Cinema: Il settimo sigillo

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Il settimo sigillo
(Det Sjunde inseglet)

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
IL SETTIMO SIGILLO
(Det Sjunde inseglet)

 

Il settimo sigillo (Det Sjunde inseglet)

Sve. 1956

Regia: Ingmar Bergman

Attori: Max von Sydow, Gunnar Björnstrand, Gunnel Lindblom, Bengt Ekerot, Bibi Andersson, Nils Poppe

Genere: Dramm.

Durata: 96′

Fotografia: BN

Autore letterario: Ingmar Bergman (da Pittura in legno, opera teatrale, atto unico)

Apertura del settimo sigillo:

“Quando l’Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio nel cielo per circa mezz’ora.

Poi vidi i sette angeli che stavano in piedi davanti a Dio, e furono date loro sette trombe.

E venne un altro angelo con un incensiere d’oro; si fermò presso l’altare e gli furono dati molti profumi affinché li offrisse con le preghiere di tutti i santi sull’altare d’oro posto davanti al trono. E dalla mano dell’angelo il fumo degli aromi salì davanti a Dio insieme alle preghiere dei santi. Poi l’angelo prese l’incensiere, lo riempì del fuoco dell’altare e lo gettò sulla terra. Immediatamente ci furono tuoni, voci, lampi e un terremoto.” (Da L’apocalisse di Giovanni cap. 8)

Il settimo sigillo di Ingmar Bergman, uscito nel 1956 in un’epoca di rigide appartenenze politiche e religiose, è uno dei più coinvolgenti film filosofici degli anni ’50 e ‘60.

In questo film Bergman si esprime ancora in modi stilistici vicino al teatro, alternando però al fitto dialogo una straordinaria cura della fotografia ammirabile nei volti in primo piano dei personaggi e nel paesaggio della natura svedese.

Nel ricco simbolismo del film si possono scorgere, a tratti, innesti figurativi di origine espressionista, come la famosa scena di disperazione di Block che vede il cavaliere confessarsi con la morte (nelle vesti di un monaco), anziché con un sacerdote vero, forse nel difficile tentativo di trovare risposte certe ai suoi interrogativi sull’esistenza di Dio. 

Con queste felici combinazioni espressive, magistralmente supportate da una sceneggiatura erudita ma assai scorrevole, il regista svedese riuscirà a rappresentare efficacemente la vita simbolica e onirica svedese del tredicesimo secolo, un’epoca ancora fortemente influenzata dal misterioso potere del sacro.

Bergman con questo film si avvicina, in modo superlativo, alla perfezione stilistica a lungo ricercata.

Nella sua vita di artista il regista svedese si dedicò dapprima alla regia teatrale lavorando appassionatamente come soggettista e sceneggiatore in collaborazione con Alf Sjoberg e Gustav Molander, da questa esperienza Bergman trarrà ispirazioni per formulazioni cinematografiche di notevole pregio, tra queste risplenderà per sublime forma proprio Il settimo sigillo. Questo film rappresenta uno dei lavori più significativi di Bergman, egli ne è anche autore letterario e teatrale.

Il regista svedese arriva a realizzare quest’ opera nel 1956, dopo una serie di pellicole che vedevano maturare velocemente le sue capacità sia nella regia sia nella costruzione di suggestivi scenari confessionali.

Il Settimo sigillo è un magistrale percorso anche nei meandri più vivi e inquieti dell’animo umano universale.

Il film si affermerà in tutto il mondo per la riuscita tecnica del dialogo interiore e la chiara formulazione di alcune questioni filosofiche e religiose che attraversano senza legami di tempo quasi tutta la storia umana. 

Bergman svolge temi di forte impatto emotivo, con lucidi riferimenti autobiografici, ma è sempre attento a cogliere anche la validità storica di un enunciato visivo, fedele al suo impegno verso una creazione cinematografica che richiami a un dialogo vivo le parti più buie o ombrose della personalità degli spettatori.

In quest’opera di Bergman i temi sulle inquietudini umane legate al senso della vita e all’identità religiosa saranno svolti con ammirevole sobrietà, senza mai indulgere in complicate formulazioni filosofiche o regressioni dai toni consolatori.

A distanza di anni il film non sembra perdere la sua carica suggestiva e la validità dei contenuti, anche se oggi i suoi messaggi e i modi espressivi che lo animano sono percepiti in una diversa prospettiva critica, molto lontana da quella dei critici di allora che amavano spesso vedere immagini della filosofia protagoniste dei film.

La pellicola è ambientata nella Svezia del 1300, in un contesto storico medioevale impregnato di forti e violenti fermenti religiosi dominati da pregiudizi che spesso si piegavano in giustizialismi omicidi. 

L’opera in bianco e nero riesce a creare un’atmosfera mistica straordinaria alla cui forza suggestiva contribuiscono anche le splendide riprese minuziose della paesaggio svedese.

I tesori artistici, figurativi e musicali, ispiratrici del film sono: I Carmina burana che sono poesie-canzoni medievali goliardiche i cui testi sono stati rinvenuti nel 1803 a Brno antica Buranum detta anche Beuren sotto l’impero austriaco, musicati da Carl Orff (1895-1982) in pieno novecento, l’orientamento musicale dei Carmina burana da alcuni critici è considerato, dal punto di vista estetico, vicino alla sensibilità ideologica filo-nazista. Poi il dipinto Il cavaliere, la morte, il diavolo di Durer, il dipinto Il trionfo della morte attribuito a Orcagna (Andrea di Cione 1343-1368, Firenze) che nel film trova espressione insieme ai famosi dipinti medievali sul trionfo della morte nella mitica scena della processione dei flagellanti, le Incisioni in legno di Hans Beham, e il lavoro teatrale di Bergman in atto unico: Pittura in legno del 1955.

Le immagini brillano di una forza espressiva senza pari suscitando un’affascinante evocazione dell’antico. Alla loro formazione hanno contributo le vecchie e numerose chiese svedesi nonché le grandi biblioteche storiche nazionali.

Di rilievo nel film sono anche gli aspetti ritualistici e mistici della vita popolare, in parte desunti dalla storia religiosa e mitologica dell’epoca. Essi raggiungono un apice espressivo nelle scene della flagellazione-autopunitiva e nelle innumerevoli rappresentazioni legate alla danza della morte con cui si conclude il racconto: importante motivo pittorico medievale.

Con questo film Bergman dimostrerà di aver imparato a districarsi bene in quei numerosi meandri tecnici in cui avviene la traduzione in immagini di quei concetti che sulla carta scritta risultano complessi.

Il 7° Sigillo susciterà un forte interesse di critica. Stimolerà per anni dibattiti e scritti in ogni parte del mondo occidentale.

Da un punto di vista un po’ più esistenziale Bergman rifiuta di dare con questo film risposte certe, s’impegna soprattutto in una costruzione chiara e suggestiva dell’enigma dell’esistenza, ponendosi al di là di ogni soluzione sicura e confortante.

Il settimo Sigillo rappresenta come tema filosofico lo smarrimento angosciato dell’uomo, quando una pandemia assai devastante comincia a far vedere all’orizzonte l’arrivo precoce della morte. Una figura triste e inquieta, che si incarna in un uomo non ancora anziano, e che prende forma col personaggio del cavaliere Block.

Il film è girato in Svezia a Hovs Hallar riserva naturale di Skane lan.

Il capolavoro di Bergman narra la storia del cavaliere Block e del suo scudiero Jons di ritorno dalle crociate in terra Santa. La pellicola inizia inquadrandoli sulla spiaggia svedese, dove è approdato il loro vascello, i due sono prossimi a intraprendere un lungo cammino verso il proprio castello, dove gli attendono i familiari.

Sulla spiaggia Block, all’improvviso, intravede la morte, personificata da un monaco dal saio nero, dopo un momento di stupore essa gli annuncia la sua prossima fine. Il cavaliere turbato vuol prendere tempo per capire di più dei misteri della vita e di Dio. Sfida quindi la morte a scacchi: la posta in gioco è anche la sua stessa vita, ma la Morte non ha mai perso una partita.

Proseguendo lungo la costa Block e Jons incontrano la morte reale rappresentata dalla pandemia che flagella i paesi della zona; più in là nella campagna scorgono un carrozzone di saltimbanchi sorridenti, simbolo di vita e incarnazione della felicità; è una coppia di attori girovaghi intenti ad accudire amorevolmente il figlio piccolo.

Nasce subito una bella amicizia tra Block e gli artisti girovaghi. Una simpatia confidenziale che diventerà una chiave per capire ciò che la narrazione del film racchiude. Block inizia un rapporto con loro ricco di amore e gesti significativi, cose che trascineranno all’improvviso lo spettatore in una dimensione di pace. Da questo momento nel film egli si gusta, immerso nella intatta natura svedese, tutta la bellezza poetica di un mondo che sembra voler cambiare in fretta.

Con quell’amicizia i pensieri di Block sulla morte sembrano attenuarsi e s’impone a lungo nella sua coscienza l’allegra immagine di vita campestre dei saltimbanchi; una famiglia di attori, felice, con poche cose, indimenticabile per la gioia che trasmette. Essa è protagonista di splendide sequenze sceniche, ricche di pace e d’amore in una campagna fiorita che sembra in grado di far desiderare l’immortalità. 

Quel rapporto porterà Block alla decisione di spingere la propria elaborazione esistenziale alle estreme conseguenze.

Nel racconto del film un tragico evento naturale, come quello della peste, accelera nel cavaliere un ripensamento filosofico sulla propria vita.

Il cavaliere Block, dopo un lungo peregrinare, si trova prigioniero di forti ossessioni, connesse enigmaticamente al senso della sua vita passata. Esse sono costituite da pensieri di rimpianto e di colpa. Il cavaliere ha sempre cercato una vita a propria misura: lontana da quei sentimenti di fraternità e di amore verso il prossimo che secondo la tradizione cristiana avvicinano all’amore più grande, quello verso Dio.

Dio diventa una figura carica di un potere nuovo, una forza giudicante ultima che lo interroga sul senso etico della vita.

Non è più il Dio che immaginava da giovane: riflesso deformato di un narcisistico sguardo allo specchio, ma un Dio etico. 

Il suo io si anima di ricordi colpevoli. Essi diventano poesia intrecciata di lirismo. Immagini che vogliono allontanarsi sempre più dal suo precedente egoismo di giustiziere: vissuto e coltivato per la propria gloria, lontano da ogni forma di amore per gli altri.

Ma è troppo tardi, Block è solo, i suoi pensieri non trovano ascolto.

Solo la morte, ponendosi tra la vita e l’ignoto, sembra in grado di dire qualcosa di più intorno all’esistenza di Dio. Ma essa dialogherà con Block solo sulla vita, in una forma da confessionale, portandolo a calcolare il bilancio esistenziale di un vissuto.

Scene di amore e morte, speranza e sofferenza, solitudine e ricerca disperata di Dio, s’intrecciano imperiosamente creando raffigurazioni abbaglianti, vicine al delirio e interrogativi esistenziali di grande portata poetica ed evocativa.

In Blok sembrano destarsi antiche e sofferte verità, non accetta le immagini del suo passato, la sua è una forma di dolore che troverà pace solo in un’espiazione redentrice. Il dovere di cercare di salvare gli artisti girovaghi dalla morte per pandemia gli offrirà l’occasione giusta per redimersi.

La morte personificata dal monaco non darà risposte agli interrogativi del cavaliere, le domande esistenziali di Block cadranno nel vuoto, e non riuscirà a conoscere ciò che interroga da secoli quella parte dell’animo umano che più è protesa verso Dio e l’immortalità.

Blok dovrà accontentarsi di un “…forse Dio non esiste” pronunciato sommessamente dalla morte a una sua domanda precisa. Vano sarà il suo tentativo di entrare in contatto col demonio attraverso una ragazza ritenuta posseduta, per avere la certezza attraverso le opere sopranaturali negative del demonio della esistenza di Dio per contrasto.

Le angosce procurate in Block dalle mancate risposte svaniranno quando il cavaliere riuscirà a salvare i girovaghi dalla peste. Blok terrà a bada la morte consentendo ai girovaghi di fuggire, che troveranno rifugio in una zona lontana dai flagelli di quel male, riscattandosi così dal senso di colpa per aver scelto di affrontare la vita con estremo egoismo.

Salvandoli e facendo sì che dentro di lui l’immagine della loro felicità riuscisse a conservarsi nel tempo Blok risorge, la sua vita interiore si trasforma, anche se solo per un tempo breve.

Dopodiché  Il cavaliere si avvierà danzando verso la morte.

   Biagio Giordano 

 

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