Cinema: La possessione

RUBRICA SETTIMANALE DI BIAGIO GIORDANO
Al cinema autunno 2012
La possessione

 

RUBRICA SETTIMANALE DI BIAGIO GIORDANO

Al cinema autunno 2012

La possessione

 Titolo Originale: THE POSSESSION

Regia: Ole Bornedal
Interpreti: Jeffrey Dean Morgan, Kyra Sedgwick, Madison Davenport, Natasha Calis, Agam Darshi, Grant Show, Rob LaBelle, Quinn Lord, John Cassini, Nana Gbewonyo, Erin Simms
Durata: h 1.31
Nazionalità: USA 2012
Genere: horror
Al cinema autunno 2012

  Recensione di Biagio Giordano

 
 

Secondo alcune tradizioni  ebraiche intrecciate con religioni probabilmente monoteiste, il   Dybbuk, noto anche come Dibbuk di cui uno dei significati riguarda la parola “legame”, è  l’anima di un defunto che, a differenza di quanto comunemente si pensa, entra nel  corpo  di una  persona vivente con uno scopo ben preciso: quello di ottenere una nuova opportunità nell’aldilà.
 
E’ una sorta di spirito errante, divenuto tale in  quanto, per vicende esistenziali e condotte morali negative non rispondenti alle norme religiose in atto nella tradizione vigente, non  ha potuto avere accesso post vita alla Sheol (Sh’ol), l’aldilà dei morti, oppure  al contrario perché  l’anima del defunto attirata da una situazione favorevole è riuscito a spingersi fuori dalla Gehenna, uno dei luoghi del al di là. La Gehenna è  una zona infernale (letteralmente discarica dove si bruciavano i rifiuti) in cui vengono puniti col fuoco certi peccati piuttosto gravi. Allo spirito, che è anche protagonista di questo film The possession di Ole Bornedal, viene quindi data in genere un’altra possibilità di riscatto che passa attraverso l’accettazione della sua trasfigurazione nella forma di un Dybbuk, che rimane rinchiuso in uno cofanetto di legno senza serratura. Se questo spirito, grazie a chi è riuscito ad  alzare il coperchio, avrà la fortuna di uscire dal cofanetto e ad entrare nel corpo di una persona viva, potrebbe ritrovare la desiderata via del regno dei morti, a volte questo può accadere con la collaborazione stessa del vivente posseduto, sempre che costui riesca a superare il terrore causato dalla presenza di una entità estranea nel suo corpo. Se invece chi è stato invaso chiama per paura un esorcista, in questi casi un rabbino adatto a scacciare via l’essere estraneo con un rituale ebraico, lo spirito invasore vista minacciata la possibilità di raggiungere il suo scopo principale, si avventa ferocemente sul nuovo venuto, portatore del sacro legato a un giudizio universale, per ucciderlo.

La credenza nel Dybbuk, nel XVI secolo era assai diffusa in gran parte dell’Europa dell’est, ed era collegata a un antico mito, una sorta di leggenda dalle pieghe fortemente metafisiche,  chiamata Gilgul (letteralmente metempsicosi nell’ebraismo): che si riferiva alla trasmigrazione delle anime inquiete nel mondo dei vivi, nelle loro diverse forme penetrative o reincarnative, una credenza risalente all’epoca del misticismo ebraico del XIII secolo.

Il Dybbuk ritorna agli inizi del 1900 con l’opera teatrale Der Dybbuk di S. Ansky che viene  portata in scena con successo in diverse parti del globo. Se ne trovano tracce anche nel film horror Il mai nato (The Unborn), diretto nel 2009 da David S. Goyer, in cui l’anima errante viene combattuta con l’esorcismo da un rabbino coraggioso (bravo il cast con gli attori Odette Yustman e Gary Oldman).

Nel film The possession un’anziana signora apre un cofanetto misterioso, di legno pregiato, trovato al mercatino dell’usato, risalente a una età molto antica, su cui appaiono impresse delle inquietanti parole in ebraico. Il gesto avviene in una atmosfera tesa e resa angosciante da una musica misteriosa che evoca stati d’animo mistici tali da far  venire in mente le varie sfaccettature fantasmagoriche procurate in genere da un rituale sacro. L’anziana, percependo una strana presenza, da lei avvertita erroneamente come esclusivamente maligna, tenta di praticare in una forma un po’ dilettantesca un esorcismo ebraico, ma poco prima di iniziare il cerimoniale vero e proprio, lo spirito, che nel frattempo ha compreso cosa la donna gli stava per far accadere di negativo, scaraventa violentemente  l’anziana sul pavimento, dove rimane svenuta e sotto shock.

 

    Che evoluzione avrà in seguito il racconto del film? Riuscirà lo spirito, che  assume sembianze aggressive solo perché troppo diverso dagli altri e timoroso dell’ambiente, a trovare la comprensione necessaria, da parte anche del posseduto, tale da fargli guadagnare un posto  nel regno dei morti?

   Ole Bornedal predilige girare film thriller ed horror, ricordiamo nel 1994 Il guardiano di notte con Nikolaj Waldau un thriller apprezzato sia dal pubblico che dalla critica; nel 2007 Vikaren un horror, con Paprika Steen, di buona fattura professionale e di una certa originalità anche nei contenuti.

Questo splendido film dal titolo un po’ cupo The possession, è stato poco apprezzato dal pubblico e dalla critica per via di una sua presunta somiglianza con una non ben precisata serie filmica sul demonio, la cosa appare incomprensibile perché il film ha canoni espressivi del tutto originali, tanto da far pensare che il poco apprezzamento sia dovuto soprattutto a una disattenzione o a una incapacità su questo genere di film, dei critici e del pubblico ad osservare e mettere in relazione tra loro  le diverse istanze simboliche che il racconto presenta.

Forse non si sono sufficientemente analizzati tutti i particolari presenti nel film soprattutto nella loro più profonda relazione con la storia delle religioni.

Ad una più attenta disamina dei numerosi dettagli simbolici e metaforici si scopre infatti che alcuni di essi sono impregnati di un significato sacrale e anche per certi aspetti teologico di grande rilevanza storica nelle religioni del medio oriente, qualcosa cioè di particolare che  maggiormente approfondito porterebbe oggi anche una maggior comprensione del comportamento e della conoscenza  del costume di quei popoli.

Il film ordina in modo coerente e a più riprese tutta una simbologia ancora attiva dandogli un contesto romanzato ricco di pregevoli effetti di suggestione e di un certo spessore  contenutistico, tutto ciò è sufficiente per portare il film lontano dalle secche interpretative giornalistiche riguardanti una possibile considerazione di tipo superficiale del racconto, opinioni manierate di quotidiani che tendono in qualche modo a ricercare sempre in ogni pellicola non da autore tratti filmici di tipo fotocopia, duplicati di altre pellicole che l’hanno preceduto.

Il film evoca con veemenza cinematografica di alta professionalità la complessa questione dello spiritismo e del paranormale nel nostro contesto civile, intesi oggi come residui di un trascorso storico intenso che non vuol passare del tutto inosservato e che proprio perciò si afferra tenacemente e disperatamente, ai bordi della modernità per non morire, forse con la speranza un giorno di risalire sopra la sella della razionalità più viscosa e guidarla in un’altra direzione, privandola dapprima delle sue istanze di protagonismo negative, quelle che scarnificano ogni forma di spirito, e farla approdare in nuovi e affascinanti porti mistici: dagli orizzonti finalmente sconosciuti.

E’ un passato, quello spirituale, segnato da forti pregiudizi religiosi, orrori demoniaci di ogni forma, fantasmi dalle infinite peculiarità espressive, innumerevoli spiritualità  materializzatesi misteriosamente alla vista dei viventi, tutta una fenomenologia  spesso male interpretata e che ambisce a mantenere ancora una posizione sia nel presente che nel nostro futuro, ricordandoci per vie paranormali i limiti della scienza, esibendo prove della propria esistenza di tipo fisico-fenomenologico attraverso la testimonianza dei cinque sensi umani appartenenti a chi ha avuto la possibilità e la fortuna del contatto con essa.

Il film ci ricorda quindi i nostri gravi pregiudizi su questa delicata materia relegata dalla modernità ai margini della vita, privata dell’esplorazione di preziosi occhi psichici antichi. Una materia  la cui spiritualità fisicizzata è costituita da atomi ancora per noi inspiegabilmente sconosciuti.

La pellicola mette a fuoco i preconcetti dell’oggi su questo argomento che appaiono  rafforzati, paradossalmente, proprio dall’arroganza metodologica del discorso scientifico  il quale, spinto da interessi economici sempre più particolarizzati che vanno in direzione di un utile a volte di dubbio valore, tende a escludere o a combattere ogni verità fenomenologica che non abbia la possibilità, su semplice richiesta della scienza, di replicarsi in laboratorio. Cioè di riprodursi in un asettico e freddo locale scientifico che per il paranormale rappresenterebbe davvero uno spazio-tempo insignificante per via dell’assenza di una psiche umana disponibile al contatto, come indubbiamente  è quella degli scienziati.

BIAGIO GIORDANO

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