Contro la cultura dello stupro

Contro la cultura dello stupro

Contro la cultura dello stupro

Sospeso fra eccitazione e tenerezza, il rapporto fra l’uomo e la donna si realizza nel superamento dell’io, nel momentaneo trascendimento che sublima il fenomeno biochimico della riproduzione: percepito da Torquato Tasso come un duello combattuto ad armi pari, descritto dallo psicologo come uno scambio o una fusione, per la Diotima del Simposio segna la partecipazione al divino che ha per fine l’immortalità.  Ma comunque lo si concepisca l’eros non ha nulla a che fare con la prestazione o il servizio o peggio con la sottomissione. E se qualcuno ha ancora qualche dubbio sulla parità di genere sarà bene che rifletta sul momento cruciale dell’incontro fra i due generi per convincersi della loro complementarità e della reciprocità dei ruoli.


Poi ci sono le anomalie, le deviazioni, i guasti culturali, dalla violenza alla prostituzione, l’una e l’altra figlie dell’impotenza, dell’immaturità, della perversione alla quale tutti i processi naturali sono esposti. Le società organizzate hanno generalmente tollerato, qualche volta addirittura incoraggiato, la seconda e più o meno duramente sanzionato la prima. Nella Roma antica la violenza su una donna libera era punita con la morte; con l’avvento del cristianesimo, sessuofobo e maschilista, se ne percepisce meno la gravità – e in Italia purtroppo ne subiamo ancora le conseguenze – ma nelle democrazie moderne, a partire da quella americana, tornano ad affermarsi il senso e la dignità della persona umana e della sua inviolabilità. E, per quanto possa essere sgradevole per le anime belle, tanti responsabili di stupro si sono dovuti accomodare sulla sedia elettrica, circostanza che in sé ci inorridisce ma l’orrore si attenua se si riesce a immaginare l’orrore del trovarsi in balia di uno che fa strame del corpo e della volontà altrui. 


Non ci sono, non ci debbono essere, attenuanti o giustificazioni per la violenza. Né la rende meno odiosa il fatto che avvenga all’interno di una relazione di coppia, compreso quella coniugale. Nessuno può vantare diritti sul corpo di un altro e il matrimonio non è, come pretendeva la chiesa, un contratto che obbliga la donna a prostituirsi al marito. Non è questione opinabile né c’è spazio per riserve mentali.

La necrofilia è la più ripugnante delle perversioni sessuali ma l’abuso di una donna in condizione di incoscienza non è cosa tanto diversa dalla necrofilia. E una ragazza che intenzionalmente o sotto costrizione, per imitazione o per leggerezza, si è stordita con l’alcol non per questo perde la sua dignità di persona e autorizza gli altri a trattarla come un pezzo di carne o un oggetto; semmai dovrebbe essere aiutata a riprendersi ricorrendo se il caso a interventi medici. Chi ne approfitta usandola come una bambola da pornoshop non è diverso dallo stupratore che piega con la forza la resistenza della sua vittima.


E neanche questa è materia opinabile, o per lo meno non lo è nel mondo civile. Ma dietro l’apparente rispettabilità di molti si nascondono la bestia o l’imbecille. Sono quelli che vorrebbero far passare per un rapporto consenziente, vale a dire per un rapporto autentico, la condizione di una ragazza che in stato confusionale subisce passivamente lo sfogo sessuale di quattro uomini e che fingendo di ignorarne la sofferenza che ne segue e la terribile insofferenza per il proprio corpo macchiato, sporcato, umiliato, pensano di cavarsela con una risata: in fondo è solo un gioco, una ragazzata. È quasi incredibile che fra questi ci sia uno che per anni è stato un personaggio di successo, nello spettacolo prima e nelle piazze dopo, fino a diventare il leader del partito più votato nel nostro Paese. Non basta l’auspicio che dopo quello che è successo, dopo l’oscenità del video che ha voluto diffondere attraverso tutti i media, questo individuo sparisca definitivamente dalle case degli italiani, dai giornali e dalla politica; bisognerà che la magistratura adempia alle sue funzioni e non si sottragga alla sua responsabilità: l’apologia di reato, e di un reato particolarmente grave e spregevole, deve essere perseguita con la massima durezza.

Immaginate cosa sarebbe successo se all’indomani della strage del Circeo qualcuno si fosse azzardato a sussurrare: ma chi glielo ha fatto fare a quelle due ragazze di andare in casa di quei giovanotti appena conosciuti? L’avrebbero massacrato, giustamente.

Ce n’è voluto di tempo ma la cultura meridionale del “se l’è cercata” è ormai alle nostre spalle, come è alle nostre spalle l’idea che un gruppo di bighelloni seduti su un muretto o al tavolo di un bar possano impunemente fare apprezzamenti su una donna che gli passa davanti. Gli italiani hanno capito che se anche si imbattono in una ragazza nuda niente li autorizza a sfiorarla solo con dito e che l’unica cosa che possono fare è avvertire il 113. Il concetto stesso che una donna possa “provocare” un uomo, il maschio, con il suo aspetto o il suo abbigliamento è un’aberrazione retaggio di secoli di educazione clericale. Gli italiani, gli europei, gli occidentali l’hanno capito: bisogna che con le buone o con le cattive lo capiscano anche gli immigrati e, a casa loro, gli islamici tutti.  E che lo capisca anche il fondatore del movimento pentastellato.


Il femminismo non c’entra. Il femminismo come tale è in’idiozia come tutte le categorizzazioni imposte dal pensiero unico. E, se ce ne fosse bisogno, il silenzio, la reticenza, i distinguo delle sacerdotesse della parità di genere, le amplificatrici dei femminicidi, le cacciatrici di sessismo e maschilismo, quelle che vorrebbero riformare la grammatica e il lessico, ne dimostrano la malafede e l’ipocrisia. La stessa malafede e la stessa ipocrisia che hanno dimostrato ogni volta che una donna è stata vittima di stupratori ghanesi o nigeriani

Concludo ribadendo che l’abuso compiuto nei confronti di una persona in stato di ubriachezza o sotto gli effetti di stupefacenti non attenua ma semmai aggrava la colpa di chi lo compie. Né può essere invocata la circostanza che moti giovani e meno giovani indulgono a pratiche che fanno scempio della loro dignità: il confine non è per niente sottile o indistinto: da un lato c’è partecipazione cosciente e volontaria, dall’altra stordimento e abulia. Guai non capire questa differenza, soprattutto se a non capirla è un giudice. 

È terribile e disarmante quando l’evidenza viene messa in dubbio. È come se non ci fosse più niente di solido, come se venissero meno le coordinate della realtà e si cominciasse ad annaspare sul vuoto. Eppure succede, e non solo in casi come quello al quale mi sono riferito in queste note. Sento, mentre scrivo, le parole di Sansonetti sui brigatisti di cui si promette l’estradizione: assurdo, dice, dopo quaranta anni! Il tempo lava qualunque macchia, scurdammoce o passato, direbbero i nostri connazionali del sud.  Ma per chi uccide senza motivo, esercitando una sorta di diritto sovrumano, trattando l’altro come una cosa come hanno fatto sul povero incolpevole Moro, sugli ignari negozianti, sui lavoratori in uniforme, il tempo si ferma come si è fermato per le vittime e se le regole che ci siamo dati non consentono la sacrosanta vendetta ci sia almeno la pur tardiva giustizia.

Pierfranco Lisorini  docente di filosofia in pensione   

   Il nuovo libro di Pierfranco Lisorini  FRA SCEPSI E MATHESIS


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