FERITE ANCORA APERTE

L’analogia della storia  con il corpo umano è implicita quando si parla di “ferite ancora aperte” come nel libro di Paolo Mieli Ferite ancora aperte. Guerre, aggressioni e congiure , Rizzoli, 2022; e siccome non si dà corpo umano senza psiche, le ferite non sono solo corporali ma possono essere anche psichiche e in tal caso prendono il nome di “traumi” (che in greco significano appunto “ferite”). Ma le ferite corporali, primo o poi (salvo gravi patologie ematiche), si rimarginano, quelle psichiche rimangono per sempre, anche se non più coscienti, rimangono però nascoste nell’inconscio, come ci ha insegnato il dottor Freud.

Ma l’analogia regge fino a un certo punto: la vita umana, come è scritto nel Salmo 90, dura quanto il giorno di ieri che è già passato o come un turno di guardia nella notte, mentre la storia, come un giorno è cominciata, un altro giorno   anche lei finirà, ma non sappiamo quando e, dal nostro limitato punto di osservazione, sembra che  duri in eterno. E così, riguardo al passato, al presente e al futuro il nostro sguardo, come la memoria, è per forza di cose, più o meno limitato. Per fortuna (o, secondo chi non ama ricordare, per disgrazia) abbiamo quelli che possiamo definire i professionisti della memoria, cioè gli storici. Paolo Mieli è appunto uno storico, oltre che un giornalista di lungo corso, autore di saggi come Storia e politica. Risorgimento, fascismo e comunismo , 2001; Le verità nascoste.Trenta casi di manipolazione della storia , 2019; Il tribunale della storia. Processo alla falsificazione ; 2021. Questa sua opera sulle ferite ancora aperte   è suddivisa in tre sezioni: “Lacerazioni mai rimarginate”, “Traumi quasi invisibili” e “Squarci lontani”. La tesi di fondo che tiene insieme queste tre sezioni è che rimuovere i traumi e le ferite più dolorose inferte nel corpo della storia (e quindi in quello di tutti noi) tanto più sanguinano quanto più non vogliamo vederle e quanto meno le affrontiamo per quello che sono, senza raccontarci delle favole consolatorie. Qui vale di nuovo l’analogia con il corpo e la psiche di ciascuno: non è nascondendo la polvere sotto il tappeto che possiamo tenere la casa pulita o evitando di guardaci allo specchio che possiamo estirpare le eventuali verruche dal nostro volto. Non si tratta, sia chiaro,  di rimanere, come si dice, prigionieri del passato, ma di prendersi cura anche dei ricordi che vorremmo dimenticare, medicando le piaghe dell’anima senza la pretesa di guarirle completamente. Certe piaghe sono insanabili, purtroppo, e bisogna prenderne atto.

Vito Mancuso

Come dice l’autore: “Le ferite del passato non si cicatrizzano mai. Niente può considerarsi definitivo per quel che attiene alla guarigione, più o meno apparente, delle lesioni prodottesi anni, decenni, secoli, addirittura millenni fa”. Sembra proprio rispondere – sia detto per inciso –  a queste parole di Paolo Mieli il titolo dell’intervento che il teologo Vito Mancuso terrà domani, primo ottobre, alle 10, a Torino Spiritualità: “Balsami per molte ferite: Etty Hillesum e Albert Schweitzer”, anticipato su La Stampa  di oggi, 29 settembre. Il lavoro del teologo riguarda la cura e la salvezza o dannazione  delle anime mentre quello  dello storico consiste, come ci ha insegnato il grande medioevalista francese Marc Bloch, nel connettere il presente al passato e il passato al presente, e di spiegare gli avvenimenti  di oggi non solo con quelli di ieri, ma anche dell’altro ieri e dell’altro altro ieri e così via, per quanto è possibile farlo: la storia è certamente una scienza, ma non una scienza esatta come la matematica.

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Nella prima sezione del suo libro Mieli affronta la questione scottante della guerra russo-ucraina tutt’ora in corso al netto della propaganda del Cremlino (che i russofili di casa nostra riprendono alla lettera per contrastare, dicono, quella occidentale tutta schierata con Zelensky e questo in nome del libero pensiero. Mah!), ricostruendo le vicende storiche dell’Ucraina e smentendo, tanto per cominciare, la tesi storiografica di comodo sostenuta da Vladimir Putin secondo la quale l’Ucraina, come entità politica e nazionale, non è mai esistita. Questa tesi farlocca chiaramente funzionale alla politica imperialistica del nuovo Zar, rientra pienamente nel cosiddetto uso politico della storia manipolata, per lo più nei regimi autocratici e totalitari, per giustificare la repressione del dissenso interno o, come in questo caso, l’aggressione di un Paese confinante autonomo e sovrano. Allo stesso modo rientrano nell’uso politico della storia le censure e le omissioni riguardanti vicende infamanti dolosamente rimosse come il lungo e colpevole silenzio dell’Urss che occultò per oltre vent’anni il genocidio per fame del 1932-33 di cinque milioni di ucraini. Grazie al primo saggio del volume, le cause medesime della guerra russo-ucraina ci appaiono meno  incomprensibili di quanto sembrano a prima vista. Mieli ricorda che, tre giorni prima di entrare in Ucraina con i carri armati, Putin ricostruisce i fatti che hanno provocato l’attacco partendo, anziché agli otto anni di guerra civile nel  Donbass, risalendo alla creazione dello Stato ucraino da parte dell’Unione Sovietica dopo la rivoluzione d’Ottobre. Secondo la ricostruzione putiniana la guerra in corso non sarebbe cominciata nell’ultimo ventennio, ma addirittura nel 1917, quando Lenin consentì la nascita della Repubblica Ucraina.

Paolo Mieli

Da quel momento, prima sotto Stalin, poi sotto Kruscev, in Ucraina sarebbe nata quella catena di scontri, carestie, genocidi, moti di piazza, disordini che avrebbero portato agli accadimenti di oggi. Sta di fatto che Putin aveva pianificato da tempo l’invasione dell’Ucraina, tanto è vero, osserva Mieli, che la Corte Suprema russa, nel dicembre del 2021, ha sciolto Il Memorial International, fondato tra gli altri dissidenti e all’inizio presieduto dal premio Nobel  Andrej Sacharov, che conservava, a proposito di ferite ancora aperte, la memoria dei crimini contro l’umanità commessi  in epoca staliniana e sovietica, con la chiara intenzione di assolvere l’Unione Sovietica da parte di un ex esponente del Kgb e di costruirsi un alibi in vista dei propri fini imperialistici. Naturalmente non basta rifarsi una verginità per far sparire le lacerazioni e le cicatrici rimaste sul corpo della storia e destinate a sanguinare fino a quando qualcuno userà e oserà manipolare riscrivere il passato a fini di potere. Questo non vale solo per l’oggi: la storia è piena, ci ricorda Mieli, di ferite ancora aperte: dal colpo di Stato oligarchico ad Atene, alla congiura e all’assassinio di Giulio Cesare, passando per i delitti nella Firenze rinascimentale e le spedizioni dei gesuiti in America Latina, e poi alle ferite ancora sanguinanti dei Fratelli Bandiera e di Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, e poi alla morte dell’aspirante rivoluzionario Giangiacomo Feltrinelli, per citare solo alcune delle tragiche vicende narrate nel libro. La lettura del quale tutto può essere meno che consolante, a conferma dell’idea gramsciana che la storia è sì maestra, ma non ha scolari.

Fulvio Sguerso

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4 thoughts on “FERITE ANCORA APERTE”

  1. C’è qualcosa che non comprendo. Questa settimana si elogia un giornalista o scrittore, non si sa definirlo, come Paolo Mieli che in più di un’occasione ha scritto e parlato per ridimensionare il valore e il significato della resistenza

    1. Sergio, una volta di più mi gratifica della sua attenzione, ma sempre con intento polemico. Punto primo: dove ha visto l’elogio? Condividere una documenta ‘analisi storiografica significa elogiarla? Forse che lei ha qualcosa da obiettare alla tesi di fondo di Mieli? Preferirebbe un Mieli filorusso? Non si sa come definirlo, se giornalista o scrittor? Per lei non si può essere insieme giornalisti e storici, e magari anche scrittori? Mi faccia capire. Quanto al ridimensionamento della Resistenza (di nuovo mi costringe a correggerla: la Resistenza al nazifascismo richiede la maiuscola, altrimenti ci si comporta come il prof. Lisorini che scrive appunto “resistenza” e “costituzione” con la minuscola, tanto per rimarcare la sua posizione antisistema e nostalgica) non mi risulta che Mieli sia annoverato fra gli storici “revisionisti” ; ragione per cui se avesse la cortesia di specificare e circostanziare meglio questa sua affermazione e in che senso avrebbe ridimensionato il valore della Resistenza, glene sarei ancora una volta grato. Sa, non si finisce mai di imparare. Intanto la saluto cordialmente.

    1. Certo, se non si studia non si impara e per imparare bisogna leggere (e ascoltare) molto. Ma questo vale per chiunque, come se le rispondessi con “Beatus homo qui invenit sapientiam”. Sennonché, dopo questo scambio di citazioni latine ne sappiamo quanto prima. Di nuovo, lei evita di rispondermi sul merito. Credo che , a proposito di Mieli, lei confonda la giusta critica che muove a una storiografia edulcorata della Resistenza, con il “ridimensiamento” dei suoi valori, ma le assicuro che Mieli non si è mai sognato di metterli in discussione. Se non mi crede può visionare il video Le lezioni di Paolo Mieli : “Uniti per la libertà. Il 25 aprile in 100 secondi” Buona visione. Un cordiale saluto da Fulvio Sguerso

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