Economia tra inquietudine e necessario realismo

Ci aspettavamo stabilità positiva, ma il 2022 inizia con due trimestri a probabile crescita zero, e siamo improvvisamente chiamati ad altre decisioni vere su energia, difesa, riforme, le più difficili da prendere in un anno preelettorale.

Non possiamo aspettarci grandi cose dall’imminente varo del Def, il documento di politica economica con il quale il Governo comincia a preparare il bilancio triennale. Soprattutto sarà flessibile, fino al vero e proprio progetto autunnale.
Ci aspettavamo stabilità positiva, ma il 2022 inizia con due trimestri a probabile crescita zero, e siamo improvvisamente chiamati ad altre decisioni vere su energia, difesa, riforme, le più difficili da prendere in un anno preelettorale.
Il sentimento prevalente è l’inquietudine, qualcosa di non detto, come alla vigilia di una grave regressione per ora sotto traccia: i notevoli dati del 2021, sopra il 6% (anche se Istat li sta limando), diventerebbero una illusione al tramonto, non replicabile nel 2022 (si dice +2,2, ma era il doppio), che già registra la gran botta di una inflazione al 6,7%, roba di 30 anni fa, e non tutta è energia, ormai tocca il carrello della spesa. L’occupazione a tempo indeterminato perde più di 100 mila posti, la stagflazione è dietro l’angolo.

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Lo stesso Pnrr che da solo potrebbe coprire il lavoro di tutta una legislatura, sembra un pò datato e dovrà essere rivisto, ma se l’UE ridiscute il recovery il rischio è che riveda le generose erogazioni all’Italia aggredita dal Covid. La guerra morde oggi più in altri Paesi.
Miliardi a debito, del resto, li stiamo già spendendo mese per mese per l’emergenza. Erano soldi in cambio di riforme, ma le più importanti – fisco e pensioni – segnano il passo, altre come concorrenza e catasto hanno voglia di tornare indietro.
Per abbassare, di poco e a breve, bollette e costi benzina, lo Stato, in parte prendendole alle imprese con metodi giuridicamente disinvolti, ha messo risorse superiori a quelle che sarebbe necessarie per far salire la spesa militare al fatidico 2% del Pil.
La politica energetica, nel frattempo, va totalmente ripensata, perché è emersa la verità che nessuno ammetteva, e cioè che la nostra diversificazione era suicida, affidata alle lungimiranti mani di Vladimir Putin.
Continuiamo pure a parlare di transizione (che per Confindustria costerà 650 miliardi), realizziamo per favore in fretta il capitolo energia del Pnrr, ma capiamo una volta per tutte che per arrivare alle rinnovabili dobbiamo attraversare il ponte appoggiato sulle fonti fossili, carbone per primo, ringraziamo chi ci ha portato in Italia la Tap, riapriamo le trivelle esistenti nell’Adriatico, ragioniamo con la testa e la ricerca sul nucleare di nuova generazione (per quello vecchio bastano le importazioni dalla Francia). Arrivare ad una vera diversificazione non è impossibile, persino liberarsi dal laccio russo è pensabile con qualche sacrificio, ma piantiamola con le contestazioni a tutto. Secondo Nimby Forum, il 73,3% di impianti fermi per contestazioni varie riguardano paradossalmente fonti rinnovabili.
Nel frattempo, la BCE si è fermata per la guerra, ma già stava ripensando la politica di acquisto del nostro debito che ha garantito all’Italia più miliardi, e più puntuali, dello stesso Pnrr. Servono per stipendi e pensioni.
Non dimentichiamo che nel 2019 eravamo penultimi (ultima la Grecia) nel recupero della crisi di 10 anni prima e abbiamo trascorso l’intero ventennio del nuovo secolo senza progressi nel prodotto lordo pro capite e piatti nella produttività delle imprese.
Questo significa che, in mancanza di crescita dei consumi interni, siamo rimasti a galla solo grazie alla manifattura e all’export, che però è in ansia per la ristrutturazione totale della geopolitica. Vero è che la Russia rappresenta una piccolissima quota delle esportazioni, ma un Paese come la Germania, per noi decisivo, ha chiuso i rapporti con la Russia, e l’effetto domino retrocede sulle nostre produzioni.
Stavano bene meccanica, farmaceutico, costruzioni, automotive, alimentare, moda (fortissima in Russia), ma il 2022 ci ha portato prima il boom del costo delle materie prime, il blocco dell’auto per i semiconduttori introvabili, la siccità per l’agricoltura e poi una guerra europea.
Abbastanza per un bagno di realismo? Fine dei giochi vax-no vax, o replichiamo su si/no Nato? Soprattutto: riusciamo a rimettere in fila le vere priorità?
Beppe Facchetti da PENSALIBERO

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