Bisognerebbe vivere “il” verde, non “nel” verde; anzi, meglio ancora: vivere “per il” verde.
Il cemento e la collina-3 Vivere il verde, non vivere nel verde

                                      di Nonna Abelarda      versione stampabile

 Persino nei parchi si ammette un certo numero di attività umane. E’ implicito che un territorio non può essere abbandonato a se stesso, anche quando l’intento è di rispettarlo e non di sfruttarlo a mani basse. Occorre, o almeno occorrerebbe, quella costante e discreta presenza, quella manutenzione di terreni, boschi e sentieri che li tenga puliti da rovi e sterpaglie; un minimo di attenzione ai muretti a secco; pulizia e assenza di inquinamento fin dai piccoli corsi d’acqua; creazione di stradine tagliafuoco; taglio controllato e selettivo di piante in eccesso o malate…Eccetera. Tutte quelle cose che un tempo erano occupazione quotidiana dei nostri padri, nelle campagne, e che sarebbero preziose per limitare i danni, per quanto concerne incendi, smottamenti, alluvioni, epidemie di parassiti.

Ora, posto che non è proponibile tornare a isolarsi e vivere tutti di patate e castagne secche, si può comunque cercare di avere un rapporto meno freddo con la natura che ci circonda, di recuperare gli aspetti positivi di quelle antiche attività, dove possibile. Strano a dirsi, ma persino per molti che vivono nelle campagne qui intorno questo non è ovvio, e ce ne accorgiamo. Per questo dico che bisognerebbe vivere “il” verde, non “nel” verde; anzi, meglio ancora: vivere “per il” verde.

Questo non si ottiene né con l’edilizia puramente abitativa,  né con le villette di lusso né, almeno in buona parte, con le seconde case. Dico “in buona parte” perché esistono persone che, pur non potendo stabilmente trasferirsi nella casa in campagna, riversano ugualmente cure adeguate sui terreni intorno. In compenso, per molti altri il mondo termina al di là del muretto del giardino (un po’ come nei condomini termina oltre lo zerbino) e tutto il resto è terra di nessuno. Da cui, sterpaglie, incuria e immondizia negli spazi fra le villette, nessuna attenzione a sentieri, terreni e boschi, nessuna prevenzione e vigilanza contro gli incendi, spesso infatti devastanti e pericolosamente vicini alle case.

Dal lato opposto, abbiamo zone dove chi vorrebbe trasferirsi in campagna trova ostacoli insormontabili, fra prezzi assurdi e carenza di case adatte, servizi inesistenti, pastoie burocratiche infinite, negazione di licenze edilizie e così via.

Come sempre, un sano giusto mezzo sembrerebbe la soluzione auspicabile e invece è aborrito da tutti. Forse perché, ahimè, nell’immediato è scarsamente monetizzabile, porta vantaggi solo per la collettività e a lungo termine, quel tipo di vantaggi  dei quali non sembra importare a nessuno. Eppure, alla lunga la non-vivibilità si paga, sia che si tratti di alienanti sobborghi, sia di campagne abbandonate all’incuria.

Penso che occorrerebbero soluzioni ragionevoli, con un minimo di strategie comuni fra i vari paesi.  Frenare la costruzione di villette, seconde case,  case a schiera, le colate di cemento di varia natura tanto redditizie quanto insostenibili per gli equilibri del territorio. Anche quando si chiamano “presidi abitativi” nei parchi, o “borghi liguri” in cima alle colline. Nonostante gli eufemismi e i nomi più o meno pittoreschi, sempre lugubre cemento rimane. Privilegiare la ristrutturazione di costruzioni già esistenti, ma con quel minimo di modifiche e ampliamenti non speculativi che consentano di trasformarle in edifici abitabili. Rispettare, con giudizio, lo stile delle costruzioni locali e una certa uniformità e cura estetica: niente villette rococò, ma neanche bunker seminterrati. Non si può sacrificare ciecamente il buon gusto ai regolamenti. Privilegiare chi è in cerca di una prima casa, specie le coppie giovani, e soprattutto chi ama veramente la campagna. Ad esempio, anziché “imporre” ai proprietari la cura dei terreni, strategia punitiva e poliziesca di difficile applicabilità, si potrebbe “premiare”, con incentivi e sgravi fiscali, chi si prende cura di un pezzo di terra o di un tratto di bosco.

Garantire il più possibile servizi adeguati, come scuole, trasporti, allacciamenti, e favorire le nuove residenze. Aiutare con contributi e facilitazioni chi voglia attivare imprese “ecologiche” , di coltivazione, allevamento, agriturismo, trasformazione dei prodotti.

Insomma, le idee sarebbero tante. D’altra parte, se riscopriamo prodotti agricoli di un tempo, ricette, tradizioni, se incentiviamo le attrattive turistiche dell’entroterra, se siamo in cerca di un modo più equilibrato, responsabile e produttivo di vivere e rivalutare il territorio, anche questi sono aspetti importanti che andrebbero curati. Con vantaggi per tutti.

     Nonna Abelarda