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IL PROBLEMA DELLA PESCA NEI MARI

di Aldo Pastore

Lester R. Brown, nella  sua pubblicazione “Eco – economy (pagina 79), così scriveva ( aprile 2002):

“ La pesca oceanica è salita da 19 milioni di tonnellate nel 1950 al record storico di 93 milioni nel 1997.
La crescita del 500% ( più del doppio rispetto a quella demografica dello stesso periodo) ha incrementato il consumo mondiale pro-capite di pesce da 8 Kilogrammi nel 1950 a 17 Kilogrammi nel 1997.”

Il recente rapporto della FAO ( 4 settembre 2006) sulla pesca mondiale  ha evidenziato che:

“Il pescato complessivo, sia di mare, sia d’ acqua dolce, ammonta a circa 95 milioni di tonnellate l’ anno, di cui 60 milioni di tonnellate destinate al consumo  umano. “

La richiesta mondiale di pesce continua, quindi,  a crescere, specialmente nei Paesi economicamente sviluppati, i quali, nel 2004, hanno importato 33 milioni di tonnellate di pesce, per un valore di oltre 61 miliardi di dollari.

Le ragioni di questa espansione consumistica sono molteplici e vanno dalla eccezionale qualità e varietà gustativa dei prodotti ittici alla loro facile digeribilità ed all’ idea, molto radicata in vasti settori della pubblica opinione, che il consumo di pesce conduce al benessere ed alla salute.
Non vanno, tuttavia, sottovalutati altri fattori, di natura più propriamente sociale, quali l’ accelerazione della crescita demografica e l’ aumento dei redditi ( riferito, ovviamente, ai Paesi altamente industrializzati); inoltre, la situazione del mercato si è modificata, soprattutto negli ultimi quindici anni, a seguito degli allarmi “ mucca pazza” e “ pollo alla diossina”, che hanno portato molti individui a modificare le proprie abitudini alimentari, privilegiando il pesce ed, addirittura, estendendo questo tipo di alimentazione ai propri animali domestici.
In ultimo, va ampiamente considerato il fatto che l’ introduzione  di nuove metodologie di pesca e l’ introduzione sulle navi e nei porti di moderne e sofisticate tecnologie, rivolte alla lavorazione ed al congelamento del pesce, hanno consentito di fornire i mercati di una sempre maggiore e diversificata qualità del prodotto.

Tuttavia, già nei primi anni novanta del secolo scorso , la FAO ( che costantemente monitora  la pesca oceanica) aveva reso noto che tutte le più importanti zone di pesca del Mondo erano sfruttate ai limiti delle proprie capacità produttive o, addirittura, oltre e che nove zone presentavano macroscopici segni di declino.
Ed ancora: la FAO, nel 2004, ha messo in rilievo due fatti di eccezionale gravità:  

Interroghiamoci sul perché  di tutto questo; perché i mari planetari vanno incontro a questo  lento, ma inarrestabile, logorio?

La risposta è paradossalmente semplice:

“ Ancora una volta, l’ umanità sta assistendo, con fredda rassegnazione, alla ROTTURA DEL RAPPORTO UOMO/NATURA.
Occorre ricordare che se è pur vero che  “ il mare è profondo ed infinito” ( così come poeticamente  è stato definito da Giuseppe Giacosa e Luigi Illica) e che esso è, altresì, pieno di vita, è altrettanto vero che tale vita è regolata da delicati equilibri e rapporti tra le diverse componenti della sua irripetibile specificità biologica.
Soprattutto negli ultimi venti anni, questo singolare e meraviglioso equilibrio all’ interno delle acque marine è stato sconvolto dall’ evolversi delle attività umane.

Le cause di questo sovvertimento sono molteplici; cercherò di riportare, in sintesi, le principali di queste cause, avvertendo, in proposito, che molti problemi vanno ancora discussi e chiariti e che sarebbe oltremodo necessario un approfondito confronto sull’ argomento, possibilmente a livello internazionale, onde indicare  valide e concrete prospettive per l’ avvenire. 

  1. Non vi è dubbio che una grande responsabilità dell’ attuale squilibrio va ricondotta alle TECNOLOGIE DI PESCA, utilizzate nell’ ultimo sessantennio.
    Infatti, la pesca oceanica è aumentata con l’ evolversi di nuove  tecnologie: dai Sonar  ( per individuare i banchi di pesci)  alle “ Reti a strascico”  ( così immense, come esemplarmente scritto da Lester Brown , che se fossero messe una dietro l’ altra, potrebbero fare, più volte il giro della terra), alle “Spadare” ed alle “Tonnare”.
    L’ utilizzo di queste tecnologie ha portato indubbiamente ed un incremento del pescato; tuttavia, esse hanno condotto  ad una diminuzione del numero delle specie ittiche ed, in questo contesto, dei  singoli capi marini e, soprattutto, ad un radicale crollo nella disponibilità di Fitoplancton e di Zooplacton, con successiva e devastante rottura della catena alimentare, dettata dalla natura.
    Per giunta, la situazione è aggravata da un altro fatto e cioè che, con l’ utilizzo delle tecniche sopra citate, vengono catturati molti pesci di piccole e medie dimensioni ( corrispondenti a circa 27 milioni di tonnellate di pescato, ogni anno), i quali, successivamente, vengono ributtati morti in  mare ( pur essendo commestibili) perché non interessanti il mercato.

  2. Una seconda causa dell’ attuale disarmonia biologica marina è rappresentata dalle emissioni di SOSTANZE INQUINANTI NEI MARI;  il  fenomeno  riguarda , soprattutto, i tratti marini prospicienti le coste ed i cosiddetti  “ mari interni”, ivi compreso il Mediterraneo ed, ovviamente, il Mar Ligure.
    Ad un primo e superficiale esame, questo problema potrebbe apparire di scarso rilievo, soprattutto se rapportato alla vastità  delle grandi dimensioni oceaniche, non interessate al tema delle emissioni inquinanti; al contrario, l’argomento non è affatto di scarso rilievo, quando si pensi che, secondo un rapporto reso noto  dall’ UNEP  nell’ ottobre del 2002 , circa il 40%  della popolazione mondiale vive entro un raggio di 60 Kilometri  dalle coste marine ed i relativi scarichi  dei sistemi fognari ( ivi compresi alcuni della nostra Liguria) finiscono in mare, senza essere opportunamente trattati.
    Possiamo citare, in proposito, non soltanto i casi  del Mar di Azov e del Lago di Aral , ma anche il caso  della moria di pesci  nel Mare Adriatico, causata dagli scarichi fognari immessi nel Po  e nei suoi affluenti e, successivamente,  versati in mare.

  3. Una notevole limitazione al pescato marino deriva, inoltre, dagli SCARICHI DI NAFTA E DI PETROLIO , effettuati abitualmente dalle navi in alto mare e, soprattutto, connessi all’ affondamento di petroliere di notevole stazza.
    Su questo argomento mi sembra superfluo citare dati statistici; è sufficiente ricordare il disastro ambientale, intervenuto nel nostro Mare Ligure, dopo l’ affondamento della Haven e, soprattutto, la grave  crisi  della pesca galiziana, successiva all’ affondamento della petroliera Prestige.

  4. Infine, nello studio delle alterazioni dell’ equilibrio biologico marino, deve essere tenuto nella dovuta considerazione un ulteriore elemento, rimasto sinora stranamente ignorato ed, in ogni caso, non sufficientemente analizzato.
    Mi riferisco al fatto che il 90% dei pesci depone le proprie uova  nelle zone acquitrinose delle  coste ( tra le radici delle mangrovie) o nei fiumi.
    Le aree interessate a questo fondamentale evento biologico stanno, oggi, scomparendo a causa dello SFRUTTAMENTO IRRAZIONALE DEI LITORALI COSTIERI a fini industriali, turistici e commerciali, con conseguente distruzione degli acquitrini, delle foreste di mangrovie e delle barriere coralline.
    Tutto questo porta, ovviamente, a negative conseguenze sulla biologia marina e, paradossalmente, al sistema economico di molte aree del nostro Pianeta, ivi compresa la nostra piccola Liguria.

E’ possibile porre rimedio alle cause morbigene  sopra citate?

Cercherò di rispondere nel corso del prossimo articolo.

ALDO PASTORE                                                                29 settembre 2006