CINEMA: Storia di una ladra di libri

 
RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Al cinema in provincia di Savona
Storia di una ladra di libri

RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Al cinema in provincia di Savona
 Storia di una ladra di libri

Titolo Originale: THE BOOK THIEF
Regia: Brian Percival
Interpreti: Sophie Nélisse, Geoffrey Rush, Emily Watson, Ben Schnetzer, Nico Liersch, Barbara Auer, Rainer Block, Oliver Stokowski, Matthias Matschke, Heike Makatsch, Sandra Nedeleff, Hildegard Schroedter, Gotthard Lange
Durata: h 2.07
Nazionalità: USA 2013
Genere: drammatico
Tratto dal libro “La bambina che salvava i libri” di Markus Zusak
Al cinema in provincia di Savona
Recensore Biagio Giordano 

    Germania, febbraio 1938. Il film inizia con una spettacolare ripresa dall’alto di un treno che corre veloce sbruffando grosse vampate di vapore tra  il paesaggio dominato dalla  neve,  una voce fuori campo  proferisce, con una sottile vena di saggezza,  parole forti sul potere vincente della morte rispetto a ogni  forma di condizione  temporale umana,  e invita quindi gli spettatori a meditare durante lo scorrere del  film perché avranno a che fare con essa.


 

In uno scompartimento economico di un vagone del treno Liesel Meminger,  una ragazzina di 11 anni con al fianco sua madre che tiene in braccio il figlio piccolo Rudy, contemplano distratti il paesaggio, i loro sguardi appaiono assenti, forse il loro spirito è tristie.

All’improvviso la ragazzina si accorge sgomenta che il fratellino giace rigido e riverso tra le braccia della mamma, con il naso sanguinante e gli occhi spenti, come se fosse  morto.

Messe in atto da parte delle ferrovie le procedure del caso e analizzato il corpo del piccolo,  Rudy risulta effettivamente privo di vita, il bambino viene sepolto in un cimitero nei pressi della ferrovia  vicina alla zona abitata prossima all’accaduto, finito il rito funebre religioso a uno dei due becchini di turno si sfila accidentalmente da una tasca,  mentre copre con la terra la fossa, un libro dalla copertina nera che va a cadere vicino alla ragazzina.

Liesel molto attratta dai libri, pur non sapendo ancora leggere, lo raccoglie avidamente e se lo infila in tasca senza dire niente a nessuno, scoprirà più tardi con l’aiuto di una persona cara che quel testo discorreva sulla  professione del becchino.

 Abbandonata dalla madre che in quanto comunista è costretta a lasciare la Germania, Liesel viene adottata da Rosa e Hans Hubermann, una coppia di tedeschi per bene, in condizioni economiche non proprio floride, che con l’adozione della ragazzina vedranno assegnato loro  un sussidio.

La coppia è di indole sociale aperta, idealista della pace, ha quindi qualche riserva sulla filosofia e il comportamento persecutorio del regime di Hitler, Rosa e Hans non hanno in nessun caso inclinazioni a fare del male alle persone prendendo a pretesto motivi legati alla loro appartenenza a una razza o a un’ etnia diversa, né sono intolleranti  come il nazismo verso ideologie egualitariste.

Liesel con l’aiuto del nuovo padre apprende molto presto a leggere, inoltre a scuola si farà anche un amico sincero. La ragazzina riuscirà ad amare  anche la nuova madre seppur un po’ burbera.


 Un giorno Hans Hubermann decide di nascondere in casa Max Vandenburg, un giovane ebreo che fugge dai  tedeschi impegnati ad eseguire il piano di rastrellamento a difesa della razza ariana, lo fa per umanità e per un grosso debito morale contratto con il padre del ragazzo durante un episodio di vita drammatico. L’ebreo Max stringerà amicizia con Liesel grazie al comune interesse per i libri.

Hans  dimostrerà di essere per Liesel un padre prezioso, buono e comprensivo, colto,  con la sua erudizione riuscirà a dare un’educazione culturale a Liesel di grande utilità pratica, specifica alle condizioni di vita della ragazzina, cosa che la scuola troppo ideologizzata di nazismo, ormai quindi irreparabilmente segnata dall’odio sociale, non poteva più dare.

In un atmosfera generale di morte e violenza inaudite la ragazza troverà con la forza delle parole, forgiate dalla passione per la lettura e dalla amorevole educazione ricevuta, la capacità di esprimersi e difendersi in un mondo che appare sempre più difficile.

Per quella parte del popolo tedesco contraria al regime nazista e per quell’altra parte illusa e suggestionata dai messaggi del Fuhrer, sarà proprio la cultura, intesa come verità svelatrice della complessità e ambiguità del rapporto con l’altro, a ridare speranza nella rinascita di  una nuova nazione democratica.


 

Sarà proprio l’inaudita offesa portata dal nazismo al cuore della grande cultura tedesca, una follia collettiva durata 12 anni, che troverà per reazione spontanea come unico ostacolo la forza risorgente della tradizione artistica, filosofica, istituzionale, tedesca.

Inconsciamente l’amore per i libri della ragazzina tedesca Liesel, assecondato dalla sua nuova famiglia e dall’ebreo fuggiasco, preannunciano la via generale che porterà alla insurrezione e resurrezione del nobile animo umano tedesco.

Questo splendido film di Brian Percival, regista noto per la serie televisiva drammatica in 4 episodi DOWNTON ABBEY – SEASON, rappresenta per linguaggio visivo e modi letterari della sceneggiatura un ritorno allo stile classico anni ’60, cosa che avviene non senza una certa difficoltà, perché ciò passa attraverso l’utilizzazione di strumenti digitali di fatto non proprio idonei a sostenere certe imprese rieditive.

Il film sottolinea da un punto di vista socio-culturale l’importanza del rapporto adulti-giovani, soprattutto quando si vivono momenti storici molto difficili. Un rapporto che dà forza all’innovazione etica, filosofica, letteraria, sociale, di una nazione portando nelle situazioni  sociali più drammatiche a reazioni di grande portata etica, lungo anche un prezioso legame d’amore con i genitori, biologici o meno che siano, che è tale a volte da moltiplicare il senso di indignazione per le ingiustizie.

Metodiche e accurate le ricostruzioni ambientali del film in Germania nel periodo fine anni ’40, ottima la sceneggiatura che riesce a dare alla narrazione una scorrevolezza pregevole, avvalendosi anche di copiose creazioni di situazioni tese, drammatiche, curiose, ricche di contrasti, e la messa in campo in modo arguto di dettagli simbolici-metaforici-metonimici che condensano e richiamano con forza eventi inauditi, di malcostume e ideologie aberranti accaduti in quei tragici e incredibili 12 anni di vita tedesca.


Su un piano più legato al meccanismo estetico-letterario del film, da sottolineare il riuscito contrasto tra il pudore raffinato della famiglia Hubermann espresso dal film in quasi tutte le sue forme possibili e la vita esterna composta da tutto ciò con cui la famiglia veniva a contatto, come il razzismo, la volgarità, la violenza, l’ideologismo, i tradimenti, la diffidenza, l’anticultura.

 Un meccanismo letterario questo che fa pensare alla vitalità percettiva che può scaturire dalla lettura visiva dello spettatore al cinema, quando il regista o lo sceneggiatore azzeccano le questioni vere  presenti nella realtà e le  strutturano in un dualismo scenico e di pensiero che non può più passare inosservato rasentando quindi l’entrata nello statuto dello spettacolo filmico.

 

 BIAGIO GIORDANO
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