EURO SI/NO?

EURO SI/NO?

EURO SI/NO?

Con l’approssimarsi delle elezioni europee si moltiplicano i dibattiti, con tanto di sondaggi, sull’eventuale uscita dalla moneta unica. Cercherò qui di esporre perché il quesito sia, a mio avviso, mal posto.

Il nocciolo del problema, insomma il punto qualificante, è la sovranità monetaria, correttamente invocata da molte parti; le quali pertanto invocano ipso facto il ritorno alla lira e ad una Banca d’Italia di nuovo abilitata a stamparla. Va puntualizzato però che un semplice ritorno allo status quo ante non risolverebbe il problema, se non con un’aggiunta fondamentale: che la moneta diventi pubblica, anziché privata, come oggi paradossalmente è. Dirò di più: se l’euro fosse una moneta pubblica, non servirebbe tornare alla lira. Perché ciò accada, tuttavia, la premessa indispensabile sarebbe che l’Europa fosse un’unica entità politica. Altrimenti l’euro sarebbe in balia delle solite nazioni forti, a scapito delle più fragili. Poiché il sogno di un’Europa politicamente una è lontana almeno cent’anni, questo scenario non merita alcuna attenzione.


Assodato quindi che l’unica moneta pubblica possibile a breve sia la lira (o come altro la si voglia chiamare), ciò implica che sia pubblica anche l’ente di emissione, cioè Bankitalia SpA, che dovrebbe tornare ad essere realmente la Banca d’Italia, cioè degli italiani, e non di un clan di banche private. Ciò implicherebbe che le sue banconote rimostrerebbero il logo “Repubblica Italiana” al posto della serie di anonime sigle che oggi appaiono sugli euro. La BdI diventerebbe così un dipartimento del Ministero del Tesoro, che sovrintenderebbe all’emissione di moneta secondo le necessità della nazione italiana, anziché in base ai bisogni delle banche private, come ha fatto sinora la BCE.

Annullato così lo scellerato regalo di nostri passati e presenti politici alla finanza privata, andrebbe altresì sistemato l’ancor più grave bubbone della creazione di denaro elettronico da parte delle banche commerciali, che coi loro prestiti hanno creato dal nulla moneta-debito per la bellezza di oltre il 90% del denaro circolante, dichiarandosene, in base a leggi vergogna, a pieno titolo creditrici. Bisogna togliere alle banche questa inaudita facoltà, abolendo la riserva frazionaria, ossia il meccanismo perverso dell’effetto leva, che glielo consente; con ciò ponendo fine all’assurda situazione attuale che vede la collettività interamente debitrice alle banche private, ossia ad una serie di computer abilitati ad emettere moneta legale senza nulla aver fatto per dichiararsene proprietarie all’atto della consegna, pomposamente chiamata “prestito”. In un’economia degna di questo nome, si presta solo ciò che si ha: non si mettono in circolo assegni scoperti, che è proprio quello che fanno i falsari, senza la loro contestuale produzione di ricchezza.


Sacrificarli per…

 Se quanto appena detto può sembrare una forzatura, si consideri che un deposito bancario nasce all’atto stesso di erogazione di un mutuo, senza che si tolga un solo euro dai depositi degli altri clienti della banca: nasce dal nulla, e l’assegno circolare che la banca consegna al cliente è quindi scoperto (così come il bonifico che il cliente è autorizzato a fare). Scoperto ma accettato dalle altre banche, in un gioco di sponda. Ciò non sarebbe possibile se, anziché aver privilegiato ad oltranza la moneta elettronica, si fosse mantenuta la preminenza delle banconote cartacee, non moltiplicabili dalle banche ad libitum. Altro che far propaganda per l’abolizione dei contanti: un traguardo verso cui le banche spingono i governi, con la scusa del riciclaggio e dell’evasione fiscale!

Ovviamente, il ritono al cartaceo tout court è impensabile; ma il quadro suddetto rende l’idea della deriva alla quale le banche commerciali si sono abbandonate, ebbre del potere che la creazione di moneta conferisce. Chi disdegnerebbe la facoltà di emettere assegni scoperti, accettati da tutti per buoni!? Ovvio che esse esercitano questo potere sui governi per impedire –pur dopo i recenti disastri sulla pelle dei cittadini- che si varino norme severe per impedire che il denaro appaia sul mercato nella totale discrezionalità delle banche private, anziché dei governi. Le banche dovrebbero quindi poter prestare solo ciò di cui realmente dispongono; il che ne ridimensionerebbe largamente la scala di interventi in economia; mentre la possibilità di erogare mutui parzialmente “scoperti” sarebbe appannaggio soltanto di banche a capitale pubblico, sotto stretta sorveglianza del Ministero del tesoro quanto all’entità della leva permessa.


….Monumenti alla burocrazia?

Da quanto detto sopra discenderebbe che: a) i governi non dovrebbero più finanziarsi sui “mercati”, provvedendo alle proprie esigenze con l’emissione di moneta propria, senza debito né interessi (come oggi già fanno con le monete metalliche); b) sparirebbero i titoli di Stato, BTP, CCT, BOT, ecc., e con loro l’incubo delle scadenze pluriennali; c) sparirebbe il triste binomio “debito pubblico”, ad oggi dovuto all’accumularsi degli interessi passivi e composti; d) le banche sarebbero drasticamente ridimensionate, singolarmente e di numero; e) le tasse scenderebbero almeno dell’importo che oggi i cittadini pagano per l’interesse sul debito pubblico: 100 miliardi l’anno; f) il bilancio dello Stato sarebbe in pareggio o in avanzo, come già oggi è, al netto degli interessi suddetti; g) la moneta emessa dallo Stato per opere di pubblica utilità sarebbe da considerarsi alla pari di tasse già pagate dalla cittadinanza, cioè come detrazione fiscale; h) la misura del valore della nuova moneta pubblica sarebbe la bilancia dei pagamenti con l’estero; la quale, grazie alla capacità nostrana di creare valore aggiunto alle materie prime d’importazione, è da sempre un’eminenza nazionale; sempre che non si lasci ulteriore spazio all’emorragia di aziende e know-how, oggi in piena accelerazione, grazie al tradimento della classe politica, più attenta agli interessi della finanza neoliberista che allo Stato Sociale, considerato come il frutto avvelenato di una breve era festaiola e irresponsabile.

Marco Giacinto Pellifroni                       30 marzo 2014

 

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