CINEMA: Oggetti smarriti

RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
(Girato in darsena a Savona)
Oggetti smarriti

RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
(Girato in darsena a Savona)
OGGETTI SMARRITI

Titolo Originale: Oggetti Smarriti

Regia: Giorgio Molteni

Interpreti: Roberto Farnesi, Chiara Gensini, Giorgia Wurth, Michelangelo Pulci, Francesca Faiella, Davide Paganini, Ilaria Patanè

Durata: h 1.23

Nazionalità: Italia 2010

Genere: drammatico

Recensione versione per Trucioli di Biagio Giordano

Prossimamente in TV  

 Guido, è un quarantenne architetto rimasto orfano di padre da bambino; nel suo ambiente è un professionista affermato ma il suo comportamento tradisce un’inquietudine che nel film mostra alcuni suoi aspetti logici.

Guido è privo di affetti veri e profondi, divorziato con una figlia piccola, compensa i suoi sbalzi di umore oscillanti tra l’euforia e il tono depresso, cercando di godersi una vita convenzionalmente desiderabile, supposta dai più, per abitudine identificativa, bella e invidiabile.

Guido  sceglie  di  soddisfare  un   desiderio  estetico tipo, la  cui  soddisfazione sul  mercato  dell’immagine  possa  funzionare  bene, a volte  magari spopolando di invidia. Qualcosa di ormai radicato  nell’immaginario  collettivo che appare come  idea di  un  godimento legato allo  status simbol: avente  esteriormente a che  fare,  ad  esempio, con le belle donne e le auto di lusso ultimo modello. 


Sia la ex moglie che la bambina sua figlia, Guido non le vede che raramente, cosa questa che gli fa perdere, in particolare verso la piccola, ogni capacità comunicativa.

L’architetto è ossessionato da ricordi che giungono improvvisi, deprimendolo, secondo una logica che a tutta prima pare inafferrabile per poi svelare a tratti una cifra frammentaria della sua vita.

Sono anche gesti e immagini che ritessono un vissuto  in una forma altra, in parte mal rispiegata a se stesso con la razionalizzazione dei ricordi in parte caratterizzata dall’evasione da un pensiero in fuga, zoppicante, ossessionato dall’oblio impossibile del sintomo. 

Il bambino che è in lui, che si rapportava intensamente, magicamente per via dell’età, con il padre poi morto chiede all’Io ritenuto onnipotente di  ricomporre in unità una frammentazione psichica devastante.


Ecco  allora  che  la  figura  paterna  a  un  certo punto tende a scomparire a poco a poco, come  se  fosse  presa  in  un  gioco operativo misterioso, complesso, dominato dalla rimozione che è funzionale  all’inconscio, un gioco che risveglia una psiche più profonda che si muove,  freudianamente,  lungo delle leggi naturali, inesorabili, come quelle del principio del piacere: amorale, asociale, colmo di risorse libidiche preziose per curare i mali, se necessario diventando maniaco.

Quel passato, non più comprensibile e impossibile ormai da accettare nei suoi risvolti più emozionali, si pone in netto contrasto con la vita presente, fatta di una ricerca estetica forte e decisa. Il risultato finale è una dissociazione, una sorta di due tempi dell’emotività, una positiva e una negativa la cui sintesi, rispetto all’esigenza di avere una consistenza reale di piacere e di affettività, è fragile: tanto che poco può lenire del dolore di Guido.

Un giorno la sua ex moglie, Silvia, gli porta a casa la figlia Arianna, per tenerla paternamente con lui per una notte. Guido è imbarazzato, spaesato, quasi sconvolto, sa che gli è impossibile comunicare con la bambina di sei anni che vede in lui un fantasma di padre, del tutto rimosso nei suoi aspetti emozionali e simbolici più significativi, lui è un genitore mancato per la bambina, forse per lei Guido è un padre assente del tutto inspiegabilmente. Guido è per la bambina, ormai, solo un mito paterno offeso con cui lei può solo fare finta di poter ritornare a ricercarne l’amore o a rapportarsi amichevolmente in modo spensierato.


 

Guido sta montando uno specchio e quando torna in camera per completare il lavoro, non trova più il cacciavite: lo cerca pazientemente, aiutato anche dalla piccola Arianna che però all’improvviso sparisce. Guido rimane stupito, invaso da una irritazione cupa e profonda accompagnata da un sentimento penoso di perdita.

Tutto all’improvviso gli è chiaro, egli sta lottando per conquistare o costruire un’identità di genitore divorziato, del tutto rimossa, una identità nuova fondamentale per ricomporsi in una unità psichica e morale.

Inizia così una onirica e surreale ricerca all’ufficio degli oggetti smarriti.

Oggetti smarriti” è un film del tutto particolare, cui il regista – con la sceneggiatura scritta insieme a Giorgio Fabbri – dà uno spessore psicanalitico ricco di raffigurazioni metaforiche e metonimiche che possono essere interpretate o guardate semplicemente per i loro effetti emozionali più diretti, surrealisti.
Protagonisti del film sono Roberto Farnesi, Giorgia Wurth (nel doppio ruolo di ex moglie di Guido e centralinista dell’ufficio oggetti smarriti), Chiara Gensini e Michelangelo Pulci.


Giorgio Molteni è da tempo un regista televisivo affermato, già autore anche di due lungometraggi interessanti come “Il servo ungherese” del 2003 (insieme al regista Massimo Piesco), drammatico, e “Legami sporchi” del 2005, thriller.
Il regista sfugge con questo film ad ogni precisa catalogazione stilistica, mettendo in campo un linguaggio visivo di estremo interesse onirico ma molto attento anche a mantenere aperta una visuale cinematografica intessuta di simboli collaudati, ricca di riguardi verso lo spettacolo, impregnata qua e là, tra le curatissime righe del montaggio, di omaggi fotografici e stilistici a quel cinema che ha mostrato nella storia la parte migliore di sé proprio nell’intrattenimento.

Giorgio Molteni si muove nell’ambito del cinema indipendente, mantenendo quindi una invidiabile libertà espressiva che valorizza al meglio le sue capacità artistiche di regista e coautore.


Il film si svolge a Savona, ambientato verso la fine degli anni ’70, ed è girato nella zona nuova della città, lato porto, denominata “Darsena”, precisamente nel quartiere di vetro con il famoso grattacielo di cristallo ideato dall’architetto spagnolo Ricardo Bofil.

Il film è consigliato a chi ama nel cinema analisi culturali, originalità e freschezza di idee, quest’ultime non disgiunte dal saper cogliere riflessi importanti del costume dei tempi inseriti nella narrazione con stile e gusto.

“Oggetti smarriti” un po’ più filosoficamente sembra voler dire che in fondo gli oggetti vengono smarriti, come insegna Freud, quando diventano metafore di una vita problematica in cui è necessario per sopravvivere giocare sugli spostamenti metonimici dell’inconscio o quando essi richiamano a  logiche desideranti e difensivistiche più profonde la cui economia pulsionale passa per forza di cose dall’Io all’inconscio.  

 

 BIAGIO GIORDANO
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