EMERGENZA LIGURE

EMERGENZA LIGURE:
DISASTRI AMBIENTALI E NUOVI MODELLI DI SVILUPPO

EMERGENZA LIGURE:

DISASTRI AMBIENTALI E NUOVI MODELLI DI SVILUPPO

Dopo l’ennesimo disastro ambientale di questi ultimi giorni, passata la prima emergenza, siamo alla conta dei danni. I Comuni e la Provincia si sovrappongono nella frenetica richiesta di denari, rimborsi spese e di deroghe ai patti di stabilità.

Le prime parole del Presidente della Provincia di Savona, Vaccarezza, sono state “Quando arriverà Bertolaso, gli presenteremo il conto!” trascurando che il conto l’ha presentato l’ambiente.

Tutta la vicenda si risolverà, come sempre, con la battaglia su chi dovrà ottenere finanziamenti per rifare una strada, per risanare un quartiere, per mettere in sicurezza la sponda di un torrente o per rispondere alle richieste di aiuto dei cittadini che, per primi, pagano sulla loro pelle proprio il malgoverno di chi avrebbe dovuto amministrare in modo più saggio e consapevole i loro territori.

Paradossalmente invece, quando il danno è fatto, ci si affanna a far visionare il filmato dei fatti accaduti al Sottosegretario, per farle sgranare gli occhi e convincerla che il disastro è stato grande.

Ma questo non è un film che possa far scattare un meccanismo emozionale mirato alla maggiore o minore richiesta di fondi.

Qui il disastro è grande: quello perpetrato, da decenni e in continuo peggioramento, ai danni dell’ambiente.

 

Di questo però nessuno parla.

 

Dello scempio idrogeologico che è alla fonte dei nostri guai, che provoca oggi danni economici incalcolabili e tragedie familiari, dell’80% di Comuni in condizioni di rischio, anche dopo questo disastro, nessuno ha parlato.

Sui giornali e alla TV, solo racconti emozionali, foto tragiche per raccontare un quotidiano cancellato in un attimo per molta gente.

Se non per il fenomeno eclatante del palazzo a cavallo del fiume di Sestri, nessuna inchiesta se non quella avviata da qualche Procura, che finirà con trovare responsabilità confuse e mal individuabili e quindi: nessuna responsabilità.

Ma le responsabilità ci sono e non solo nella mancata messa in sicurezza di colline franose o greti di torrenti.

Le responsabilità sono di coloro che, in barba a leggi e regolamenti, continuano a permettere che si edifichi, che si stendano pericolose colate di cemento o di asfalto là dove l’equilibrio idrogeologico imporrebbe solo più attenzione e più intelligenza nell’operare.

Eppure la Liguria continua a essere un paese di “frane e di torrenti edificabili”.

Vaccarezza e Bertolaso

Anche uno studente conosce la differenza tra un fiume e un torrente e la pericolosità di quest’ultimo, ma qui in Liguria il Letimbro , il Sansobbia, il Teiro e molti altri, per non parlare dei corsi d’acqua più minuti e più insidiosi, vengono bellamente ignorati nei loro vincoli se non mal sopportati come ulteriore impedimento a nuova edificazione e rapina del paesaggio.

I cittadini ne rivendicano la pulizia e addebitano a ciò i danni che le, sempre più copiose, piogge producono.

Così le amministrazioni parlano di millimetri d’acqua che in modo inesorabile sono caduti al suolo, come eccezionalità.

Ma quando si tratta di lavorare per diminuire la forte produzione di CO2 dovuta anche dall’incenerimento del carbone che, guarda caso, in Provincia di Savona fa scattare la deroga agli impegni nazionali presi proprio per ostacolare la produzione di gas serra, causa dei cambiamenti climatici, allora non ci interessa più.

Anzi, lo sviluppo economico e i posti di lavoro devono contare di più dei danni economici provocati proprio da questo scellerato atteggiamento.

I denari per quelli ce li darà qualcun altro.

 

Noi in provincia di Savona crediamo ancora fermamente in uno sviluppo economico dettato dalla cementificazione indiscriminata dei luoghi anche quelli da tutelare e salvaguardare dal consumo e dalla rapina di territorio pubblico. Crediamo in uno sviluppo economico dettato dai profitti legati all’incenerimento di carbone e magari di rifiuti anche se i costi della mancata salvaguardia della salute dell’ambiente e di chi lo abita superano di gran lunga i guadagni che propaganda chi lo sfrutta mentre sta difendendo quelli personali.

 

Tutto questo non deve importare, non è un problema che deve risolvere la Provincia di Savona, tanto meno i comuni che neanche se lo pongono. Oggi la Provincia deve solo chiedere una deroga al patto di stabilità poi l’inquinamento e il dissesto ambientale lo risolverà qualcun altro.

 

Intanto la gente spala, spala i risparmi di una vita e non sa il perché.

 

Dopo i disastri ambientali di questi giorni, dopo l’ennesima storia di dissesto idrogeologico avvenuta proprio in Liguria, dobbiamo convincerci che si deve lavorare per opporsi a questo modello di sviluppo urbano, sostenuto egualmente, da amministrazioni di centro destra e di centro sinistra.

Bisogna batterci per un modello di sviluppo locale che non significa necessariamente difendere istanze separatiste, finalizzate all’isolamento anche culturale di un luogo rispetto ad un’altro, ma a diffondere sempre più una politica più “comunalistica” e quindi direttamente partecipativa.

La democrazia rappresentativa, di fatto, non riesce a rappresentarci più.

Lo costatiamo giorno per giorno, quando verifichiamo con mano la scarsa corrispondenza tra le buone intenzioni elettoralistiche sempre meno suffragate da un vero progetto politico. Spesso un vuoto contenitore, dove ci può stare tutto e nulla, ma che nel governare il territorio diventa perpetrarsi di abusi, di consumo, di sfruttamento territoriale che tutto significa meno che interesse e valore per i cittadini lo abitano.

Alluvione a Varazze

E’ contro la tecnocrazia sterile e truffaldina, lontana dalla dimensione storica e culturale dei luoghi che noi cittadini dobbiamo nuovamente muoverci per riconquistare, per sperare in una ricostruzione sociale dei luoghi in cui abitiamo.

La nostra città, come mille altre, è un luogo di stratificazione insediativa che ha determinato l’identità collettiva e che proprio grazie a politiche scellerate e miopi si è persa, omogeneizzata e pericolosamente assopita.

La crescita illimitata delle nostre cittadine come di quelle vicine ha determinato una fusione territoriale del costruito, che però non dialoga, non si esprime.

Così quello che è stato il rapporto tra uomo e natura si è perso.

Anche qui, nella nostra Provincia, non si è costruita solo una natura artificiale contenendo i corsi d’acqua, deformando la costa marina, deviando e soffocando il naturale decorso dei fiumi, abbandonando a se stessa la collina, ma si è creato in modo inequivocabile un’insostenibilità ambientale fatta di cementificazioni dissennate e sempre più disastrosa che, sempre più frequentemente, genererà catastrofi , come le ultime di questi giorni.

 

Riflettiamo sul fatto che, ad esempio paradossalmente, il modello di sviluppo albissolese, può essere lo stesso di quello Savona, di Varazze, di Genova, di Sestri, di Milano, un modello che ci impone di costruire anche dove non sarebbe consentito , ma che aggirando qualche disposizione legislativa ci permette di produrre profitto, guadagno, ricchezza.

Chi amministra scegliendo di permettere che ciò avvenga, diventa strumento di immobiliari, di multinazionali, di aziende, di privati speculatori capaci solo di produrre”colate” per il loro profitto in cambio di oneri che i Comuni ,sempre più spesso, utilizzano per le spese correnti e mantenere i propri dipendenti.

 

A chi può interessare il patrimonio territoriale e ambientale delle nostre città?

Forse solo chi lo abita che, sempre più frequentemente, vive ignaro in case sospese sui fiumi, in abitazioni sempre più vicine ai corsi d’acqua, in villette a strapiombo su ripidi pendii collinari, o su terreni contaminati da decenni.

Ignaro e assopito, fino al triste risveglio di un giorno, quando l’acqua del fiume è entrata in casa, ne ha distrutto gran parte, ha portato via tutto quello che si è costruito in una vita. Fino a che la collina comincia a scivolare a valle spinta dall’acqua e sembra voler portare via con sé la casa.

Il torrente Sansobbia

L’economia in nome della quale si amministra un territorio, diventa in un attimo: devastazione.

 

Il giorno dopo si assiste a Sindaci fare a gara per comparire ai primi posti di chi presenta il conto dei danni.

Per riconquistare la forza di rappresentatività politica ci si fa strumento di rivendicazione di rimborsi monetari, sperando che nessuno percepisca la perdita di coscienza con cui si è gestito per decenni il paesaggio.

  Ma le leggi c’erano e continuano a esserci, puntualmente aggirate.

 

Così, ad esempio, ad Albissola Marina, mentre in un intervista sulla Stampa, l’Assessore all’ambiente chiede anche lui fondi per ripulire le spiagge stracolme di detriti, perché anche la raccolta di rifiuti costa , sul torrente Sansobbia , nell’ex area camper di Grana, si apre un cantiere per edificare due palazzi.

Nel suo stesso Comune, in via dei Ceramisti in una zona collinare sul Rio Basci , si prevede la costruzione di 180 box interrati per 5200 metri quadrati di nuova costruzione.

Come se nulla fosse mai accaduto.

In un quadro di mancato sviluppo sostenibile, si perdono ancora una volta le occasioni per rispettare leggi e valorizzare luoghi.

Questo ci deve convincere che sono necessari nuovi istituti di democrazia.

Bisogna tornare a sentirci comunità, non solo nelle emergenze, quando ci troviamo di fronte alla tragedia di aver perso le cose di una vita, ma prima che ciò accada.

Bisogna promuovere vere forme di autogoverno, nuove forme di democrazia che lavorino affinché il modello di sviluppo non sia più quello attuale, dove il profitto di pochi diventa il disagio, la disperazione e la perdita d’identità di troppi.

Il territorio è il nostro bene comune e oggi più che mai non ha bisogno di amministratori inetti o avventurieri, ma di sapienza ambientale, di senso di responsabilità.

Quindi: ricominciamo da noi!

 

            ANTONIA BRIUGLIA       10/10/2010

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