Chi non vuole le tasse inversamente proporzionali al rischio?

La razza italica con un sano istinto animale per il rischio d’impresa o al meglio con la vocazione per il lavoro autonomo, è praticamente estinta.

 Il compianto professor Giovanni Sartori, nel 2007 fece la radiografia al sistema Italia con queste inequivocabili parole:
“Nessuno in Italia vuole correre rischi. È un paese conformista. Che si è oramai seduto sulle poltrone che occupa. Non ha grandi visioni né del futuro né del presente. Diciamo che sostanzialmente è un paese che tira a non perdere il posto.”
Giovanni Sartori (1924-2017), Annozero, 20 settembre 2007

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Sono passati 15 anni, e sicuramente oggi il professor Sartori vedrebbe la barca Italia ancora più inclinata, più ricca di falle e a rischio affondamento.
La razza italica con un sano istinto animale per il rischio d’impresa o al meglio con la vocazione per il lavoro autonomo, è praticamente estinta.
I più si accalcano per la ricerca di lavoro e profitto nelle zone a rischio minimo, profitto massimo e magari esentasse, sbilanciando pericolosamente il sistema.
Così la barca Italia continua a perdere competitiva, è sempre più povera di PIL tassabile, inbarca debito pubblico a miliardi e con l’ultimo colpo di grazia inferto dalla guerra in Ucraina, dalle sanzioni e contro sanzioni rischia seriamente il default.
Ecco perché, pur con tutti i limiti della mia povera cultura, mi sono permesso di definire “rivoluzione copernicana”, la tassazione inversamente proporzionale al rischio. Un’idea geniale dell’amico tributarista Luciano Dissegna, (ora gentilmente ospitato dal Direttore Nicola Cariglia su questo giornale).
Se un popolo ha sviluppato una forte intolleranza al rischio, la medicina per alleviare questa intolleranza è quella di Luciano Dissegna, che osservando per decenni gli effetti nefasti di quella malattia diagnosticata da Sartori, ha pensato un modello matematico di tassazione più alta per chi rischia meno e più bassa per chi rischia di più.
Ma da questo orecchio, in Italia non ci sente la cultura, non ci sente la politica e non ci sente la finanza. Chi è stato così ingenuo da scegliere il rischio di impresa finisce spremuto e gettato come un limone. Perché?

Fatevi questa domanda e datevi una risposta.

Franco Luceri da il rebus della cultura

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One thought on “Chi non vuole le tasse inversamente proporzionali al rischio?”

  1. Facciamo un esempio molto attuale: sono un giovane ambizioso e devo decidere come orientare la mia vita. Ho alti obiettivi, ma sono consapevole che più sono alti e più sono improbabili (rischiosi). So però che c’è un lavoro, sia pure a tempo determinato, che dà alti profitti e rischi pressoché nulli: il parlamentare. Se a valle (in Parlamento) la vita è facile e comoda, a monte (la campagna elettorale) c’è una concorrenza selvaggia, perché tutti aspirano a una poltrona simile, tra l’altro con una tassazione irrisoria sugli emolumenti. La strada per il paradiso è lunga e piena di ostacoli (rischi), nonché costosa. In altri termini, quanto più il traguardo è ricco di soddisfazioni e ritorni economici, più la strada per raggiungerlo è di lotta (concorrenza) e investimenti. Anche in campo fisico, ad ogni evoluzione tecnologica corrispondono maggiori investimenti iniziali: una lampada Led ti fa risparmiare sulla bolletta, ma devi sborsare il doppio per acquistarla.
    Altro esempio: gioco del lotto. Il premio è tanto più alto quanto più improbabile. E costoso: quante puntate devo fare per veder uscire un terno? Per non parlare di quaterna o cinquina. Passando al rischio d’impresa, se lo Stato adottasse gli stessi criteri di cui sopra, premiando chi azzarda sgravandolo di tasse in proporzione all’azzardo, finirebbe con lo spingere verso traguardi sempre più improbabili, con grande spreco di risorse, nella speranza di scalare la vetta. Morale: ci vuole sempre equilibrio, in ogni campo.
    In realtà, lo Stato punisce con tasse sempre più alte chi rischia di più e guadagna di più; e, ai “piani bassi” dei comuni mortali, si accanisce in modo idiota contro chi non riesce a pagare una tassa, un contributo, una sanzione: la moltiplica all’infinito; tanto che non vedrà più neanche l’importo iniziale (v. mio articolo odierno). Il moltiplicarsi di azioni ostili contro i cittadini da parte di Stato e suoi satelliti promuove la corsa generale verso quel limbo di tranquillità che è la nullatenenza, ossia la pratica impunità rispetto al codice civile.
    E che senso hanno le tasse indirette, come l’IVA, che gravano sul povero e sul ricco in pari grado? Dovrebbe bastare la tassazione diretta. Guarda caso, Bruxelles spinge in senso esattamente contrario.

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