CRYPTO

Parecchi anni fa, su queste pagine, avevo espresso le mie perplessità sul mondo delle criptovalute, che pur erano sorte nel tentativo di sottrarsi al giogo delle valute fiat di origine bancaria, seguendo il precedente tentativo di Internet di fuggire dalla cappa delle informazioni pilotate dai vertici politico-finanziari e raggiungere un “piena e libera espressione” su base diffusa, dando voce anche agli ultimi.

Un paniere di criptovalute. Per un confronto: a fronte di $ 35 trilioni di varie valute fiat (M1) nel mondo, circa $ 1,7 trilioni sono in criptovalute. Bitcoin ha un limite quantitativo di 21 milioni di unità (token). La seconda cripto, Ethereum, non ha limiti, se non l’emissione annua

Tutti sappiamo com’è andata a finire, col web usurpato da una manciata di potenti organizzazioni private che esercitano una censura che non ha niente da invidiare a quella un tempo saldamente nelle mani di Santa Madre Chiesa.
L’idea si decentralizzare l’emissione monetaria, facendo concorrenza a quella bancaria, era una lodevole intenzione, se non fosse che anche le criptovalute, a cominciare dalla sua prima e tuttora più fortunata emissione, il Bitcoin (BTC), condividevano la mancanza di un supporto (sottostante), presente nel mondo reale, a fungere da garante.
Tuttavia, la mancanza di un sottostante è il punto debole di ogni moneta odierna, sia bancaria che cripto. È come se nel gioco del poker dietro alle fiches che si scambiano sul tavolo non vi fossero beni reali a garanzia della solidità finanziaria dei giocatori.
Sappiamo ormai tutti che, a partire dal 1971, il dollaro USA, sino allora garantito da un sottostante in oro fisico, perdette da un giorno all’altro questo avallo e divenne di fatto una fiat money come le altre. Ciononostante, il dollaro mantenne la sua funzione di valuta di riserva internazionale in virtù del potere economico-finanziario (e militare) della superpotenza che ne garantiva l’emissione. Ciononostante, quest’ultima approfittò della mancanza di vincoli fisici e si dette a “stampare moneta” senza freni, determinandone una progressiva svalutazione, ossia perdita del potere d’acquisto, di oltre il 75%. Da quando, nel 1913, fu fondata la Federal Reserve, per ironia della sorte, proprio per garantire la stabilità dei mercati e della valuta, dopo il panico del 1907, ci sono state, oltre a numerose turbolenze, due depressioni (1929 e 2007), mentre il dollaro ha perso il 95% del suo potere d’acquisto!

Grafico della costante perdita di valore del dollaro dal 23/12/1913, data di fondazione della Federal Reserve con un colpo di mano dei banchieri in un Senato semideserto l’antivigilia di Natale. Il grafico si ferma al 2013. Nei 9 anni successivi la tendenza negativa ha proseguito; e ancor più negli ultimi mesi di inflazione fuori controllo

Nella speranza di rimediare a queste falle del sistema finanziario, ebbe grande fortuna la nascita di una criptomoneta, il suddetto BTC, che vantava la limitatezza della sua emissione, sia nel volume che nel tempo. Fu stabilito che il quantitativo di BTC che poteva essere estratto era di 21 milioni di anelli (token) di una catena (blockchain). I termini usati echeggiavano quelli minerari, per accentuare ancor più il riferimento a un bene fisico: per “estrarre” si ricorse al verbo inglese to mine, adattato in italiano a “minare”, nonostante per noi quest’ultimo abbia il ben diverso significato di “posare mine”. Di conseguenza, coloro che si dedicano all’estrazione dei BTC sono chiamati minatori. Il paragone colle miniere ha un senso in quanto i minatori ricorrono a complessi ed energivori procedimenti che hanno una correlazione tra la quantità di BTC estratti e il tempo necessario allo svolgimento di questo compito: se il tempo ideale per “minare” 1 BTC è di 10 minuti, ci si può in pratica avvicinare a questo breve intervallo di tempo solo disponendo di macchinari ad alta potenza e corrispondente consumo di elettricità. Ad oggi sono stati “minati” circa 18 milioni di BTC, e l’estrazione degli ultimi 3 milioni sarà quanto mai complessa e costosa energeticamente, per cui si presume che l’estrazione giungerà al termine solo nel 2040. Si noti la correlazione col lavoro minerario, le cui difficoltà e costi energetici crescono col passare del tempo, dovendo far conto su giacimenti sempre meno rimunerativi.

Se in questi giorni si è accentuata la progressiva caduta di tutte le criptovalute, anche di quelle definite stable, ne è rimasta praticamente indenne Tether. Ciò in quanto è un stablecoin non solo di nome. Infatti, a fronte di perdite tra il 50 e il 100% di altre cripto, come BTC e UST, il suo calo è stato del 5%, subito dopo quasi totalmente rientrato

La caratteristica negativa di tutte le criptovalute è la loro estrema volatilità: certe giornate o addirittura minuti di chi vi ha investito sono da cardiopalma.
A questo rovescio della medaglia si è tentato di far fronte con l’emissione di stablecoin, ossia valute tendenzialmente stabili, ancorate (pegged) a valute tradizionali, all’oro o altri beni fisici. La più famosa stablecoin è Tether, legata al dollaro in rapporto di parità 1:1.
La drammatica caduta verticale, fino a zero, che ha contagiato con effetto domino tutte le criptovalute, è stata quella di una coppia di valute “sorelle” Terra-Luna (UST), nonostante fosse considerata una stablecoin, pegged (ancorata) 1:1 al dollaro.  Il meccanismo di base di Terra-Luna era che, al scendere di una si sopperisse con la vendita dell’altra. Quando Terra cominciò ad essere venduta massicciamente, gli investitori si dettero a coprire il depegging con simmetriche vendite di Luna, sprofondata di conseguenza dai recenti $ 114 a 4 cent! Sulla rete ci sono gli alti lamenti di gente che ha perso tutto e non potrà più far fronte a nessun impegno, massimamente al pagamento del mutuo sulla casa di abitazione. E avevano investito tutto su UST nella convinzione che, essendo una valuta stable, non fosse passibile di depegging. Qualcuno noterà l’analogia con quanto accadde nel 2007-08 con la crisi di mutui subprime: ciò che veniva considerato impossibile si era verificato.
C’è da far presente che UST era davvero ancorata a un asset che veniva considerato come estremamente solido; ma si trattava comunque di una criptovaluta: il BTC, che ne venne travolta per effetto domino. Persino Tether, ancorato al dollaro, subì un’oscillazione al ribasso, ma estremamente contenuta: un -5%, poi ristretto a -1%.
Quanto alla “regina” indiscussa delle criptovalute, Bitcoin, c’è da sottolineare che, dai massimi di novembre 2021, ha perso circa il 50%, scendendo sotto quota 30.000. Sorge spontanea una riflessione: se, per essere stable, una cripto deve avere un sottostante in oro o una valuta fiat, che cosa la rende più desiderabile di quest’ultima? Che senso ha creare qualcosa, di grande costo energetico, la cui affidabilità è legata a qualcosa di fisico altrettanto energivoro (oro) o di già esistente nel mondo finanziario (valute fiat)? Non si tratta di un’evoluzione soltanto apparente?

Se le principali cripto valute nel giro di un decennio o anche meno si sono gonfiate oltre ogni ragionevole aspettativa, anche la base monetaria (M1) delle due più importanti valute fiat, (dollaro ed euro), nello stesso decennio si è quasi quintuplicata, non certo in proporzione all’aumento del Pil delle aree interessate (USA ed eurozona)

La morale che si può trarre da quanto sopra è che le criptovalute (ne hanno inventate oltre 3000!) sono fondate sulla sabbia, ossia non c’è nulla che ne garantisca il valore, se non le puntate dei vari scommettitori, o meglio speculatori: quindi dipendono da fattori psicologici, come il ben noto sentiment che agita le Borse; e basta che una visuale negativa prenda d’un tratto il sopravvento per procurare un effetto domino. Se questo vale per i titoli di Borsa, che pure si relazionano a società fisiche che producono ricchezza reale (ne escluderei le banche, che non producono ricchezza, ma la incamerano), figuriamoci quando parliamo di numeri astratti come quelli attinenti le criptovalute.

Questo signore, Mike Winkelmann, nickname Beeple, ha ben motivo di sorridere: vedi la foto seguente

Se il compianto prof. Giorgio Girard, che è stato per 20 anni Presidente del sodalizio Domenica Est di Finale Ligure, fosse ancora tra noi, non esiterebbe a collocare senza titubanze il fenomeno criptovalute nel paradigma nichilista che connota l’attuale società, in cui sono evaporati antichi valori, non risparmiando quelli più grettamente monetari.

Se in passato vi hanno stupito i prezzi pagati per acquistare l’opera di un artista vivente, lo sarete ancor più all’apprendere che questa NFT, prodotta dal signore dell’immagine precedente, è stata venduta all’asta da Christie’s per la folle cifra di $ 69,3 milioni!

Se la realtà virtuale, e più recentemente il metaverso, stanno declassando uno dei nostri 5 sensi, il tatto, per lasciare sempre più ampio spazio a vista e udito, è consequenziale che anche il denaro perda l’attributo della tattilità, diventando digitale ed elusivo, lontano dalle nostre mani e persino dai nostri occhi; tanto che i vari Bitcoin, Ethereum, Litecoin ecc. vengono rappresentati come monete metalliche per darci l’illusione di una dimensione fisica che invece è totalmente perduta. In ciò, sono perfettamente in linea col trend verso la valuta doppiamente fiat: quella elettronica.
Il Metaverso, con Facebook che ha addirittura cambiato il nome del brand in Meta, è alla vigilia di irrompere tumultuosamente nelle nostre vite; e già si legge di quotazioni di opere d’arte digitali (NFT, Non Fungible Tokens) prossime ai massimi di opere d’arte concrete. Siamo alla vigilia di un mondo capovolto, parallelo a quello esistente, dove entreremo non più da spettatori, come accade ora a chi indossa i visori ottici per guardare un film in VR (virtual reality), ma come attori in prima persona, attraverso il nostro avatar, che potrà avere le fattezze desiderate dal nostro “vero io”. Un nostro “secondo io” che potrà svolgere funzioni eroiche insieme ad altre più banalmente quotidiane, come comprare un abito o un paio di scarpe virtuali. Non a caso i brand del lusso stanno riservando grande interesse al futuro mercato virtuale dei loro prodotti NFT, dove nulla sarà di impossibile realizzazione.

Quanto al mio avatar, sono ancora indeciso tra un guerriero vichingo ed uno della Grecia omerica. Ammesso che esista un negozio virtuale che  produca abbigliamento ed armi a prezzi abbordabili!

Questo mondo prossimo venturo sarà in grado di realizzare, in una diversa forma di sogno, col notevole vantaggio di poter essere pilotato a volontà, ogni nostro più intimo desiderio. Ridurrà le frustrazioni, o ci isolerà ancor più dalla realtà e dal rapporto reale con i nostri simili, accentuando l’attuale distanza, cui ci ha già dato un mesto assaggio il “distanziamento” imposto dalle regole anti-Covid?

Marco Giacinto Pellifroni     15 maggio 2022

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