Design and violence

DESIGN AND VIOLENCE

La violenza nell’arte ha sempre avuto una sua rappresentazione e una funzione anche celebrativa di battaglie e di vittorie di cui si voleva tramandare la memoria ai posteri

DESIGN AND VIOLENCE

 La violenza nell’arte ha sempre avuto una sua rappresentazione e una funzione anche celebrativa di battaglie e  di vittorie di cui si voleva tramandare la memoria ai posteri – si pensi solo alla grandiosa Gigantomachia dell’Altare di Pergamo (183-174 a. C.) ammirabile al Pergamonmuseum di Berlino, o ai rilievi della colonna Traiana (113 d. C.), o, in epoca rinascimentale, il cartone michelangiolesco della battaglia di Càscina e l’affresco leonardesco della battaglia di Anghiari  (entrambi perduti ma noti grazie a copie ben conservate) – Nel Seicento spicca il grande dipinto di Pieter Paul Rubens Le conseguenze della guerra (1638), in cui non c’è ombra di celebrazione ma anzi è un chiaro ammonimento contro  la discordia e le divisioni tra gli uomini che tanto dolore e lutto hanno generato e continuano a generare, calpestando la carità, l’amore e anche le  belle arti.
 

 
La guerra, in Rubens come in Goya (I disastri della guerra, 1810-1820) è pura follia, un mostro che non ha niente di epico ma è solo barbarie, distruzione e morte. Un altro famoso dipinto in cui la violenza viene rappresentata in tutta la sua disumana crudeltà è Il massacro di Scio (1824) di Eugéne Delacroix, opera giudicata scandalosa, a quei tempi, per il suo realismo senza veli. Nel Novecento, la più potente e sconvolgente raffigurazione degli orrori della guerra la troviamo, a parer mio, nel trittico del pittore tedesco Otto Dix, intitolato, appunto, “La guerra” (1932); notevole anche la Morbida costruzione con fagioli bolliti: premonizione di guerra civile (1936) di Salvador Dalì, a cui dobbiamo anche un macabro, verminoso e spaventevole Volto della guerra (1940). Tuttavia l’icona novecentesca contro la guerra rimane senza dubbio Guernica (1937) di Pablo Picasso. L’arte, dopo la seconda guerra mondiale, è come ferita nel profondo da quella tragedia e dal dolore che ha devastato l’intera umanità, lasciando dietro di sé solo macerie materiali e morali; già durante il conflitto Renato Guttuso dipinge un quadro che verrà assunto come un’altra icona contro la barbarie di tutte le guerre passate, presenti e future: Crocifissione (1942). La Resistenza, poi, viene celebrata da monumenti scolpiti da artisti del valore di Mirko Basaldella (Cancellata del Mausoleo delle Fosse Ardeatine, Roma, 1949), di Marino Mazzacurati (Monumento al Partigiano, Parma, 1964); di Agenore Fabbri (Monumento alla Resistenza, Savona, 1974); di Giacomo Manzù (Monumento al Partigiano, Bergamo, 1977), per non citare che i primi affiorati alla memoria.
 

Rubens – Le conseguenze della guerra (1638)
 La violenza è onnipresente oggi (come ieri: basti ricordare l’Andy Warhol  delle serigrafie sul tema  Death end Disaster negli anni Sessanta  e di quelle sull’ Electric Chair negli anni Settanta) nei media e nei social network e ha fatto da tempo il suo ingresso anche nel design , come  racconta a Rocco Moliterni, in un’intervista uscita su La Stampa del 4 marzo scorso, Paola Antonelli, responsabile del dipartimento di architettura e design del MoMa di New York, ideatrice, nel 2013,  del fortunato progetto Design and Violence, che ha prodotto una piattaforma web, una serie di dibattiti sui temi della violenza sugli animali, della violenza diffusa via Internet, dell’eutanasia e della pena di morte, un libro e una  mostra alla Science Gallery di Dublino. Riporto qui alcune parti di questa intervista in cui la Antonelli racconta la genesi e spiega le finalità etico-pedagogiche del suo progetto. “Come è nato?”  – “…improvvisamente un designer americano progressista come Bob Walker mette su una piattaforma aperta a tutti il programma per realizzare una pistola con una stampante 3D. Nello stesso periodo esce il libro di un importante intellettuale come Steven Pinker intitolato The Better Angel of Our Nature che sostiene, a differenza di quanto io credessi, che il nostro mondo è sempre meno violento. Allora ho pensato di proporre al MoMa un progetto per una mostra con oggetti che facessero discutere sull’ambiguità del design e sul suo rapporto con la violenza …”. Il progetto fu bocciato dal MoMa ma la Antonelli non si diede per vinta e decise di lanciare, insieme al collega James Hunt della Parsons, l’università newyorchese di design, una piattaforma web sull’argomento.
 

 
 La piattaforma ebbe successo: “Quando abbiamo pubblicato il progetto di un macello disegnato da Temple Grandin, perché gli animali prima di essere uccisi non subissero ulteriori violenze, abbiamo avuto 150 interventi in pochissimo tempo. Così come quando abbiamo provato a discutere sull’eutanasia, sulla neutralità di Internet e sulla pena di morte”.  “Come avete affrontato un tema così divisivo per la società americana?” – “…abbiamo pensato non si trattasse di usare strumenti discorsivi o immagini immediate, tipo una sedia elettrica, ma che fosse meglio usare un metodo evocativo. Abbiamo pubblicato le fotografie delle boccette che contengono il liquido letale che si inietta ai condannati a morte. L’abbiamo accompagnato con la storia in prima persona di un detenuto che è rimasto trent’anni nel braccio della morte per poi essere liberato in quanto finalmente riconosciuto innocente”. Visto il successo di questa iniziativa, il MoMa ha deciso di pubblicare un libro che raccoglie molti materiali della piattaforma; in seguito a questa pubblicazione la Science Gallery di Dublino ha allestito la mostra Design and Violence che si è appena conclusa  “e che potrebbe approdare in futuro anche a Venezia”. A questo punto Moliterni allarga il discorso alla nuova situazione politica americana: “Come vede il tema della violenza in un Paese come gli Stati Uniti che ha scelto Donald Trump presidente?”.
 
Serigrafie di Andy Warhol
 
 Ed ecco la risposta dell’Antonelli che può valere anche per i leader cosiddetti populisti europei – “…Trump non ha giocato la sua campagna elettorale sul tema della violenza. Certo se sei repubblicano e vuoi essere eletto devi stare con chi fabbrica e vuole libertà di uso per le armi. Ma il tema vero della sua campagna è stata la paura: l’America è minacciata dagli immigrati, dagli islamici come dalla economia mondiale. In questo, nonostante i suoi richiami a Reagan, Trump ha ben poco in comune con quel presidente: Reagan era un conservatore, ma era anche un ottimista, non giocava con le paure dell’America profonda. Oggi invece la violenza come risultato indotto dalla paura diventa un tema attuale. Discuterne le forme mi sembra sempre più utile”. L’ultima domanda riguarda il futuro di Design and Violence: “Può avere ulteriori sviluppi?” – “…La mostra di Dublino si è conclusa da poco, ma io spero che sulla sua falsariga si aprano mostre e discussioni in vari Paesi del mondo.
 
   
Perché sovente ci sono declinazioni della violenza che hanno risvolti locali: gli italiani, ad esempio, tornando a uno dei nostri temi, sono contro la pena di morte e non sono in genere razzisti, ma non si può dire che non ci siano in Italia forme di violenza di cui meriti parlare…”. Quanto a parlarne se ne parla anche troppo, specialmente sui telegiornali Mediaset e nei programmi di “approfondimento” come “Dalla vostra parte” o “Quarto grado” o “Quinta colonna”; d’altra parte non manca mai la materia prima, cioè omicidi, femminicidi, infanticidi, parricidi…la violenza e il sangue, ahimè, fanno spettacolo più dei gesti eroici e dei buoni sentimenti: la cronaca nera è più attrattiva della cronaca rosa e non mancano mai i turisti del dolore che riescono a mettersi in posa davanti alla casa di Cogne o alle rovine di Amatrice. La violenza (non solo quella fisica) purtroppo, fa parte della vita, come l’odio, la prepotenza, l’ira, la follia e anche la morte stessa: se non ci fosse la vita non ci sarebbe nemmeno la morte, proprio come senza la morte non ci sarebbe nemmeno la vita. Nel nulla non c’è né vita né morte. Come scrisse il poeta latino Marco Manilio: nascentes morimur, finisque ab origine pendet.

 FULVIO SGUERSO

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