COMUNISTI

COMUNISTI, SOCIALISTI ET ULTRA

 

 

COMUNISTI, SOCIALISTI ET ULTRA

 

 

Il congresso del Partito dei Comunisti Italiani, in corso di svolgimento a Rimini, ha avanzato una proposta allo scopo di superare la ormai cronica afonia della sinistra italiana.

 

 

Una proposta che, mutuando lo schema di Duverger sui partiti di massa, il segretario del PdCI in un’intervista al “Manifesto”, ha riassunto attraverso la presentazione di una struttura a “cerchi concentrici”: nel primo cerchio un nuovo partito comunista frutto della convergenza tra PdCI e PRC, nel secondo cerchio un rapporto unitario a sinistra con SeL, nel terzo cerchio l’alleanza con il PD nel quadro di un nuovo centrosinistra cui si richiederebbe di tener fuori l’UDC.

Uno schema che, sicuramente, può essere facilmente indicato come “politicista” (tanto per cominciare a usare un po’ di vecchia nomenclatura) e che, comunque, a mio giudizio appare, nel suo primo e nel suo secondo cerchio del tutto limitato e al di sotto della domanda che proviene dallo stato di cose in atto.

L’obiettivo da perseguire, invece, dovrebbe essere quello di tentare da subito la strada della costruzione di una nuova soggettività politica della sinistra italiana, capace di far star dentro alla propria dimensione organizzativa i comunisti, i socialisti et ultra, ovverosia chi si sente rappresentato anche da altre tradizioni storiche della sinistra italiana (penso agli azionisti, alla cui cultura comunque molto si deve della Costituzione Repubblicana) e quanti si muovono, sul piano dei movimenti sociali, all’interno del quadro tracciato dalle cosiddette “contraddizioni – post materialiste” (non soltanto quella ambientale, comunque).

 

Ci sono quattro motivi di fondo che corroborano questa proposta di nuova soggettività: 

1) La violenza dell’attacco liberista mascherato all’interno della crisi. Un attacco che mira, non soltanto a ricostruire condizioni di rapporto di forza sul piano della dimensione di “classe”, ma anche di stabilire nuovi parametri politici al riguardo della possibilità da parte di tutti i cittadini di porsi sul piano dell’eguaglianza in politica, minando alle basi la stessa democrazia rappresentativa. Scriveva giustamente Paul Krugman, qualche giorno fa sulle colonne di “Repubblica”: non siamo agli anni’70, ma agli anni’30, allorquando cioè superata la crisi del ’29 comunisti e socialisti stipularono il patto d’unità d’azione e, in Europa, lanciarono la linea dei “fronti popolari”;

2) La diaspora dei comunisti e dei socialisti in Italia è molto più ampia, dal punto di vista numerico e culturale, di quanto sono riusciti a raccogliere i partiti usciti dalla vicenda degli anni’90: inoltre le giovani generazioni, protagoniste in questa fase della stagione dei movimenti, stentano a trovare gli indispensabili riferimenti politici. Centinaia di migliaia di compagne e compagni sono al di fuori da qualsivoglia riferimento organizzativo, ed un nuovo Partito Comunista non potrà realizzare, su questo piano, una convincente opera di aggregazione. Tanto più che moltissimi non potranno sentirsi rappresentanti dal movimentismo-personalismo di SeL e, meno che mai, dall’avanzante neo-craxismo del PSI;

3)   Soltanto una nuova soggettività politica potrà muoversi liberamente sul terreno della ricerca di nuovi valori ideali e di nuovi obiettivi politici: pensiamo alla pace e alla costruzione dell’Europa politica;

4)    E’ necessario, ancora, presentare un’idea di partito che, sul piano del modello organizzativo, rifiuta quello corrente del “partito personale”, muovendosi invece su di una nuova qualità dell’agire politico che, sulla base del “partito ad integrazione di massa”, pone tre questioni: la maturata convinzione della necessità, all’interno del partito, tra un intreccio tra democrazia rappresentativa e democrazia consiliare; l’utilizzo delle nuove tecnologie al fine di favorire il massimo coinvolgimento di tutti; il rovesciamento nel criterio di formazione delle proposte politiche, attraverso la priorità della policy rispetto alla politics (un meccanismo garantito, quest’ultimo, dalla presenza di una forte “tavola dei valori” condivisa, ben al di fuori da qualsivoglia chiusura di tipo ideologico).

Nella storia del movimento operaio italiano ci furono tentativi importanti di riunificazione a sinistra (pensiamo alla proposta di Longo nel ‘45, e a quella di Amendola, di stampo prettamente, laburista nel’64) tutte infrantesi sul terreno del confronto ideologico e dei condizionamenti internazionali.

I tempi, sotto questo aspetto, sono radicalmente mutati, così che nessuno può permettersi di pensare ad una proposta di questo genere come ad una sorta di ricucitura di Livorno ’21.

Si tratta di paragoni storici del tutto fuori luogo, in questo momento.

La storia, invece, chiama tutti ad un diverso, fondamentale, appuntamento al quale si potrebbe arrivare tentando da subito un’iniziativa di confronto programmatico: per questo motivo mi permetto di rivolgermi direttamente, pur non disponendo di alcun titolo in merito, sia ai promotori del Partito Comunista, sia ai militanti del Network per il socialismo europeo che a metà novembre terranno il loro convegno nazionale, chiedendo loro di tenere in minima considerazione le poche cose scritte in questo testo.

Franco Astengo

Savona,  30 ottobre 2011

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