Cinema: Giorno maledetto

 
RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Giorno maledetto
Film reperibile in DVD o in rete

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO

Giorno maledetto

   Titolo Originale: BAD DAY AT BLACK ROCK

Regia: John Sturges

Interpreti: Walter Brennan, Ernest Borgnine, Robert Ryan, Spencer Tracy

Durata: h 1.21

Nazionalità: USA 1955

Genere: drammatico

Al cinema nell’Ottobre 1955

Recensione di Biagio Giordano

Film reperibile in DVD o in rete

 Giorno maledetto“, di John Sturges, è un film USA a colori di forte effetto scandalistico, uscito nel 1955 quando la conoscenza di alcuni episodi di razzismo nei confronti dei Nisei, americani di origine giapponese, avvenuti durante la seconda guerra mondiale, cominciavano ad affiorare pubblicamente sconvolgendo la coscienza degli americani.


 La pellicola, curiosamente, si può considerare, da un certo punto di vista, l’ultimo western americano di impronta etico-giustizialista.

Il film è ambientato nel 1945 in una regione desertica degli Stati Uniti, due mesi dopo la fine della seconda guerra mondiale, in un’atmosfera di vita quotidiana seriosa e spesso triste, segnata come’era dalle numerose tragedie rilasciate dalla guerra, che con lutti e disagi di ogni genere aveva profondamente inciso, per lungo tempo, sulla psiche e la carne di gran parte della popolazione americana.
Il disagio  del vivere, nonostante la pace e la vittoria appena ottenute, era in quel periodo ancora molto forte e dovuto principalmente allo sfilacciamento del tessuto social – familiare operato dalla guerra, inoltre la mancanza di notizie affidabili  sulla crisi dell’economia della nazione accresceva nei cittadini il senso di insicurezza e di paura.

 La parte, assai vasta, della  popolazione  coinvolta dalla guerra cercava, alla fine del conflitto bellico, di ricostruire  le vecchie relazioni sociali andate perdute, al fine anche di risolvere problemi di ordine pratico e affettivo, ma in numerosi casi si accorgeva che era diventato molto difficile ritessere certi rapporti, perché erano cambiate molte cose, e una normale ricerca di contatti andati perduti poteva riservare sorprese di ogni tipo tra cui frequentemente la morte del ricercato.


Il racconto filmico inizia con un’indimenticabile ripresa aerea che vede protagonista la macchina da presa in alcune sue audaci e a volte del tutto inedite incursioni; essa riesce a calarsi arditamente in un ampio territorio desertico, tipicamente americano, roccioso e molto soleggiato, seguendo quasi a pari velocità, un treno express dal fischio frequente e assordante. La macchina da presa segue i convogli uno a uno riprendendoli in tutta la loro estensione, alternando ad efficaci riprese parallele, controcampi zoomati di buon effetto visivo, come quando ad esempio l’obiettivo va incontro al treno e ne mostra il passaggio veloce sulla sua lente.

L’express, dopo un lungo e solitario scorazzare tra distese illimitate, martellate dal sole, in un panorama incantevole, giunge in vista di un piccolo  caseggiato, dall’aspetto eccentrico, con case sparse un po’ dovunque, e dall’aspetto socio-economico depresso. A un certo punto, quasi inaspettatamente, il treno comincia a rallentare, fino a fermarsi davanti alla piccola stazione del villaggio, denominato Black Rock (Pietra nera), un luogo dall’atmosfera anche sinistra, con poca acqua, situato nella parte del far west più dura, quella dominata da roccia e inutile terra sabbiosa, una zona arida e desolante famosa soltanto per le ricerche dell’oro che un tempo appassionavano gli abitanti più vicini del paese.

Un uomo anziano ma vivace, vestito elegantemente, con un abito blu fatto su misura, scende da una lussuosa carrozza e conversa per un attimo con il controllore del treno, al quale, incuriosito della sua visita  in quel luogo funereo, dichiara con tono autorevole di voler rimanere nel paese solo 24 ore. L’individuo in blu ispira stima e fiducia: è un ex combattente, un soldato americano che era stato impegnato in Italia, nella liberazione dal fascismo, ha il braccio sinistro monco o forse solo atrofizzato, si chiama Mcgreedy, risiede a Los Angeles; egli sarà il vero protagonista del film (ottima la prestazione di Spencer Tracy).


L’uomo è accolto con  ostilità dal personale della stazione, il telegrafista Hastings, una persona addetta anche al controllo dell’arrivo dei treni, dopo avergli chiesto cosa intendeva fare a Black Rock senza ricevere una risposta, telefona a un certo Pete, centralinista e gestore dell’unico albergo del paese, allarmandolo dell’arrivo di una persona misteriosamente sospetta, non gradita.

L’elegante Mcgreedy ha intrapreso il lungo viaggio da Los Angeles a Black Rock per scoprire il segreto che sta dietro la scomparsa di una persona cara. Precisamente, egli vuol capire perché Komoko, il padre di un suo compagno d’armi di nome Joe Komoko, sia scomparso nel nulla, e se ancora vivo, consegnarli una medaglia al valor militare, riconosciuta dall’esercito al figlio Joe deceduto in guerra.

Joe combatteva accanto a Mcgreedy, ed è rimasto ucciso per salvargli la vita. Padre e figlio sono di origini giapponesi (i cosiddetti Nisei) ma cittadini americani da molti anni. Si verrà a sapere nel racconto filmico  che  il padre Komoko viveva in un luogo del paese di Black Rock denominato “la steppaia”, dove coltivava la terra affittatagli a sovrapprezzo da un certo Smith, usuraio razzista del paese; Komoko dopo essere riuscito a trovare l’acqua, scavando da solo per più di venti metri, in un terreno compatto e secco, era riuscito ad avviare una normale attività contadina giungendo ad ottenere dal terreno coltivato una soddisfacente resa.


 Il risultato agricolo ottenuto da Komoko, giunto ai più del tutto inaspettato, aveva suscitato gelosie tra gli abitanti del piccolo paese, rendendo, l’affittuario del terreno, il razzista Smith, addirittura furioso.

Smith, dopo l’attacco a tradimento dei giapponesi a Pearl Harbor, era stato colto da pulsioni compulsive omicide, di chiara matrice razzista, arrivando al punto di odiare Komoko solo perché di origine giapponese. Preso da una furia incontrollabile, accresciuta dall’essere stato scartato dall’esercito americano come soldato idoneo per la guerra, un giorno  decide di sfruttare la sua influenza su alcune persone del paese per organizzare, in gruppo, l’omicidio di Komoko.

L’assassino Smith, insieme a Hector David, Coley Trimble, Pete Wirth e con la complicità dello sceriffo alcolizzato Tim Horn, della sorella di Pete Liz, garagista della zona, del telegrafista Mr Hastings, addetto alla stazione, organizza una spedizione punitiva nei confronti di Komoko, reo solo di essere americano-giapponese. La banda brucia l’abitazione dell’uomo e mentre fugge in fiamme dalla sua abitazione Smith gli spara un colpo alla schiena uccidendolo sul colpo.

Il forestiero indagatore  Mcgreedy, ignaro di quanto successo a Komoko, ma consapevole, dopo la cattiva accoglienza ricevuta dagli abitanti, che qualcosa di serio doveva essergli accaduto, si reca con una Jeep nella steppaia alla ricerca di eventuali tracce lasciate dall’uomo: qualcosa che potesse suggerirgli la presenza nel luogo di un’attività passata; egli è più che mai deciso ad andare a fondo nella questione, scoprire tutta la verità costi quel che costi,  catturare i  colpevoli e fare finalmente giustizia.


Giunto sul posto dove viveva Komoko, Mcgreedy trova i resti di una casa bruciata, forse appartenente a lui, e sul terreno i tipici fiori, simili alle margherite, che crescono sulla superficie del terreno in cui è sepolto qualcuno senza bara; Mcgreedy conosceva bene quei fiori, perché in guerra ne aveva visti molti, tra le tombe provvisorie dei cimiteri da campo.

Ormai sicuro della morte di Komoko, probabilmente da lui stesso attribuita alla mano di Smith, l’invalido Mcgreedy decide di ritornare in paese e avvisare la polizia per un indagine, ma qualcuno lungo la strada cerca di ucciderlo, è una macchina che urta ripetutamente il paraurti posteriore della sua Jeep; al volante dell’automobile assassina c’è Coley Trimble (Borgnine), amico di Smith. Gli uomini del razzista Smith dopo essersi accertati, tramite un amico detective a Los Angeles, che l’elegante Mcgreedy era un illustre sconosciuto, quindi innocuo, avevano deciso di farlo fuori.

L’anziano Mcgreedy scampa all’agguato, ma provato da quanto accaduto comunica al gestore dell’albergo l’intenzione di volersene andare. L’assenza di mezzi di trasporto lo fa desistere, nel frattempo cerca di avvisare per telegrafo la polizia per denunciare ciò che sta accadendo. Il telegrafo però controllato dagli uomini del razzista Smith non viene quasi mai usato e a Mcgreedy viene riportato il suo messaggio originale, che risulta non spedito.
Accortosi della debolezza e incertezza di alcuni nel difendere coerentemente il segreto sulla scomparsa di Komoko, il forestiero Mcgreedy decide di agire fermamente sul senso di colpa di taluni del gruppo, aggredisce quindi verbalmente Pete, il gestore dell’albergo, e con l’aiuto del medico del villaggio, chiaramente ormai a suo favore, strappa la confessione su quanto accaduto a Komoko.

Destinato ad essere ucciso, l’invalido Mcgreedy viene aiutato a fuggire dal Paese dallo stesso Pete, ormai preso dai rimorsi per aver partecipato al fatto di sangue in questione, e da sua sorella Liz. I due sono sostenuti anche dal medico, che è passato dalla parte di Mcgreedy.

Liz di sera cerca di portare Mcgreedy con la sua Jeep verso il paese più vicino, dove avrebbe trovato una corriera in grado di riavvicinarlo a una linea ferroviaria importante, ma i due cadono in un trabocchetto preparato dal razzista Smith che nel frattempo era stato avvisato da qualcuno della banda della decisione di Pete di far fuggire Mcgreedy. Il razzista omicida Smith aspetta la macchina con Mcgreedy in un luogo sinistro dove avveniva il rifornimento d’acqua.


Successivamente la scena in cui il vecchio Mcgreedy, disarmato, invalido, affronta il razzista Smith riuscendo a salvare la propria vita, appartiene indubbiamente alla miglior antologia del cinema drammatico, la scena è di una suspense  forse unica che rasenta la perfezione.

Nella scena Smith fa avvicinare Liz con l’inganno, e quando lei accortasi dell’intenzione omicida dell’uomo cerca di fuggire, viene uccisa con un colpo di fucile alla schiena. Liz ormai era una pericolosa testimone in mano a Mcgreedy, dopo il sanguinoso atto Smith si avvicina lentamente all’automobile per eliminare anche Mcgreedy, ma quest’ultimo non perde tempo e prepara nel frattempo un esplosivo artigianale. Mcgreedy riempie velocemente una bottiglia vuota con della benzina della macchina, utilizzando l’accensione dell’automobile che all’avviamento mette in movimento la pompa del liquido, infila poi la cravatta nel collo della bottiglia e dà fuoco alla miccia, all’avvicinarsi armato di Smith gli lancia l’ordigno addosso facendolo esplodere su una roccia a lui vicina, i vestiti di Smith prendono fuoco e l’uomo si accascia la suolo moribondo. Mcgreedy ritorna con i due cadaveri in paese, sorprendendo tutti per il fatto di essere rimasto vivo; la stima nei suoi confronti non può che crescere.

 Prima di ritornare a casa il valoroso  Mcgreedy lascia la medaglia al valor militare del suo e compagno Joe al medico del paese, divenuto suo alleato, che accetta e gli assicura che essa servirà a riabilitare l’immagine del padre di Joe vittima del razzismo e di tutto  Paese.

Giorno maledetto“, tratto da “Bad Day at Hondo” di Howard Breslin, è da considerare senza ombra di dubbio uno dei più bei film di John Sturges (noto per “I Magnifici sette, “Il vecchio e il mare“, “La notte dell’aquila“, “La grande fuga“, etc.).
Il film impressiona sia per la sua perfezione stilistica che per le innumerevoli tensioni narrative costruite con alcuni ingredienti felicemente combinati tipici del genere western e del dramma,  tensioni che appaiono ben sviluppate nel tempo perché via via rafforzate  da scene di suspense di buona fattura, quest’ultime sono favorite, nell’alta emotività che rilasciano, dai contenuti letterari, assai efficaci,  della trama.

 Il grande ritmo narrativo anziché andare incontro durante la narrazione a qualche pausa o sfilacciatura, è tale invece da andare sempre in crescendo riuscendo a dare alla drammatizzazione una intensità rara. Sturges sigla poi un finale superlativo, altamente tragico, commovente ma non patetico.

    Biagio Giordano

     
   

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