C’era una volta la Lega Nord (cap.3)

C’era una volta la Lega Nord

A cura di Attilio Eridanio

 Capitolo 3

  Cap.1   C’era una volta la Lega Nord      Cap. 2  

 A cura di Attilio Eridanio

 Terzo capitolo

 

 

 

Tangentopoli e la Lega

In Italia intanto, con epicentro Milano, dilaga il ciclone tangentopoli. È interessante a analizzare l’atteggiamento della Lega rispetto alla inchiesta “mani pulite”.

Inizialmente c’è condivisione in quanto mani pulite inizia a colpire i pezzi grossi del sistema politico che sono da sempre nel mirino del senatur, che terrà questa posizione per tutto il 93, non lasciandosi sfuggire l’occasione ghiotta della indignazione generalizzata. Parla di punto di non ritorno, di “scontro finale con la partitocrazia”, e sembrerebbe immune dai contraccolpi dell’indagine, tanto che il Financial times presenta Bossi come il solo genuino nuovo leader a emergere in Italia in quel momento cruciale di transizione politica e può permettersi di comportarsi così perché al contrario delle classi politiche screditate, lui non deve niente a nessuno.

Dei fatti, però, faranno cambiare il senso del rapporto con mani pulite da parte di Bossi. Durante il dibattito sulla questione morale alla replica del Presidente del Consiglio Giuliano Amato, la Lega e il MSI la interromperanno con proteste e il leghista Luca Leoni esibirà in aula il famoso cappio da forca.

Un secondo fatto è rappresentato da quando Bossi si presenterà alla Procura di Milano sventolando un assegno da 200 milioni, per restituire quella cifra ricevuta, come contributo, dal segretario amministrativo della Lega, Alessandro Patelli dalla Montedison.

Tentativo vano questo di Bossi, come altrettanto quello dello stesso Patelli autodefinitosi pirla per avere accettato il contributo. Infatti il Senatur verrà indagato per violazione del finanziamento pubblico ai partiti. Da quel momento tutto il pool di mani pulite e in particolar modo Antonio Di Pietro verrà visto con sospetto che legherà le indagini di Di Pietro a torbide trame dei servizi segreti nazionali e internazionali. 

 


 

Arriva Berlusconi

Dopo un breve tentativo di dialogare con il Patto per l’Italia di Segni, subito bloccato da Bossi con la frase lapidaria “Segni è un lumaca bavosa che deve spurgare nella cavagna”.

Allora Bossi inizia a sondare Silvio Berlusconi e dopo alternativi alti e bassi, al secondo congresso della Lega afferma “senza Berlusconi non si potrà fare la seconda repubblica federale”, ma nello stesso tempo ribadisce un secco no ad accordi con il MSI, “Non staremo mai con i fascisti ne con i nipotini dei fascisti”. Ma già all’indomani della spartizione del Nord Centro a Lega e FI, e al Centro Sud   a FI e AN, capisce che Forza Italia gli sta rubando parte del suo elettorato moderato di stampo liberale; questo è un fatto che condizionerà sempre lo sviluppo politico della Lega anche ai giorni nostri. E allora Bossi riprende la sua crociata antipartitica, è il tempo del “Berluscaz o Berluskaiser, del Sforza Italia e Piduisti”, ma la vittoria alle politiche del 94 attutisce le diffidenze, anche se FI sarà il primo partito con il 21% e la Lega confermerà il suo 8,5% e grazie ai collegi uninominali conquisterà 117 deputati e 60 senatori. Ma alle successive europee la Lega di “governo” pagherà dazio raccogliendo un misero 6,6%, in più scoppia il caso “salvaladri” del decreto Biondi e Bossi si lascia condizionare dalla reazione della opinione pubblica incitata dal pool mani pulite e cerca di svincolarsi dagli eredi forzisti di tangentopoli.

 


 

Intanto è alle porte l’estate della “canottiera”, cioè quella dei periodici incontri ad Arcore tra Bossi e Berlusconi. Ma la intesa dura poco, appena Berlusconi accenna alla possibilità di fare un partito unico, Bossi fedele alla impostazione originaria della Lega si oppone, “se si torna a un discorso bipolare Destra contro Sinistra, sarebbe un discorso vecchio”, stessa atteggiamento terra’ anche in seguito quando Berlusconi nel 2008  chiederà a Bossi di entrare nel PDL. E in funzione di esaltare il ruolo decisivo della Lega nord, ricorda che “se non c’ero io tra l’86 e l’87 a fermare la bergamasca ci sarebbe stata una insurrezione di 300.000 armati pronti, li fermai io con la Lega. Questo radicalismo però inquieta qualcuno che prenderà le distanze, approfittando anche per chiudere vecchie ruggini personali, come Franco Rocchetta, tra i padri della Liga Veneta e Presidente della Lega Nord, che uscirà dalla Lega fondando la Liga Nathion, ma la base della Lega sconfesserà Rocchetta e ne decreterà l’espulsione.

In seguito vedremo altre figure senza, per altro nessuna fortuna come ad esempio il Segretario della Lega Lombarda, Luigi Negri in disaccordo sulla decisione di Bossi di fare cadere il primo governo Berlusconi, poi fu’ la volta di Irene Pivetti con la “Italia Federale” che ebbe percentuali da prefisso telefonico, e infine quella, ben più significativa del politologo Gianfranco Miglio nel 94, di cui parleremo in seguito per il notevole peso che questo abbandono avrà sulla vicenda ideologica della stessa Lega.

Intanto le vicende relative alla scelta che determinò la caduta del governo Berlusconi e il risentimento di quella componente liberale ostile a qualsiasi alleanza con le sinistre, fa cambiare rapidamente strategia a Bossi, anche perché i sondaggi di Datamedia indicano un ulteriore calo di consensi, per cui Bossi ritorna, come farà fino a che avrà direttamente in mano il timone del

partito, alla Lega delle origini, a quella contro Destra e Sinistra, rimangiandosi quello che, a sorpresa, aveva dichiarato alla Festa dell’Unità “Amici del PDS, la Lega sta lavorando per voi, ora siamo solo alleati occasionali, ma vedrete, insieme, faremo grande la sinistra”. Da quelle affermazioni si era arrivati al famoso “patto delle sardine”, quando a Roma, in casa di Bossi si trovarono, lui, D’Alema e Buttiglione, dove pasteggiando con una solo scatola di sardine, si decise il ribaltone del governo Berlusconi, decisione questa presa anche perché fu segnalato a Bossi che a breve Berlusconi sarebbe stato raggiunto da un avviso di garanzia dalla Procura di Milano, per concorso in corruzione.

 


 

La Lega di Lotta 95 – 97

Ma il clamoroso ribaltone del 94, apre un periodo di sbandamento che disorienta la base e la dirigenza, Bossi allora riprende con più vigore la lotta

Istituzionale fino a riprendere con la Padania la formula secessionista.

Nella primavera del 95 Bossi decide di dare una svolta radicale, rompendo gli equilibri che lo avevano portato con Berlusconi e resuscita la Lega di movimento. Strumento adatto sarà il Parlamento del nord che viene convocato per la prima volta il 7 Giugno del 95 a Villa Riva Berni a Bagnole San Vito presso Mantova.

Qui Bossi dichiara “Nord Libero” e per la prima volta parla di secessione, tanto che la Procura di Mantova lo iscrive nel registro degli indagati per “attentato contro l’integrità e la indipendenza dello Stato”, al  che Bossi rilancera’ lo Stato Federale. Dopo le elezioni del 96 la Lega si presenta da sola ottenendo il 10%, ma facendo così perdere il centro destra in favore di Prodi.

Intanto il Parlamento del Nord diventerà il Parlamento della Padania presieduto da Roberto Maroni.

Questo pronunciamento ha il risultato di allontanare velocemente dalla Lega il PDS di D’Alema, anche perché, raggiunto il risultato di staccare Bossi da Berlusconi, al centro sinistra vittorioso alle elezioni non serve più alcun contatto con la Lega, anzi in accordo con l’MSI, contrari entrambi all’antistatalismo di Bossi, agevolano la macchina repressiva dello Stato che si manifesterà nell’operato del Procuratore di Verona, Gerardo Papalia che disporrà un perquisizione nella sede di via Bellerio alla ricerca di documentazione relativa ad azioni di propaganda secessionista. Ne nasce una situazione di alta tensione tra agenti della DIGOS e militanti della Lega con Bossi e Maroni in testa. Nello scontro lo stesso Maroni ex Ministro dell’Interno finirà malconcio in barella. La perquisizione finisce in un buco nell’acqua, vengono trovate solo piantine della Lombardia dove sono segnate località come punti di raccolta di manifestazioni pacifiche di militanti.

 

 CONTINUA

 Attilio Eridanio

 

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