Filosofia

APPUNTI DI PRATICA FILOSOFICA (IV)

APPUNTI DI PRATICA FILOSOFICA (IV)

Gli stoici Zenone e Crisippo sostenevano la teoria secondo cui tutto avviene per fato con questo paragone: quando a un carro si attacchi un cane, se segue volontariamente , segue pur essendo trascinato, e compie insieme con l’adeguarsi alla necessità anche un atto di libertà. Se invece si rifiuta di seguire, sarà semplicemente trascinato. Lo stesso può dirsi degli esseri umani: anche se non vogliono seguire, saranno puramente e semplicemente costretti ad andare verso ciò ch’è scritto dal destino.” (Ippolito, Refutationes, in Stoici antichi, a cura di Margherita Isnardi Parente, UTET, 1989).

La questione dei limiti o, addirittura, dell’esistenza della nostra libertà è una di quelle questioni che si ripropongono quasi senza soluzione di continuità nel corso di tutta la storia del pensiero. Ora, il fatto che se ne continui a discettare parrebbe un argomento a favore della libertà, se non altro della libertà di pensiero; ma è a tutti evidente che l’uomo (e la donna) non è solo pensiero, anzi, si dà pure il caso che talora, da certi uomini e da certe donne, il pensiero, come la libertà, sembri persino assente: come accade, ad esempio, in certe gravi patologie della personalità. Lasciando per ora i casi clinici agli specialisti, se riflettiamo sulla nostra esperienza ci renderemo conto che la nostra libertà di agire non è assoluta ma relativa, cioè condizionata da fattori indipendenti dalla nostra volontà, come il sesso, il temperamento, la salute, le competenze acquisite o non acquisite, la situazione socioeconomica, il tipo di regime politico in cui ci troviamo, e, non da ultimo, quel fattore imponderabile chiamato “caso” o “fortuna” o “sorte” (se non vogliamo scomodare la Provvidenza). In altri termini, le nostre scelte avvengono sempre in un determinato momento della nostra vita e in un determinato contesto storico e geografico, e non è che possiamo uscirne fuori perché magari vorremmo essere altrove o vivere in un’ altra epoca. E tuttavia, se le nostre scelte fossero per così dire tutte obbligate, e quindi le nostre azioni predeterminate o dettate da qualche Grande Fratello che amministrasse e regolasse la nostra vita secondo i suoi criteri e i suoi scopi, non saremmo più noi a scegliere ma lui, e non saremmo più uomini bensì marionette mosse dall’altrui volontà. E sarebbe la fine, oltre che della nostra libertà, anche di ogni nostra eventuale colpa o peccato: la responsabilità di quello che facciamo o non facciamo ricadrebbe tutta sul burattinaio, e non saremmo più imputabili di nulla, se non di non esserci ribellati; ma come potremmo ribellarci senza un minimo di volontà propria e di autonomia? Tolta la libertà sono tolti anche il coraggio e la viltà, il valore e il disvalore, il merito e il demerito, il vizio e la virtù; insomma, senza la libertà sarebbe impensabile qualunque giudizio morale, e la morale stessa non avrebbe senso. Ma è mai possibile, con un atto di libera volontà, rifiutare la libertà?

Certamente, a patto di suicidarsi: il suicida rifiuta, con un atto di libertà, la libertà, e con lei ogni senso possibile alla propria esistenza: usa la libertà per negare la libertà, e in tal modo l’afferma nel momento stesso in cui la nega. E una volta rifiutata, con la libertà, la vita, quel che è stato è stato, e anche il futuro è come fosse passato, e nel passato non si può più agire; si può invece reagire al passato ma solo nel futuro che si fa presente, nella diversità del non ancora in cui continuamente precipita il non più. Esistere significa aprirsi al futuro nel quadro determinato dal nostro passato: il nostro agire non è mai irrelato, non avviene nel vuoto, non comincia da zero, ma interagisce con il nostro essere e con l’agire altrui. E nondimeno, se avessero ragione gli stoici Zenone e Crisippo, se tutto fosse già scritto, o meglio detto (“fatum”, da for, faris, fatus sum, fari) che cosa possiamo veramente scegliere oltre a girarci e rigirarci nel letto, come infermi, ora da un lato ora dall’altro? Eppure ci illudiamo spesso e volentieri di dare forma alla nostra vita e di essere gli artefici della nostra fortuna (o delle nostre disgrazie). Illusioni o possibilità effettive? Certo è che non possiamo non agire in qualche modo, cioè non possiamo stare al mondo senza scegliere come starci in un modo o nell’altro. Anche qualora decidessimo di lasciarci andare alla deriva, lasciassimo cioè decidere al caso il nostro destino, non potremmo neanche in questo caso sottrarci a ciò che è necessario che accada. E che cosa è necessario che accada?

Prima o poi dovremo lasciare questo mondo, prima o poi dovremo accettare la nostra morte (o sorte) che ci segue come un’ombra fin dal momento della nostra nascita. Per questo, come diceva Montaigne, è bene prepararsi per tempo. Allora qualcosa possiamo scegliere? Certo: come prepararci a morire. Non sarebbe meglio scegliere invece come prepararsi a vivere? Perché, non stiamo forse già vivendo? Intendo a non vivere come cani legati al carro del destino.

Fulvio Sguerso

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.