CINEMA: La quinta stagione

RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Prossimamente in sala in provincia di Savona
La quinta stagione

RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO

Prossimamente in sala in provincia di Savona
La quinta stagione

 

Titolo Originale: LA CINQUIÈME SAISON

 

 

Regia: Jessica Woodworth, Peter Brosens

Interpreti: Aurélia Poirier, Django Schrevens, Sam Louwyck, Gill Vancompernolle

Durata: h 1.33

Nazionalità: Belgio, Olanda, Francia 2012

Genere: drammatico

Al cinema nel  2013

Recensore Biagio Giordano

Prossimamente in sala in Provincia di Savona

Un’inspiegabile sventura naturalistica colpisce diversi paesini delle Ardenne in Belgio, tra cui Onhaye: la primavera  ritarda,  a tal punto che sembra non arrivare più. Questo evento, unico, mette  seriamente in  pericolo la salute mentale  dell’intero paese e tutta la sua vita economica  basata prevalentemente  sulla agricoltura e l’allevamento di mucche, galline, api.

L’esistenza contadina appare sconvolta dall’arresto di un ciclo plurimillenario. Dai solchi dei campi arati non fanno più capolino le tanto attese spighe di grano, gli alberi non germogliano, le mucche non producono latte  inducendo gli addetti all’igiene al  sequestro degli animali ritenuti malati.

Alcune specie di uccelli muoiono, le api inspiegabilmente abbandonano la zona, il gallo all’alba  rimane muto e le galline sono molto  depresse, quasi ferme, inanimate,  a tal punto da  non desiderare più cantare; diversi alberi rinsecchiscono e si frantumano violentemente al suolo, numerosi pesci d’acqua dolce muoiono rilasciando sulla superficie   un’atmosfera di morte che colpisce impietosamente gli sguardi dei passanti  angosciati, i loro corpi galleggianti  in decomposizione  sferzano duramente i residenti costringendoli  a  perdere ogni speranza. I semi dei fiori non si  aprono  lasciando prevedere  una triste  stagione senza profumi e boccioli colorati.

 Inoltre il consueto rituale popolare della fine dell’inverno,  che è una sorta di festa solenne dai tratti esorcistici, di antica tradizione, non  riesce a concludersi. Il rito è una vera e  propria celebrazione contadina, danzata e ricca di  allegria,  solennizzata da modi severi di interpretarla: con l’incedere in posa dei movimenti del corpo e le intonazioni verbali espresse in forma ieratica, fortemente mistiche, giustizialiste.  Viene messo su un  vero e proprio processo sulle particolari durezze portate nel nord dell’Europa dalla stagione invernale, personificata in questo caso da un fantoccio di frasche, di rametti strettamente legati destinato al fuoco purificatore per ogni pena e fatica  patita dai contadini. 


 

Al momento di  accendere il falò, che dovrebbe far giustizia dell’inverno bruciandone l’effigie umana di fronde che lo rappresenta, inspiegabilmente i rami secchi in pilati alla rinfusa, non prendono fuoco, lasciando tutti allibiti, increduli, smarriti.

La figura di maggior spicco in paese è l’adulto Pol (Sam Lovwyck). E’ uno straniero intelligente, dai pensieri saggi, con un genere di riflessione  che appassiona più  emotivamente che razionalmente, capace di trasportare con parole chiave di forte effetto,  oscure realtà che stanno alla base  della sofferenza  esistenziale specifica di quel paese, verso un immaginario confortevole e ricco di poesia.

Pol dialoga con molti contadini di Onhaye, ma non ha alla fin fine vere e proprie amicizie, fino a quando due ragazzi, inaspettatamente, mostrano per lui un particolare affetto frequentandolo assiduamente, sono  Alice (Aurelia Poirier) e Thomas (Django Schrevens)).

Essi sono rimasti colpiti  dalla  profondità e dalla semplicità dei suoi pensieri che nonostante la situazione sembrano riuscire a dare un senso altro alle cose che accadono,  liberando anche nuove  affettività nelle relazioni anziani-giovani, facendo cioè sognare diverse possibilità di comportamento profondo valide per ciascuno: lungo un immaginario più aperto al desiderio di comporre pensieri.

Ma la cultura delle persone di quella zona è scissa, essa è nello stesso tempo accogliente e xenofoba, tollerante ed esterofila, laica  ma anche superstiziosa rispetto a quegli eventi naturalistici nuovi e devastanti che non capiscono; più avanti  un giovane contadino, razzista, dallo sguardo feroce aggredirà violentemente il filosofo Pol con il figlio in spalla umiliandoli profondamente, l’episodio avviene  mentre il filosofo partecipa insieme alla comunità a un rito pagano: all’accarezzamento degli alberi con un panno, un gesto manuale legato a tradizioni locali finalizzate a calmare  l’ira della natura.

In merito allo spaventoso  problema  naturalistico abbattutosi nel paese, Pol consiglia, in una accesa riunione tra residenti, la distribuzione razionale  delle risorse fin lì immagazzinate, cosa che non  tutti accetteranno  in particolare quelli con più beni prodotti accumulati rispetto agli altri.


 

Pol è un filosofo esistenzialista, che non ha potuto finire gli studi universitari. E’ stato abbandonato dalla moglie pianista appena gli è nato il figlio, che ora accudisce amorevolmente in una carrozzella. L’uomo è solo provvisoriamente in paese, in quanto per il suo mestiere di apicoltore è costretto a  spostarsi in posti diversi, inventandosi, a volte, a seconda delle circostanze createsi nei luoghi di visita,  nuove attività. Pol usa per viaggiare una roulotte trainata da una auto da trasporto merci.

La figura di Pol a un certo punto diventa sempre più indesiderata in paese, ciò a seguito della salda amicizia con i due ragazzi Thomas e  Alice, nonché a motivo dei suoi discorsi filosofici sempre più astratti, divenuti incomprensibili,  scambiati a un certo punto per formule magiche. I  propositi poi  di  Pol, cittadino umanista senza residenza con una mentalità apertissima, sono di andare verso nuove regioni del pianeta nella speranza che quel fenomeno negativo che sta vivendo non si presenti, queste intenzioni ascoltate in segreto da un residente fanno scatenare l’ira del paese.

Che evoluzione avranno i drammatici eventi in corso nel paese belga di Onhaye?

La quinta stagione è uno splendido film di genere culturale-filosofico, che mette al centro della narrazione alcuni pregiudizi del mondo contadino nordico, la pellicola  prende in considerazione, argutamente, mettendola  sotto accusa, la credenza assolutistica nella circolarità degli eventi naturali, ritenuta eterna ed ineluttabile,  una credenza molto diffusa già nel 400 avanti cristo  di cui c’è testimonianza negli scritti dell’autore biblico Qohelet (o Ecclesiaste) del vecchio testamento.

Le stagioni, sembra voler dire il film,  non ritornano mai allo stesso modo,  mutano, non sono indifferenti alla storia umana che in qualche modo incide su di loro con la gigantesca produzione industriale ormai globalizzata e i gli innumerevoli  interventi biogenetici sulle piante e la vita organica in generale. E’ un cambiamento lento, molto sfumato,  ma sufficiente a far dire  che il  movimento delle stagioni assomiglia più a una spirale che a un cerchio. L’uomo allora sta rompendo il loro ciclo?

Il film dopo aver articolato l’immenso dramma provocato dalla natura al paese, lascia verso il  finale  un messaggio di speranza, facendo comparire degli struzzi in primo piano, animali che nella mitologia egiziana rappresentavano la fortuna e il cambio positivo della direzione del vento in sintonia con una volontà umana divenuta di nuovo forte, propositiva, rinascente dopo cocenti delusioni.


Molto curata e tecnicamente riuscita la fotografia, assolutamente originale nelle inquadrature, nella rivisitazione specifica dei luoghi, nella luce, nella ricerca degli effetti suggestivi con soggetti praticamente mai sperimentati prima e un grand’angolo nelle scene di gruppo con persone diradate  esasperato al massimo: di grande efficacia luminosa e nitidezza di profondità di campo.

Fotografia che con il suo scandagliare, nelle scene prive di sonoro, innumerevoli dettagli  di lavoro e ingrandire aspetti di vita impregnati  di figure di un bene subdolo,  intriso di male, contribuisce notevolmente a rafforzare l’idea nello spettatore di trovarsi di fronte a  un mondo contadino misterioso, complesso, certamente non buonista come forse era facile credere un tempo, da ragazzi,  un mondo ancora prigioniero di un lavoro che non permette soste prolungate di nessun tipo né abbandoni poetici liberi dalla fatica, un sociale scisso di un bene e di un male che si combinano oscuramente disegnando volti e sguardi ambigui. Un mondo stordito dalla magia seducente della natura non sempre proprio benigna, a cui la  vita della comunità è  del tutto appesa a volte tragicamente. Una realtà socio-economica difficile a cui non è garantita neanche la circolarità regolare degli eventi, messa in discussione dal comportamento irrazionale dell’uomo nei confronti della necessità della difesa ecologica razionale dell’ambiente agricolo, delle acque, dell’atmosfera.

   BIAGIO GIORDANO

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DI BIAGIO GIORDANO

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