflessione in Monos: liberare la morte dalla paura. Viaggio ai dintorni del nichilismo e dell’eterno , Rubbettino, 2015; qui l’Autore riprende il filo del suo discorso sul tempo e sull’eterno dichiarando la sua “personalissima impressione – da filosofo in qualche modo ‘non patentato’ in una formazione ‘ad hoc’ – che la storia della filosofia registri la metafisica in una sua prima fase molto accosta a un eterno che non lasciava ancora sussistere  pienamente il tempo”. Ma che cosa dobbiamo intendere con l’espressione “la metafisica in una sua prima fase”?  Non può che essere la fase in cui la metafisica si occupa delle entità che rimangono identiche a se stesse, che non nascono e non muoiono mai, invisibili e non conoscibili se non dall’intelletto, quindi esistenti, appunto, oltre o al di là o al di sopra della natura, come l’ essere perfettamente sferico eterno e immobile di Parmenide o le  idee platoniche o il motore immobile di Aristotele: “Perché se l’eterno consiste in un presente destinato a durare sempre e che quindi può essere indicato come Uno, il tempo introduce invece quella spaziatura appunto temporale del prima e del dopo , e questo Due permette al mondo di funzionare nella sua logica ordinata, in una metafisica che ritorna allora a sottolineare l’importanza della ‘distinzione’”

Ma questo passaggio dall’Uno al Due non è un passaggio indolore: “Salvo in casi particolari, come nella ‘distrazione’, la vita si svolge fuori dall’uno segnato  dal puro presente, si svolge nella peripezia del prima e del dopo”. E questa peripezia nel tempo ha un inizio e una fine, che è il destino individuale e collettivo di tutti gli esseri viventi e significa che anche il tempo della storia e del mondo ha un inizio e avrà una fine, o ritornando all’Uno da cui proviene o al nulla eterno di cui parlano poeti come Foscolo e Leopardi e filosofi come Heidegger e Sartre.  Forse è per questo che la filosofia, come osserva l’ Autore, ha “stentato a passare dall’ eterno al tempo “, passaggio su cui insiste, invece, in questo libro, come specifica il suo sottotitolo,  che accenna al “confronto tra un eterno che costituisce uno sfondo ‘invisibile’ e un tempo che esplica il ‘visibile’ osservabile nel tempo particolare che stiamo vivendo assunto come nichilismo”. Ed ecco l’ingresso in scena di un altro tema ricorrente nel pensiero di Girard, quello del nichilismo caratterizzante questa nostra epoca cosiddetta  postmoderna o della post-metafisica, dunque anche della post- verità, tema  discusso specificatamente in Nichilismo bifronte. Elzeviri sullo Spirito del Tempo , Mimesis, 2018, più volte richiamato anche in queste pagine postume. L’aggettivo “bi-fronte” allude alla possibilità che dalla messa in discussione della realtà così  come ci appare e di tutti i valori sui quali si fonda(va) la morale corrente nascano nuovi paradigmi orientati all’avvento  di una nuova etica e di una nuova teologia  non più colpevolizzante come quella basata sull’ escludente aut aut  della logica Aristotelica e scolastica  ma sulla coincidentia oppositorum di Nicola Cusano, dunque dell’includente et et.

“Su questo nostro tempo nichilistico  ci si sofferma secondo fattezze diverse nei vari capitoli. Vari sono i richiami che configurano le specificità tipiche del mondo che abitiamo. Vi compare per esempio la pubblicità , la quale si può cogliere come uno degli aspetti normali della nostra vita sociale, oppure, come è appunto il caso se considerata come espressione tipica di nichilismo – come fattore che – in altro modo rispetto alla tecnica che costituisce peraltro la determinazione suprema del nostro presente – è soverchiante e onnipresente al punto da caratterizzare radicalmente  e quindi renderci possibile questo stesso nostro mondo”. Cioè un mondo  ridotto a mercato globale e dell’uomo stesso ridotto alla stregua di una merce acquistabile e spendibile come qualunque altra in questo sistema economico-politico governato dal profitto, vale a dire dal Dio denaro, in cui anche le idee possono essere vendute e comprate sotto forma di libri, di opere d’arte, di palinsesti, di film tanto d’autore come “commerciali” (quando non pornografici); un mondo in cui, malgrado i dichiarati principi universali dei Diritti umani e dell’ uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla  Legge, l’unica legge veramente in vigore è ancora quella della giungla, per la quale i più forti e i più ricchi  sottomettono i più deboli e i più poveri, come stiamo vedendo anche in questo nuovo orrendo tempo di guerra al confine orientale della mai veramente attuata Unione Europea, in cui, come sempre succede in tempo di guerra (e non solo) verità e menzogna si scambiano continuamente le parti e tutto, vittime comprese, diventa propaganda contro il nemico; ciò detto, quella che vediamo ogni giorno in televisione non è una fiction ma una guerra vera, con morti e feriti veri, con vere bombe, con veri profughi, con vere macerie, veri sfollati e veri profughi.

Giorgio Girad

Purtroppo  verità inoppugnabili sono il bagno di sangue di civili ucraini , gli edifici bombardati, tra i quali anche asili,  scuole, università e ospedali, ma anche il bagno di sangue di giovani soldati russi mandati criminalmente allo sbaraglio in una guerra  della quale  non sembrano avere chiare né la necessità né le vere motivazioni (sempre che le abbia chiare lo Stato Maggiore  dell’Armata Russa e lo stesso Putin). Ma torniamo alle riflessioni in tempo di pace (apparente) di Girard sulla onnipervasiva pubblicità che, come stiamo constatando,  imperversa ossessivamente ovunque nei media  anche durante l’infuriare della guerra: “Non riusciamo a concepire un mondo senza pubblicità, a differenza del tempo della metafisica, quando la pubblicità ‘era un di più che ornava la vita’. L’arte vi si accostava , e il ‘design’ ne era espressione. Oggi i pubblicitari mantengono l’apparenza di ‘creativi’, racchiusi però assai di più  nel raggio dell’Uno del nichilismo connotato dall’ ‘a-moralmente utile’. Oltre gli orpelli linguistici adottati per coprirne l’essenza, il ‘tempo-mondo’ che abitiamo si caratterizza ampiamente come abbandono del tessuto etico, pur largamente ipocrita, del ‘tempo-mondo’ della metafisica”. L’ “Uno del nichilismo” va qui inteso, credo (purtroppo non posso chiederne conferma all’Autore), come unico paradigma interpretativo del tempo in cui viviamo. Il concetto di  tempo, per Girard, è connesso al concetto di mondo, ragione per cui “Il concetto di ‘mondo’ come tempo che pensa per noi ricopre dunque una funzione importante nelle titolazioni e nei testi di questo libro. . E’ un termine rinforzante l’idea base secondo cui il tempo è pensato come soggetto”. Ovviamente come soggetto collettivo e impersonale che “rappresenta” quello che Hegel chiama Zeitgeist cioè lo “Spirito del tempo” in cui i soggetti singoli, cioè tutti noi, vivono necessariamente, lo sappiano o non lo sappiano.

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Questo Spirito del tempo o dei tempi, ci dice l’Autore, è rappresentato dallo “ ‘smartphone’; così come ha carattere temporale, cioè interno alla configurazione nichilistica di ‘questo nostro attuale mondo’,  l’’indigenza strutturale’ che connota uno dei capitoli (“Mobilitazione  totale e indigenza strutturale” che ha come beneaugurante  sottotitolo “Il ‘dopo coronavirus’ potrebbe dar luogo a una prima impensabile  grande domanda collettiva che tutto travolge di quanto c’era” , che troviamo nella Parte seconda del volume)”. Sempre nella sua Prefazione, l’Autore ci fornisce alcune indicazioni sui criteri che ha seguito nella stesura di questo suo ultimo testo (anche nel senso, come s’è detto, di testamento) e una traccia interpretativa per il lettore: “In linea generale in questo libro vige una sorta di  tautologia per un tema che intrinsecamente implica una  ridondanza consona alla sfuggenza dell’argomento, in certo modo ‘indescrivibile’  per definizione”. (Come si vede Girard non era alieno da un certo qual preziosismo stilistico). Per questo motivo “Lo si può prendere da più parti per un libro ‘interminabile’  ove ‘aggiungere’ è sempre possibile”. Come in un’opera aperta agli interventi del lettore. A questo proposito, l’Autore ricorda un episodio in cui  “Un giovane amico al quale  avevo dato tempo prima un libretto che riportava  alcune mie conferenze tenute al nostro cenacolo di Finale Ligure, denominato Domenica Est , mi disse pur parlando d’altro ‘se è un mattone, nessuno lo legge’. Non ho capito se alludesse”. A questo punto, “dopo aver parlato a lungo del sottotitolo di questo libro – conclude Girard – veniamo al titolo. Filosofia salvavita ha il senso del dire che anche scrivere mattoni può servire a vivere, e anche con  un certo slancio, anche se ‘il mattone’ è riconoscimento di una strutturale precarietà di vita degli umani. Essenziale però  è avere un pur circoscritto raggio di ascoltatori dialoganti, ove riluce quella singolarità che ci fa pensare , per esempio,  a un Kierkegaard, e. perché no, a un Socrate”. I lettori sono avvertiti. (Continua)


Fulvio Sguerso

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