Barbara Balzerani fra falsi misteri e …

Barbara Balzerani fra falsi misteri
e segreti di Pulcinella

Barbara Balzerani fra falsi misteri
e segreti di Pulcinella

 Si continua a parlare dell’ignobile uscita della terrorista Balzerani (non capisco l’ex: un terrorista lo è per sempre: non è mica un mestiere abbandonato è un marchio indelebile) accusata di aver ironizzato sulla sovraesposizione mediatica delle vittime degli anni di piombo. Francamente l’accusa mi sembra marginale rispetto ad altre assai più gravi che possono essere mosse non solo a lei ma soprattutto alle istituzioni.


La prima è che la signora, al pari dei suoi complici, sia libera e goda della pienezza dei diritti civili. Si dice che abbia pagato il suo debito alla giustizia. È una giustizia un po’ stravagante quella che ti condanna dall’ergastolo – che, si badi, è il corrispondente della pena capitale – ma dopo poco più di venti anni ti restituisce la libertà. La stessa giustizia che tiene dietro le sbarre un uomo vecchio e malato come Dell’Utri, del quale se chiedi a chiunque passi per strada che diavolo abbia fatto per meritare tanto accanimento non potrai che ricevere un imbarazzato balbettio: non si sa. In realtà chi ha annullato quel debito è un esattore che non sa fare il suo mestiere perché il debito rimane eccome e non c’è pena che possa estinguerlo. Fra la Giustizia, il Diritto e la pratica giudiziaria nel nostro Paese c’è una distanza siderale: Matteotti diceva “qui non siamo al Messico!” ma ora dovrebbe riconoscere che qui siamo peggio che in Uganda. E, come libera cittadina, la Balzerani rilascia interviste, tiene conferenze, scrive romanzetti e autobiografie contando sulla circostanza che la madre degli stolti è sempre incinta. Mi chiedo cosa frulli per la testa a quell’icona della sinistra, Erri De Luca, il concorrente di Saviano, che si fa vedere abbracciato all’assassina di Minervini, di Moro e degli uomini della sua scorta.

Ma la cosa più grave nelle dichiarazioni della terrorista, che tutta la stampa ha volutamente e colpevolmente ignorato, è l’interpretazione tragicomica dei cosiddetti anni di piombo, sui quali è bene mettere dei punti fermi.


Primo: non c’è stata nessuna rivoluzione, nessun progetto rivoluzionario, nessuna lotta di popolo. Si fa passare per Storia quella che è semplicemente cronaca criminale. Una cronaca criminale che ha avuto per protagonisti un paio di decine di omuncoli e donnicciole modesti per cultura e estrazione sociale con l’innesto sospetto di qualche borghesuccio, dal figlio di un ras democristiano al docente di criminologia. Spostati, psicopatici, infiltrati, lasciati liberi per mesi di alimentare la cosiddetta strategia della tensione. La Balzerani ha detto testualmente che quello che ha fatto va contestualizzato, non si pente di averlo fatto ma oggi non lo farebbe di nuovo perché i tempi sono cambiati. Stiamo scherzando??? C’è forse ora più equità sociale o libertà politica di quanta non ce ne fosse negli anni Settanta?

La differenza più appariscente fra questi anni di regime di sinistra e gli anni del sequestro Moro è che si enormemente allargata la platea dei privilegiati, i ricchi sono diventati più ricchi, i poveri più poveri e il ceto medio è stato proletarizzato. E la Balzerani ci viene a raccontare che allora la rivoluzione aveva un senso che oggi non avrebbe.  Una cosa è certa: allora lei era una ragazzotta di poche risorse sbarcata a Roma dalla provincia per laurearsi in filosofia nel perdurante clima sessantottino, barcamenandosi fra supplenze e assistenza ai disabili; oggi è un personaggio un po’ snob dalle molte entrature che civetta con la letteratura e gode di un’agiatezza sicuramente sconosciuta alla sua famiglia di origine.  In quest’ottica c’è da capirla. È anche certo che da allora gli eredi del Pci hanno preso nelle loro mani le redini del potere e hanno stretto un’alleanza di ferro con il sistema bancario, la finanza internazionale, la magistratura. E, a proposito di Pci: in tutti questi quaranta anni si è detto di tutto su terrorismo, sul sacrificio di Moro sull’altare della ragion di Stato (lo stesso Stato che quando vuole si cala le brache), sui servizi segreti, la Mossad e via fantasticando. Si è detto e scritto di tutto senza mai lambire il convitato di pietra.


 Logorroici e grafomani questi gruppi combattenti, con i loro nomi di battaglia  le loro P38 e calibro 9 senza il tappino rosso. Tutto finito in burletta. È stato il loro un “percorso politico”, un’educazione sentimentale (ci sono scappate diverse gravidanze), un itinerario nel nulla finito in un facciamo finta di nulla, abbiamo solo scherzato. Forse è questo che pensa di loro Erri De Luca quando abbraccia la Balzerani. E i morti? Le famiglie distrutte? E la testa di Moro innaturalmente piegata dentro il bagagliaio della Renault rossa, Moro ucciso e umiliato, che finisce per prendere sul serio i suoi rozzi carnefici, dà credito alle loro farneticazioni da centro sociale, implora i suoi compagni di partito, sordi, disorientati, ricattati dal convitato di pietra? E Minervini? Vittima incolpevole di un’assurda campagna contro il sistema carcerario, quello stesso che ha consentito alla Balzerani di coltivare i suoi interessi e le sue frequentazioni, di leggere, di studiare, di prendersi una laurea in antropologia, penso col massimo dei voti elargitogli da compresi e comprensivi esaminatori. Un sistema carcerario dal quale lei e i suoi complici sono usciti pimpanti e sicuri di sé, vissuto come un periodo di riflessione e di riposo e diventato una camera d’albergo per il suo complice e amante, l’assassino materiale di Moro che, con sei ergastoli sulle spalle, dopo una decina di anni dietro le sbarre ha ottenuto la semilibertà. Poi la ritirata strategica, la farsa della ricerca di una trattativa politica con lo Stato, quando ormai la missione era fallita: garantire il posto a tavola al convitato di pietra.

Il presente aiuta spesso a comprendere l passato. È cronaca di poche settimane fa: pestaggi ad opera dei compagni antagonisti da una parte, un braccio alzato e il tentativo assolutamente pacifico di fare sentire la propria voce dall’altra.


Di un’organizzazione criminale nera simmetrica alla o alle organizzazioni criminali rosse non c’è traccia ora ma non ce n’era nemmeno allora. Durante un quindicennio il Paese è stato teatro di una serie ininterrotta di rapine, di sequestri, di gambizzazioni, di omicidi e di stragi firmate dalle Br e dal partito comunista combattente. Nel pieno svolgersi di questa attività criminale, il compagno Berlinguer diceva: “le minacce sempre incombenti di avventure reazionarie…rendono sempre più urgente che si giunga a quello che può essere definito il nuovo grande compromesso storico fra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano”. Tre anni dopo, nel 76, a Mosca secondo la vulgata sarebbe avvenuto lo strappo dal partito guida, la rivendicazione dell’autonomia dei partiti comunisti occidentali. Peccato che alla Russia di Breznev, non quella di Stalin, tornava più utile poter contare su un governo amico piuttosto che sulla sezione italiana del Pcus condannata all’opposizione e dati i tempi praticamente inutile come quinta colonna. “L’esperienza compiuta ci ha portato alla conclusione, così come è avvenuto per altri partiti comunisti dell’Europa capitalistica, che la democrazia è oggi non soltanto il terreno sul quale l’avversario di classe è costretto a retrocedere, ma è anche il valore storicamente universale sul quale fondare un’originale società socialista”. Così il compagno Berlinguer, che continuava: “La nostra lotta unitaria – che cerca costantemente l’intesa con altre forze di ispirazione socialista e cristiana in Italia e in Europa occidentale – è rivolta a realizzare una società nuova, socialista che garantisca, il carattere non ideologico dello Stato”. Si noti l’ossimoro: realizzazione di una società socialista in uno Stato non ideologico. Mi pare evidente che Berlinguer parlasse a Mosca per essere inteso in Italia, diciamo più precisamente all’interno della Dc e della gerarchia cattolica, e mi pare altrettanto evidente che la sua retorica dell’attacco al capitalismo corrisponda appieno ai proclami del “partito” combattente.Fatto sta chedopo le elezioni del 76 nasce il primo governo della solidarietà nazionale nella forma di un monocolore dc retto sulla “non sfiducia” dei comunisti, che avrebbe dovuto essere la premessa per il loro ingresso a pieno titolo nella maggioranza e nell’esecutivo.


Ma dalle elezioni del ’77 esce un risultato deludente per il Pci e la Democrazia Cristiana comincia a temporeggiare, tant’è che Berlinguer nel gennaio successivo preme su Moro perché si adoperi per far entrare i comunisti al governo. Pochi mesi dopo avviene l’agguato di via Fani e proprio quando il terrorismo rosso gioca la sua carta decisiva e la politica italiana si trova sul crinale il vento cambia direzione, la Dc si sposta verso i socialisti riveduti e corretti. Il nuovo decennio, grazie anche ad una vigorosa ripresa economica, promette poco di buono per i compagni e uno stizzito Berlinguer cambia bersaglio: non più la reazione in agguato ma la corruzione, come se prima di allora i protagonisti della politica fossero state tante mammolette. Nell’83 Craxi dà il colpo di grazia alle speranze del Pci e i compagni in armi dichiarano ufficialmente fallita la loro missione. Tanto rumore (e tanti morti) per nulla. Più tardi si tenteranno con maggiore successo altre strade.

C’è voluto troppo tempo per stroncare il fenomeno criminale delle Br e degli altri gruppi terroristi, anche perché gli si era dato, e si continua a dargli, un credito politico del tutto ingiustificato e gli si era attribuito una consistenza che non ha mai avuto (e, aggiungo, perché non si è mai voluto risalire agli ispiratori e ai mandanti veri e propri). Vediamo un po’ se ora, mutatis mutandis, dopo lo schiaffo elettorale e dopo aver nuovamente tentato la strettoia impraticabile di un governo di unità nazionale, a qualcuno, in quelle lande, viene in mente di ricorrere a un aiutino per allargare quella strettoia con qualche morto ammazzato.

     Pier Franco Lisorini

 Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

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