Cinema: I misteri di un’anima

 
RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
I misteri di un’anima

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
I misteri di un’anima
 

 Genere: drammatico

Titolo originale: Geheimnisse einer Seele
Paese/Anno: Germania | 1926
Regia: Georg Wilhelm Pabst
Sceneggiatura: Colin Ross, Hans Neumann
Fotografia: Curt Oertel, Guido Seeber, Robert Lach
Interpreti: Colin Ross, Hertha von Walther, Ilka Grüning, Jack Trevor, Lili Damita, Pavel Pavlov, Ruth Weyher, Werner Krauss
Produzione: Neumann-Filmproduktion
Durata: 62′
Recensione di Biagio Giordano

Premessa storica e commento.

Negli anni venti, Sam Goldwyn è uno dei più potenti produttori cinematografici di Hollywood.

Un giorno, nel dicembre del 1924, a bordo del transatlantico che lo conduce in Europa per affari, dichiara a un giornalista del “New York Times”: ” Ho pensato di andare a trovare Freud per avere un colloquio con il più grande specialista d’amore del mondo”(1).  Sam Goldwing ha in mente di proporre all’esperto di psicanalisi un’assistenza per una sceneggiatura filmica riguardante una storia d’amore: un racconto per un film muto che, per lo più costituito da un linguaggio di immagini, fosse in grado di far trasparire, con l’ausilio di opportune raffigurazioni simboliche, la logica inconscia che favorisce o determina il sorgere dell’innamoramento.


 Il padre della psicanalisi legge l’articolo ma manifesta subito una forte reticenza nell’accettare la proposta. Freud è assai scettico, sopratutto nel considerare il valore artistico del Cinema compatibile con opere legate alla psicanalisi. Egli pensa che la settima arte sia per lo più un’industria dei sogni, inadatta a rappresentare casi di nevrosi osservati nella loro evoluzione analitica, cioè a partire dal lettino dello psicanalista.

Freud vede il cinema al pari di una moda, quindi come una tendenza del momento, seppur, indubbiamente egli sia cosciente che già allora la settima arte non potesse non essere considerata, dalle più importanti istituzioni culturali occidentali, come un mass media particolare, di grande successo popolare e quindi di notevole importanza comunicativa e politica.

Per Freud il cinema è per lo più un modo di raccontare ipnotico, il cui gusto narrativo che ne deriva appare di volta in volta condizionato dalla forza mediatica stessa dell’industria cinematografica: sempre alla ricerca del sogno tipo, che sia storicizzabile, catalogabile, chiaro, appartenente nell’intimo al cittadino medio del momento.

Freud tramite stampa fa sapere pertanto che non intende avere colloqui con il signor Sam Goldwing. Il “New York Times” allora scrive: ” Freud snobba Goldwing. Lo psicanalista viennese non è interessato all’offerta del cinema” (2). Dopo qualche mese gli psicanalisti Abraham e Sachs sono interpellati dalla UFA, la maggior società cinematografica della Germania, per un documentario sulla psicanalisi. Il progetto prevede la regia dell’austriaco G. W. Pabst. “Il film – scrive Freud a Ferenczi – non lo si potrà evitare, sembra, così come oggi non si può fare a meno dei capelli tagliati alla maschietta: io i miei non li ho tagliati in quel modo e non voglio avere rapporti di sorta con il cinematografo” (3).


La produzione del film ha finalmente inizio.

Alla morte di Abraham, nel dicembre 1925, Sachs si occupa del progetto. L’analista viennese, Sigfried Beenfeld, scrive il copione per il film, il suo intervento da esperto in una materia con cui ha a che fare quotidianamente, riesce a dare al film un certo spessore culturale e una credibilità clinica non da poco considerando che sarà il primo lungometraggio sulla psicanalisi.

Accompagnato da una monografia scritta da Sachs, il film, inizialmente dal titolo Segreti di un’anima. Recita psicanalitica diviene poi Il mistero di un’anima (Geheimnisse einer Seele), e viene presentato nelle sale nell’anno 1926. La pellicola racconta del caso clinico di un uomo di mezza età, sposato senza figli, sofferente episodicamente di gelosia delirante nei riguardi della bella moglie e di fobie per le armi da taglio: alla vista delle quali  sorgono in lui incontrollabili fantasie omicide.

I suoi sintomi, elaborati attraverso una cura che si avvale del metodo psicanalitico, risulteranno generati da ricordi non più presenti, da molto tempo, nella sua coscienza, riguardanti umiliazioni infantili patite lungo una intensa relazione a tre: con una bambina che poi diventerà sua moglie e un suo cugino coetaneo amico della bambina stessa. Con il cugino, che Martin misteriosamente ammira, egli avrà rapporti saltuari anche da adulto.


Questa opera di Pabst è tutt’oggi visibile in rete. Il film è muto, con accompagnamenti musicali. Il sonoro infatti, fin quasi agli inizi degli anni ’30, a parte qualche sperimentazione, non era ancora stato reso operativo.

Trama del film. E’ mattino presto, Martin Fellman svegliatosi di buon umore si prepara per andare al lavoro nel laboratorio chimico che dirige, si fa la barba con un rasoio a lama guardandosi in un piccolo specchio ovale, il suo viso è illuminato dalla luce di una finestra. Sua moglie si pettina, compiaciuta della propria bellezza, stando seduta di fronte a una sontuosa specchiera. Quando Martin Fellman si avvicina istintivamente al suo viso per baciarla, la donna lo respinge sorridendo, per gioco, e gli chiede di tagliarli sul collo un piccolo ciuffo di capelli sporgenti.

Martin Fellman insapona ciuffo e collo della moglie, ma mentre sta per tagliare la parte eccedente di capelli, sente un urlo di aiuto da parte di un’altra donna, proveniente dalla finestra aperta di un palazzo situato nelle vicinanze. Martin Fellman ha un fremito, si spaventa, e per un istante non riesce a controllare il rasoio, procurando sul collo della donna una leggera sbucciatura.


 Si verrà poi a sapere che nell’appartamento da cui proveniva l’urlo, era stato commesso un omicidio. Martin Fellman da quel giorno non sarà più lo stesso, appare posseduto da un misterioso senso di colpa, vive il ricordo di quell’omicidio con ossessione, come se per qualche enigmatica ragione lo riguardasse molto da vicino.

La piccola abrasione procurata alla moglie sul collo, proprio in contemporanea a quell’urlo disperato di donna che denunciava un assassinio, rappresenterà per lui l’inizio di un tormento interiore di complessa origine inconscia, che il ricevimento poi di una lettera  aggraverà pesantemente, limitando fortemente la sua libertà interiore.

Martin Fellaman rientrato a casa dalla moglie, apprende che il cugino Erich, suo amico d’infanzia, è di ritorno da un viaggio in India, e che è intenzionato a venirli a trovare. Tramite un telegramma il cugino gli annuncia di avergli inviato per posta la statuetta di un dio e un’antica spada indiana. Di fronte a queste notizie l’uomo avverte dei malesseri, e cade poi in una crisi depressiva densa di raffigurazioni passionali. Martin Fellman durante le notti è tormentato da incubi spaventosi, raffiguranti la moglie e suo cugino in ardenti rapporti erotici, anche di gruppo.

 

 Dopo aver sognato di accoltellare la moglie, Martin scopre di avere l’ossessione per le armi da taglio. Di giorno, gli impulsi aggressivi contro la moglie tendono a farsi sempre più incontrollabili, e durante la cena di benvenuto al cugino, la vista da seduto dei coltelli uso posate, scatenano in lui il desiderio di uccidere sul momento la moglie. Al che, con una scusa e tanto imbarazzo, si allontana dal tavolo.

L’uomo, terrorizzato dalle sue fantasie divenute sempre più frequenti, fugge da casa e va a vivere dalla madre. Inizia un’analisi con uno psicanalista, il dottor Orth, che, notate in un Caffè le sue stranezze lo aveva poi abbordato all’uscita con la scusa di consegnarli delle chiave dimenticate sul tavolino. Col medico Orth, Fellmann si impegna a dire tutto quello che gli passa per la mente, per quanto le cose che emergeranno gli potranno sembrare assurde.

Il dottor Orth nella cura di Fellman mette quindi in pratica i teoremi freudiani sulle libere associazioni, finalizzati secondo la psicanalisi all’esplorazione dei meccanismi di funzionamento dell’inconscio che sono alla base del sintomo stesso.

Riuscirà Martin Fellman a riacquistare la salute mentale di un tempo?

 Note:

1) Dal libro ” Sigmund Freud – Il padre della psicanalisi”, di Giancarlo Ricci, edizioni Mondadori, anno 2005, pag.127

2) Idem

3) Idem

    Biagio Giordano  

I LIBRI DI BIAGIO GIORDANO

Cliccate sulle immagini per saperne di più e per acquistarli

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.