fare politica negli ambiti istituzionali non è una missione, e neppure un dovere sociale

LA POLITICA E’ UN MESTIERE

la lezione di tangentopoli ha fatto scuola

È dibattuta ormai da molti mesi la questione degli “stipendi” degli amministratori pubblici che governano sia le istituzioni sia le società da queste controllate o partecipate.

Il grande “scandalo” è stato l’adeguamento che il dottor Bertolotto ha deliberato, in perfetto accordo con la sua coalizione, portando il proprio stipendio da amministratore a quello che sino a quel momento aveva guadagnato nel proprio posto di lavoro. Questo “scandalo” sollevato in modo assolutamente strumentalmente da destra, e da qualche inefficace voce dell’estrema sinistra, non ha giustamente trovato obiezioni nel più vasto mondo della sinistra, perché è del tutto evidente che sia entrato oramai nella mentalità, anche di sinistra, che fare politica -occupandosene a livelli altissimi e di impegnativa responsabilità- necessita di adeguati compensi, o almeno non provochi un abbassamento del livello economico di vita sia dell’amministratore che della sua famiglia.

Ma anche quando questo livello di impegno politico si concretizza in sfere meno elevate, come i consigli comunali o circoscrizionali, il discorso, in linea di massima, è assolutamente identico. Infatti le richieste effettuate da alcuni consiglieri comunali di Savona di vedersi aumentato il gettone almeno a livello di quello della Provincia, e di aumentare le proprie presenze nelle commissioni consiliari, al fine di raddoppiare l’attuale importo derivante dall’impegno politico ha trovato concordi sia il centro-destra che il centro-sinistra, oltre a duplicare l’introito differito –quando questo è previsto- della forza politica rappresentata.

Non è più pensabile che fare politica negli ambiti istituzionali sia una missione, e neppure un dovere sociale. Questa è roba d’altri tempi, quando si faceva credere che assurgere alle cariche istituzionali era un obiettivo quasi mistico, derivante – per le sinistre di allora - dall’aver “strappato” la rappresentanza elettiva a notabili e maggiorenti. Erano tempi quelli in cui mandare un “operaio” in Consiglio Comunale assumeva un significato straordinario, e proprio in virtù di questa connotazione
sociale ne derivava anche una ricerca di morigeratezza, quasi fosse essa stessa un “valore” di differenziazione.

Oggi occuparsi di una carica istituzionale è diventato un impegno che assomiglia di più ad un lavoro, svolto in nome della propria rappresentanza sociale, ma che come tale deve avere dei connotati economici adeguati. E di lavoro ce n’è molto. I consiglieri siano essi provinciali o comunali debbono ormai avere conoscenze di norme e di leggi che spaziano a 360°. I presidenti dei consigli locali svolgono un delicato ed impegnativo ruolo di relazione tra gli organi esecutivi (le giunte) e quelli consiliari. E rispondono con la loro autorevolezza della regolarità dello svolgimento delle adunanze, affinché maggioranza e minoranze abbiano stessi diritti.

Non credo neppure debba essere spiegata l’enorme mole di lavoro derivanti dagli incarichi assessorili.

Per le Aziende o Società che sono ancora controllate dal Pubblico, e quindi dagli Enti Locali, la questione è addirittura assai più seria: come possiamo pensare che queste siano competitive, efficaci ed efficienti se non siamo neppure in gradi di assicurare ai componenti il consiglio di amministrazione uno stipendio adeguato al loro grado di enorme responsabilità? Vogliamo che queste Società siano competitive come quelle Private, ma poi facciamo i puritani su una delle prime regole che lo stesso Privato ci insegna: l’appartenenza è anche e significativamente legata ad un riconoscere se stessi come validi, potenti, influenti. Ed i primi che debbono sentirsi tali sono proprio coloro che hanno il governo di quella azienda, e quale migliore “strumento” se non quello di una congrua indennità?

In ultimo, e non certo per importanza, dobbiamo rammentarci una lezione che ci è costata molto: la corruzione, le degenerazioni, i guasti che per anni hanno tenuto alla berlina una intera generazione di politici, sono stati il frutto indecoroso di quella virtù e morigeratezza fasulle della Prima Repubblica.

Tiberi Lazzari