Cinema: The Grandmaster

 
RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
in sala nella provincia di Savona
The Grandmaster

RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
in sala nella provincia di Savona
The Grandmaster
 

 

Titolo Originale: YUT DOI JUNG SI

 
Regia: Wong Kar-Wai
Interpreti: Tony Leung Chiu Wai, Ziyi Zhang, Chen Chang, Cung Le, Hye-kyo Song, Siu-Lung Leung, Julian Cheung, Benshan Zhao, Qingxiang Wang
Durata: h 2.13
Nazionalità: Cina, Hong Kong 2013
Genere: azione
Al cinema nel Settembre 2013
Recensore Biagio Giordano
In sala nella provincia di Savona 

 

The Grandmaster (Il grande maestro) è un film biografico sul maestro di arti marziali  Yip Man, nato  nella città di Fatshan,  nella provincia di Kwantung nel Sud della Cina, il 14 Ottobre del 1893 sotto la dinastia dei Ching, e morto nel 1972 nel suo appartamento in Tong Choi Street per un tumore alla gola. Fu uno dei più celebri maestri cinesi del Novecento, primo insegnante in ordine di tempo del Wing Chun: basato su uno stile appartenente al Kun fu.

 La pellicola è diretta da Wong Kar-Wai famoso per film di ottimo, collaudato,  pregio letterario: come il drammatico In the moode for love (2000), la commedia  Hong Kong express (1994), e Days of  being wild (1991) drammatico-commovente.


 

 The Granmaster, è stato girato in otto  anni e diversi mesi con un lungo esercizio  dello staff  di attori nell’arte stessa del Kun fu,  esercitazioni costellate da numerosi imprevisti tra cui  infortuni anche gravi.  Con questo film Wong Kar-Wai conferma le sue doti  narrative e le grandi qualità comunicative nel suo tipo di invenzione estetica-fotografica: basata sulla continua variazione delle intensità delle luci bianche, delle luci colorate, delle distanze focali e degli obiettivi, alternando alle scene mobili inquadrature fisse in posa di alto valore compositivo, aspetti visivi che raggiungono un risultato di insieme, narrativo, di grande suggestione e seduzione scopica prossima a forme di ipnotizzazione cosciente.

Da apprezzare del film anche la comunicazione psicologica  proveniente dai profili dei personaggi che appaiono delineati con estrema cura grazie a una gestualità e verbalizzazione composte da significanti visivi e parole scelte con una scrematura  linguistica di grande lavoro intellettivo, all’interno di un lessico strettamente legato allo specifico artistico delle varie lingue sceniche tipiche della cinematografia.

La storia di The Grandmaster si svolge in Cina tra il 1936 e il 1953.


 

Il benestante Yip Man, che in seguito diventerà povero a causa degli attacchi giapponesi in Cina  dopo aver rifiutato di collaborare con un provvisorio governo fantoccio della sua città invasa dal nemico, è tante cose,  filosofo e saggio consigliere di vita per molti allievi e amici, nonché bravissimo interprete del Kun fu. Yip Man diventerà in seguito anche maestro del famosissimo, in occidente,  attore di arti marziali Bruce Lee.

Yip Man, umanista,  si cimenta, prevalentemente nelle arti marziali, con particolare orgoglio e passione, a tal punto da cadere vittima di una grave forma di nevrosi ossessiva, un disagio che, un po’ paradossalmente come spesso accade in questo genere di disturbi, alimenta il suo genio  dandogli un’energia psichica insperata, del tutto inesauribile che risulterà preziosa per il mantenimento del suo scettro di maestro sopra le righe.

Allo scoppiare della guerra cino-giapponese del 1938, che vede inizialmente particolarmente coinvolte le città del nordest del Paese, un altro Grande Maestro di nome Gong Baosen decide di trasferirsi a sud, nella città di Fo Shan dove vive anche Yip Man, e organizza la cerimonia del suo addio alle arti marziali. Per l’occasione viene raggiunto da Gong Er, sua giovane e bella figlia, a cui ha insegnato ogni tecnica di base del Kun fu donandole in più anche alcune sue invenzioni di gran pregio su questo genere che se usate potrebbero  colpire mortalmente. Yip Man e Gong Er incontrandosi mostrano in breve tempo una reciproca forte attrazione.

Le maggiori attese nei colti e ardenti, passionali ambienti  del kung fu cinese,  riguarderanno d’ora in poi   i nomi che entreranno in gioco per la successione del grande maestro Gong Baosen e i modi stilistici preferenziali indicati  dagli anziani per consentire la miglior scelta del nuovo re del genere.


The Granmaster è un film di grande suggestione ambientale, dalle atmosfere animate da pulsioni striate, tinte di vita e di morte, con numerose inquadrature estetizzate da sguardi sfuggenti segnati da desideri e piaceri ambigui, in una Cina  attraversata dai venti impetuosi dell’eclettismo etico, legati a una miriade di culture buddiste sincretiche, dove la raffinatezza stilistica impregnata di laicismo e religiosità vede spesso protagonista, al suo interno, il proprio Io divenuto autoritario e aristocratico, anziché l’Io umile tipico di chi milita senza riserve nella fede buddista.

 Tutto si svolge lungo un gioco clinico, costituito da  impulsi fortemente narcisistici, che contraddistinguono l’abbandono della costruzione filosofica oggettiva  proposta dalle principali dottrine buddiste, facendo precipitare il pensiero più nobile verso la rimozione: in gabbie psichiche chiuse in balia di forme deliranti non più contenibili.

L’opera di Wong Kar-Wai ha il pregio di riuscire a raccontare, con il particolare ausilio della voce fuori campo, una serie molto densa di avvenimenti biografici  e  episodi  storici, in modo facilmente comprensibile, con uno ritmo narrativo lento e sufficientemente articolato tale da rendere chiari i vari significati messi in campo, anche se qua e là il film mostra i segni dell’inevitabile mancanza di tempo e spazio per tutto ciò che si voleva dire, finendo per compiere bruschi passaggi da un evento a un altro senza la necessaria preparazione introduttiva, di tipo allusivo o telefonante, alle costellazioni di   senso della  scena successiva.

I lineamenti culturali dei personaggi mostrano qualcosa di essenziale di sé ma tradiscono in diverse circostanze la paranoia raffinata che li costituisce, ombreggiata di un autoritarismo pervaso dal gioco della morte, fatto di concentrazione e orgoglio per il Kun fu che sancisce già nei suoi modi di proporsi, tra cui il cinismo, l’esaltazione dell’individuo e l’assenza di ogni sensibilità al sociale.

Nelle arti marziali nel ‘900 la Cina era  divisa in Clan o Club dediti al Kun Fu, un’attività quest’ultima prevalentemente di morte, tollerata o giustificata dai più per le sue suggestive implicazioni stilistiche-estetiche di lontane origini feudali. La pseudo cultura individualistica o da Clan che ne conseguirà rimarrà per molto tempo ai margini del grande processo sociale e politico in Cina di quegli anni che sfocerà, a breve termine, nel dominio politico e culturale di un comunismo di portata storica ineguagliabile.

  BIAGIO GIORDANO 

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