Cinema: Sindrome cinese

 
RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO

Sindrome cinese

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
 Sindrome cinese
 

 (The China Syndrome)

Produzione: USA 1979

Genere: Thrill.

Durata: 130 (122)

Regia: James Bridges

Interpreti: Jane Fonda, Jack Lemmon, Michael Douglas, Scott Brady, Peter Donat, James Hampton, Wilford Brimley

Pellicola: colori

Recensione: Biagio Giordano

 Un’ambiziosa telecronista, Kimberley Wells (Jane Fonda), il suo cineoperatore Richard (Michael Douglas), e il tecnico del suono Hector della Tv americana di canale 3, visitano la centrale nucleare di Harrisburg  nel Ventana (California).

Dopo aver ricevuto spiegazioni molto schematizzate su come una centrale termonucleare riesce a produrre energia elettrica, la troupe, guidata da un tecnico dell’impianto, entra nella rumorosa sala macchine filmando gli impianti, poi si avvia verso la sala di controllo dove, dietro un vetro protettivo, i tre osservano gli operatori di turno al lavoro.


  Gli ospiti televisivi della centrale vengono informati su quel che avviene nella sala operativa dal tecnico guida. Il cineoperatore ospite nonostante il divieto di filmare l’interno della sala, riprende di nascosto quanto in essa sta avvenendo.

  Una forte vibrazione del pavimento e l’avviarsi di alcuni allarmi acustici e visivi nella sala operativa, gettano nel panico i turnisti; il capoturno Jack interviene (Jack Lemmon, Palma d’oro a Cannes) cercando di prendere in mano la situazione, ma mostra incertezze e panico quando legge su un altimetro registratore, bloccato dalle vibrazioni, che il livello dell’acqua di raffreddamento del nocciolo ha raggiunto i livelli massimi.

Il capo turno non consulta l’altro altimetro, quello privo della funzione di registrazione, che segna il valore reale dell’altezza dell’acqua: e che appare come assolutamente non preoccupante.

Jack preso dal panico compie operazioni ad alto rischio, fa aprire alcune valvole di smistamento dell’acqua del reattore e scarica il vapore in sovrappiù infrangendo le norme di sicurezza. Le sue operazioni rischiano di lasciare il nocciolo scoperto d’acqua. Quando si avvede dell’errore richiude le valvole e riesce all’ultimo momento a mantenere l’acqua sul reattore appena al di sopra del valore minimo, proprio quando la discesa costante del suo livello lasciava prevedere il peggio.

Perché quella forte vibrazione, avvenuta esclusivamente nella centrale, e non amputabile quindi a un terremoto?  In seguito essa si ripeterà? Ci saranno in tal caso conseguenze catastrofiche?


  La guida tecnica ha nascosto alla troupe televisiva quanto di grave stava per accadere in quel momento nella centrale: cioè il rischio della fusione del nocciolo, la cosiddetta sindrome cinese (ipotesi scientifica mai provata, essa afferma che in caso di fusione del nocciolo esso sprofonda dal punto della superficie in cui si trova  fino al suo opposto del Pianeta, ad esempio dagli Stati Uniti alla Cina)?

 Il cineoperatore Richard, dall’aspetto di un ecologista radicale, che ha filmato tutto, e la giornalista Kimberley in cerca di gloria mediatica consulteranno un ingegnere nucleare per capire cosa può essere veramente accaduto quel giorno nella centrale del Ventana e nel caso scaturisse una notizia da scoop cercheranno di portarla avanti fino in fondo, giocando la carta del panico popolare sul nucleare.


 Il film, uscito nelle sale americane il 16 Marzo 1979, risultò profetico perché un paio di settimane dopo avvenne un serio incidente nella centrale termonucleare di Tree Mile Island che richiamava ai pericoli legati ai tipi di imprevisti più comuni connessi a questa complessa tecnologia. Problemi per lo più inerenti a guasti al sistema di raffreddamento del nocciolo nucleare che invece di un solo sistema di riserva ne avrebbe bisogno di un secondo, aspetto quest’ultimo che per motivi economici non è mai stato preso in considerazione.

  Il film ebbe nel mondo un grande successo di pubblico, perfino su quello più d’elite, ossia competente o addirittura esperto per quanto riguarda le conoscenze tecnologiche moderne sull’energia nucleare. Invece, la critica cinematografica più severa, rimase un po’ tiepida nel giudizio complessivo dell’opera: sia per quanto riguarda le forme narrative, sia in merito ai profili dei personaggi delineatisi con estrema cura nella pellicola ma un po’ affabulati rispetto ai rispecchiamenti più diretti offerti dalla realtà su questi argomenti.


  Non ha convinto la critica cinematografica il modo con cui si svolgono e si intrecciano gli eventi più significativi del film, inoltre essa ha  disapprovato alcune  costruzioni  letterarie sulle personalità di certi personaggi del film, risultate effettivamente troppo eroicizzate per un film a forte impronta documentarista, sia sul piano operativo che su quello morale, come ad esempio si può intravedere nella parte  svolta dallo stesso protagonista Jack Godell (Jack Lemmon) capo turno della sala operativa,  le cui responsabilità inerenti al suo ruolo vengono dilatate fino al punto da renderle poco credibili, oppure quella del suo nevrotico aiuto vice capo, anziano,  prossimo alla pensione, tentato tra l’essere sempre obiettivo nel giudizio richiestogli sull’operato del suo capo o   mentire ad arte su un aspetto essenziale della vicenda e guadagnare perciò molto di più sul piano del riconoscimento politico del suo ruolo, ben aizzato dai suoi maliziosi dirigenti; finirà anche lui per fare una scelta eroica che lo danneggerà irrimediabilmente?


 In realtà il film è di un buon livello, sia narrativo che contenutistico, Bridges riesce a mantenere un ritmo di genere letterario di denuncia sociale, assai elevato, molto ben studiato nella sceneggiatura, scorrevole grazie all’ottimo lavoro sul montaggio, ma soprattutto il film piace perché tocca, destando curiosità, problematiche reali di forte attualità, da una posizione sufficientemente neutrale.

 Le tensioni nel film, molto forti, sono tali perché suscitano nello spettatore con estrema facilità identificazioni e proiezioni potenti sciogliendosi nei momenti del film calcolato al meglio.

Il film è costruito con un doppio finale che delle attese più largamente in gioco riesce a soddisfare con paradosso retorico: solo ciò che si attende dall’inconscio, ossia l’inatteso.

  Biagio Giordano  

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