Del Dialetto o delle Parlate (liguri)

“Intervento dell’Avv. Prof. Massimo A. Chiocca all’incontro per Silvio Volta”

Omicidio e suicidio (linguistico)?
1.La Carta europea delle “lingue regionali o minoritarie” è un trattato internazionale stipulato a Strasburgo il 5.11.92 con lo scopo di tutelare e promuovere le lingue regionali o minoritarie come elementi di un patrimonio culturale in “pericolo d’estinzione”.
La Francia non ha ratificato la Carta; FRANCIA E ITALIA HANNO SOTTOSCRITTO LA CARTA, SENZA MAI RATIFICARLA: in pratica, non hanno mai dato assenso ai vincoli giuridici del Trattato in questione.
La posizione della Francia, in particolare, è che, nel suo territorio nazionale, non esistano “minoranze linguistiche” o “lingue minoritarie”, bensì solo “DIALETTI”.
2. Azzardiamo alcune definizioni.
Il “dialetto” – nella accezione più seguita – è quel linguaggio, che talora si eleva a “sistema linguistico”, usato in un ambito geografico determinato, o locale, e che si affianca, e talora si sovrappone, alla “lingua nazionale” o “lingua ufficiale” o “lingua-tetto”.
Una “lingua regionale” è una lingua utilizzata in una area determinata di uno Stato: elemento (principale) di una cultura regionale, o particolare, autonoma rispetto alla cultura nazionale dello Stato stesso.
Porto l’esempio del bretone rispetto al francese.
Una “lingua minoritaria” – diversamente – è una lingua parlata da più tempo che non la lingua nazionale – ed è quindi usata “per tradizione” – da una significativa minoranza della popolazione nazionale. Ad esempio, il tedesco è parlato da una minoranza in Danimarca, ed anche in Italia, il tedesco, come lo sloveno, o il ladino, sono considerate, e tutelate come, “lingue minoritarie”.

3.L’art. 75 comma 1 della Costituzione francese, tuttavia, prevede che le lingue regionali appartengano al “patrimonio della Francia”. PER CUI IL CÒRSO È INSERITO TRA LE “LANGUES RÉGIONALES” FRANCESI!
IL CÒRSO [CHE VIENE SOLO “PARLATO” SUL TERRITORIO FRANCESE] FA PARTE – INVECE – DELLA LINGUA ITALIANA; è parente stretto del “toscano” con alcuni accenni di “ligure-provenzale” (vado a memoria: “carrega”, “carrughju”, “magagna”, “rumenta”, “schjoppu”).
La parlata corsa CISMONTANA (ossia del nord) si può considerare una prosecuzione del toscano dell’Elba, che talora si ode anche in “Lucchesia” (l’area geografica tra Camaiore – Bagni di Lucca – Pescia – Altopascio – S. Giuliano). Si ritiene essere il “toscano arcaico”, per fonologia, morfologia, lessico e sintassi.
Quanto al còrso meridionale, o OLTREMONTANO, l’idioma linguistico più vicino non sembra essere il sardo (in particolare il gallurese), ma il “complesso dei dialetti italiani meridionali e in ispecie il calabrese centro-meridionale” (così: Fusina – Ettori, Langue Corse, 1981).
Basti, ad esempio, il termine “cumpare” – “padrino”.
4. Le identità fra l’italiano ed il còrso, dunque, passando attraverso il toscano, sono veramente significative: e “parlà in crusca” – ossia con proprietà di linguaggio – fu sempre considerato, anzi, quale motivo di prestigio sociale; tanto che Pasquale Paoli (“U Babbu di a Patria”) definì l’italiano come “lingua ufficiale della Corsica ed il còrso il suo vernacolo”.
IL CÒRSO, INSOMMA, NON È UNA LINGUA REGIONALE FRANCESE.
Una collocazione, questa, viziata da un condizionamento ideologico: il4.8.1859 la Francia, infatti, vieta la lingua italiana in Corsica; e meglio: introduce il divieto di usare altre lingue, se non il francese. Per cui anche il misti-linguismo italiano/còrso, dopo un certo periodo di tolleranza, venne di fatto cancellato; sebbene, ovviamente, non fosse impedito di parlare o scrivere privatamente in italiano o in còrso.
L’estinzione di una lingua non è un evento ordinario in una comunità. Una comunità abbandona una lingua solo quando soggiunga una spinta forzata verso una “sostituzione linguistica”. Così, l’esclusione di ogni lingua alternativa, in uno con l’uso legale del francese, nelle scuole e in uffici e cancellerie, ha operato, in primis, sui meccanismi mentali del “popolo còrso ”.
La parola imposta in modo autoritario lega ogni azione e la sottomissione isterilisce le teste.
La lingua corsa, quindi, è andata declinando, tanto da essere qualificata, e parlata, come dialetto – per quanto diffuso; comunque, una “sottostoria” per dirla con Pavese; ma ha sicuramente resistito all’italiano, ORAMAI RIDOTTO A “LANGUE ÉTRANGÈRE”, ed utilizzato, ma sporadicamente, in talune funzioni religiose.


5. 
Anche il ligure ha subito – e purtroppo va subendo – lo stesso processo erosivo, più o meno strisciante; sebbene questo dialetto sia variamente “parlato” anche al di fuori della Liguria: ad esempio nell’alta Val Roia, oggi Francia, nell’area del novese in Piemonte (dal 1859), nella sua variante monegasca nel Principato di Monaco, nella variante tabarchina in Sardegna (a Carloforte) e nella variante bonifacina – il «bunifazzincu » – appunto in Corsica.
Quale posto competa al ligure, nel sistema dei dialetti italiani, è questione aperta: perché l’area ligure fu interessata da presenze linguistiche celtiche, ma tanti e vistosi sono anche i fenomeni che staccano il contesto ligure da quello propriamente gallo-italico (cfr., Fiorenzo Toso, 2005).
Resta che “u Bunifazincu hé un dialettu specificu, in Corsica, sfarente (ossia differente) di u Corsu veru, parchi hé schjetamente vecchju Genuvese”.
BONIFACIO (O CALCOSALTO) HA IN EFFETTI UNA STORIA A SÉ. Questo, essenzialmente, per la sua posizione strategica: per la sua inaccessibilità e l’esercizio del controllo sullo stretto (e bocche di Bonifaziu).
Nel 1410 venne occupata dai genovesi, divenendo (assieme a Calvi) la principale piazzaforte genovese sull’Isola di Corsica. Da qui, l’uso costante del dialetto ligure; specie a partire dal 1490, quando i genovesi decisero di espellere dalla cittadella gli odiati “maledetti toscani”, per colonizzarla con gente della Riviera di Ponente; per metterla “in sicurezza” – come è di moda dire adesso.
Il bonifacino – che si dice esse- re una “parlata ligure coloniale” – fino al XIX secolo fu praticamente impiegato da tutta la popolazione dell’area attorno a Bonifacio. Ma il còrso è – ancor oggi – materia scolastica facoltativa; è quindi naturale che il Bunifazincu non abbia ricevuto alcuna protezione legale.
“Oghje, soli qualchi vecchji san- nu ancu parlà stu vecchju dialettu di Bonifaziu”.
6. Loccia, però, anche il ligure e l’italiano, spintonato dall’inglese. Non potrebbe escludersi “un futuro di piccole patrie vernacolari ed un pianeta anglofono”, come ha scritto perspicacemente V. Coletti, Povera lingua italiana, 2017.
Donca, piuttosto che (tentare ad oltranza di) promuovere a “lingua” un “dialetto” – magari inseguendo romantiche “nostalgie dialettali” – l’impegno dovrebbe maggiormente dirigersi nella difesa della lingua italiana: il pericolo è che diventi un dialetto; e se l’italiano divenisse un dialetto dell’inglese ci sarebbe ancor meno spazio per i dialetti italiani: come il còrso e il ligure.

Avv. Prof. Massimo A. Chiocca  da A’ Civetta

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