CONTRADDIZIONI POST-DEMOCRATICHE SAVONESI

 

NESSUN PASTO E’ GRATIS
CONTRADDIZIONI POST-DEMOCRATICHE SAVONESI 

NESSUN PASTO E’ GRATIS

CONTRADDIZIONI POST-DEMOCRATICHE SAVONESI

di Nat Russo

Sessant’anni fa finiva la seconda guerra mondiale.

Per circa trent’anni (les trente glorieuses), abbiamo assistito a politiche keynesiane, che hanno permesso la ricostruzione postbellica e la creazione dei sistemi di welfare.

E’ seguito quindi un nuovo trentennio (les trente furieuses) che ha visto politiche neoliberiste, portare allo smantellamento delle istituzioni di welfare create nella fase precedente.

Si apre adesso un nuovo trentennio che, consumati i successi e gli eccessi dei due precedenti, eredita la somma dei loro fallimenti: la stagflazione (da stagnazione ed inflazione) nella quale assistiamo sia ad un aumento generale dei prezzi (inflazione), sia ad una mancanza di crescita dell’economia in termini reali (stagnazione).

Queste le eredità:

1.   In ambito economico, la pianificazione economica attraverso la proprietà pubblica non ha ridotto le ineguaglianze sociali, i sistemi economici misti (pubblico-privato) non hanno cioè rappresentato alternative valide, sia alle concezioni liberiste sia a quelle collettiviste. L’intervento a sostegno dell’offerta attraverso sussidi diretti e/o nazionalizzazioni ha ridotto lo spirito imprenditoriale. D’altro canto le politiche di stabilità monetaria non sono riuscite a favorire l’imprenditorialità e gli investimenti privati.

2.   In ambito organizzativo il lascito è l’ipertrofia del settore pubblico e la crescente allocazione delle risorse sociali a favore di impieghi non produttivi, rendite e monopoli artificiali.

3.   In ambito politico la sovranità statale ha creato un sistema politico-amministrativo interno a cerchi concentrici costoso ed inefficiente (potere centrale, regioni, province, comuni, circoscrizioni, quartieri); ma il tentativo di sostituirlo, per gestire la globalizzazione, con authority che operano sia a livello sub-nazionale, sia a livello sovranazionale, ha prodotto una miriade di istituzioni, che spogliano lo stato delle sue funzioni di gatekeeper (controllore) per assumere al massimo quelle di gateway (facilitatore).

4.   In ambito sociale misuriamo il fallimento di un progetto di cittadinanza sociale inclusivo (diritti sociali ed economici e politiche ridistributive e compensative di squilibri regionali). Il risultato sono trappole di povertà, conflitti distributivi, spreco di risorse pubbliche e forme di assistenzialismo deleteri.


 

Il primo capitolo da riscrivere in questo nascente stato post-democratico è il graduale allontanamento da ogni programma di pura assistenza sociale, e la progressiva affermazione che per usufruire degli aiuti sociali ci debba essere l’obbligo di lavorare per coloro che ne beneficiano.

L’obiettivo è quello di ridurre il parassitismo sociale, effetto perverso delle politiche sociali ridistributive.

Questa è la carità che uccide: il povero e la società.

Il compito delle comunità locali diventa allora quello di valorizzare sui mercati globali le proprie specificità e assicurare reti di protezione minimali e temporanee a coloro che risultano penalizzati da tali dinamiche competitive.

Le risorse vanno individuate invertendo la massimizzazione del budget delle amministrazioni pubbliche, ormai ostaggio di élite amministrative indipendenti dal processo politico.

A Savona si spendono 14 milioni di euro l’anno in assistenza pura senza speranza alcuna che chi ne è beneficiato debba in cambio svolgere una reale attività lavorativa e quindi possa emergere dal suo stato.

Il povero, l’anziano non autosufficiente, l’handicappato, lo svantaggiato, il carcerato, il migrante, il rom, ecc. non sono inseriti in un programma evolutivo, sono considerati piuttosto una risorsa lavorativa per altri. La loro emancipazione produrrebbe disoccupazione. Il loro status di indigenza è garanzia di benessere per altri.

Nessun pasto però è gratis e la bancarotta è vicina.

Nelle regioni che stanno raspando il fondo del barile per sopravvivere, hanno valutato, secondo me, con un cinismo che non fa loro troppo onore, che un soggetto O.P.G.  (ospedale psichiatrico giudiziario) in processo di inclusione sociale, vale da quattro a sei posti di lavoro. Stiamo parlando di soggetti macchiatisi di gravi fatti di sangue, condannati a pene detentive importanti (talvolta l’ergastolo) che sono impazziti in sede detentiva, attraverso comportamenti violenti,  da subire un ricovero coatto in strutture ultraspecialistiche.

E la chiamano umanità. Quanto potrà ancora durare l’escalation?

NAT RUSSO

 

 

 

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