CONVERSAZIONE NOTTURNA SUL CARDINAL MARTINI

CONVERSAZIONE NOTTURNA
SUL CARDINAL MARTINI

CONVERSAZIONE NOTTURNA SUL CARDINAL MARTINI

 Come acqua sono versato, / sono slogate tutte le mie ossa. / il mio cuore è come cera, / si fonde in mezzo alle mie viscere. / E’ arido come un coccio il mio palato, / la mia lingua si è incollata alla gola, / su polvere di morte mi hai deposto. “ (Sal 22, 16-17)

La morte di un uomo, di ogni uomo, giovane o vecchio, povero o ricco, umile o potente, anonimo o illustre  che sia,  riguarda tutti gli uomini da vicino:  ecco quello che ci aspetta, ecco il “duro calle” e la “valle oscura”  per cui tutti dovremo passare, ecco l’”amaro calice” che, prima o poi, ci toccherà bere fino in fondo. Almeno  di fronte a “sora nostra morte corporale” c’è giustizia a questo mondo e non c’è privilegio o status sociale che valga; non per niente la morte è stata chiamata anche la Grande Eguagliatrice: solo di fronte a lei gli uomini sono tutti uguali. Ma sarà poi così vero?  La morte di un papa  (pensiamo a che cosa è stata quella di Giovanni Paolo II) non appare forse diversa  da quella dei comuni mortali, se non altro agli occhi del mondo? Certo è che la morte di un uomo di Chiesa, di un pastore di anime, di un vescovo emerito e cardinale amatissimo da una parte del popolo cattolico e non solo cattolico come Carlo Maria Martini, ma non altrettanto amato da un’altra parte dello stesso popolo (vedi i discepoli di don Giussani), e per niente amato dai cosiddetti   “atei devoti”, che giudicavano viziato da indifferentismo e relativismo il suo progressismo modernista, il  suo ecumenismo un po’ troppo dialogante con il “secolo” (persino in partibus infidelium come le pagine del Corriere della Sera), con le altre confessioni cristiane e con i non credenti, è, oltre che un evento mediatico di prima grandezza, anche  un’occasione importante per riflettere sulla situazione a dir poco critica che la Chiesa sta attraversando, nel contesto della crisi mondiale, e per chiederci a che punto siamo della notte. Secondo l’ateo devoto Giuliano Ferrara “Martini fu un riformatore mancato. Introdusse un elemento di contraddizione radicale nell’establishment ecclesiale. Voleva rilanciare il Vaticano II, raddoppiandolo, nei suoi presupposti novisti che tormentarono Paolo VI e indussero i suoi successori a una composta e razionale reazione teologica, liturgica e pastorale. In piena coerenza con uno spirito anti-Sillabo, sicuro che la crociata della chiesa dell’Ottocento contro l’indifferentismo e il relativismo avesse portato danni incommensurabili al popolo di Dio e alla vera dottrina.

 Martini non concepiva possibile un rapporto critico e di distonia con il tempo in cui il cristiano contemporaneo era chiamato a vivere e a testimoniare” (Il Foglio dell’1/09/12).

Abbiamo qui una sintesi dei motivi per cui il cardinal Martini piaceva tanto ai laici (cattolici e non cattolici) e dispiaceva altrettanto ai nuovi “intransigenti”, anti modernisti, tradizionalisti  contrari allo spirito riformatore e rinnovatore del Vaticano II, come, a titotolo di esempio, monsignor  Rino Fisichella o i cardinali  Camillo Ruini e Tarcisio Bertone, insomma tutti quegli uomini di Chiesa più preoccupati del suo “apparato burocratico”, gerarchico e di potere (anche finanziario) che della sua missione evangelizzatrice.

 Ecco, è di un ritorno a questa missione pastorale  costitutiva e primaria che avrebbe bisogno la Chiesa di oggi. Nell’ormai famosa ultima intervista rilasciata al confratello gesuita padre Georg Sporschil (il biblista già suo interlocutore nelle Conversazioni notturne a gerusalemme del 2008), alla domanda sulla situazione in cui versa la Chiesa, il cardinale risponde così: “La Chiesa è stanca, nell’Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi…Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno però potremmo cercare uomini che siano liberi e più vicini al prossimo. Come lo sono stati il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador…”. Alla domanda su chi può aiutare la Chiesa oggi, il cardinale risponde: “Padre Karl Rahner usava volentieri l’immagine della brace che si nasconde sotto la cenere. Io vedo nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell’amore? “. Dunque non è vero che Carlo Maria Martini “non concepiva possibile un rapporto critico e di distonia con il tempo in cui il cristiano contemporaneo è chiamato a vivere”, non mi sembra proprio che qui vi sia accettazione acritica della contemporaneità, tanto nella Chiesa che fuori. Se oggi è la cenere “burocratica” delle gerarchie che soffoca la brace ardente della profezia, la missione degli uomini di chiesa e dei cristiani autentici è quella, appunto, di liberare la brace dalla cenere, Quindi: “Per prima cosa dobbiamo ricercare questa brace. Dove sono le singole persone piene di generosità come il buon samaritano? Che sono entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che sono fedeli come Maria di Magdala? Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque”. Uomini che ardono di carità? Uomini liberi più vicini al prossimo come il buon samaritano? Eroi e martiri, cioè testimoni? Che linguaggio è mai questo? Non  è  certo il linguaggio insipido dell’indifferenza o quello tiepido dell’angelo della Chiesa di Laodicea che, secondo l’Apocalisse di Giovanni, sta per essere vomitato dalla bocca di Cristo, perché “né freddo né caldo” (Ap 3, 16).  Anche la  Chiesa di oggi, che, secondo il cardinal Martini, è rimasta indietro di duecento anni, assomiglia, almeno nei suoi vertici,  a quella dei laodicesi, che si credeva ricca e potente mentre in realtà era miserabile, cieca e nuda: “Perché non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio?”. Ma non bisogna disperare: “l’amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l’amore vince la stanchezza, Dio è amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?”. Questo è il viatico che il cardinal Martini ha lasciato non solo agli uomini di Chiesa ma a tutti i cristiani.

Fulvio Sguerso

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