TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni

UOMINI E BESTIE

8: Prospezioni dell’immaginario

Leones

Parte terza 

Secondo una recente classificazione, di Wozencraft (1993), la famiglia Felidae si divide nelle tre sottofamiglie delle Acinonychinae (il ghepardo), Felinae (il puma, la lince, l’ocelotto, il caracal, il gatto servalino...) e Pantherinae, tra cui il genus Panthera, che comprende il giaguaro, il leopardo, la tigre e il leone. Ecco le specie note (da Nobuyuki Yamaguchi, Wildlife Conservation Research Unit, Oxford University Department of Zoology):

                        1. Panthera leo leo: il leone di Barberia, l’ultimo ucciso in Marocco nel 1921; lungo sino a tre metri e pesante sino a duecentocinquanta chili, aveva una maestosa chioma nera che raggiungeva l’addome; fu il protagonista dei sanguinari spettacoli circensi dei Romani, che lo catturavano nel Magreb e lo importavano appositamente. Pare che un’organizzazione animalistica sudafricana, lo Hoedspruit Centre for Endangered Species, progetti di riportarlo in vita servendosi di alcuni esemplari “rescued [...]  from an abandoned circus in Mozambique, which [...] bore a striking resemblance to Barbaries” (“BBC News”, 30 giugno 1999).

                        2. Panthera leo persica: il leone indiano, ormai solo nella Gir Protected Area del Gujarat; il maschio ha una criniera meno vistosa di quella degli africani ed entrambi i sessi presentano una plica di pelle lungo il ventre altrimenti ignota. Poiché in un lontano passato il suo habitat s’estendeva dalla Grecia all’India, potremmo pensare che fosse questa la specie nota ad Omero e ad Aristotele (nei testi citato nella prima parte; CHELLAM-JOHNSINGH, Management of Asiatic lions in the Gir Forest, India, Symposia of The Zoological Society of London 65, 1993, 409-424).

                        3. Panthera leo melanochaita: il leone del Capo, estinto intorno al 1860. Il direttore dello zoo Tygerberg presso Città del Capo pare abbia fatto arrivare da uno zoo della Siberia due cuccioli di leone, che secondo lui sono strettamente imparentati a quello del Capo e potrebbero far rivivere la specie (“The Star”, 6 novembre 2000).

                        4. Panthera leo senegalensis: il leone del Senegal.

                        5. Panthera leo azandica: i leoni del Congo nordorientale.

                        6. Panthera leo nubica: il leone masai e il leone del Serengeti (massaicus), il leone somalo (somaliensis), il leone del Congo (hollisteri) e il leone abissino (roosevelti).

                        7. Panthera leo bleyenberghi: il leone del Katanga, angolano o del Congo meridionale.

                        8. Panthera leo krugeri: il leone del Sud Africa o del Transvaal, tra cui i rarissimi esemplari bianchi, il leone del Kalahari (verneyi). 

Sulla filogenesi dell’animale le opinioni scientifiche divergono. Ecco, fra i molti, il modello evolutivo proposto da C. R. Harington del Canadian Museum of Nature, integrato con alcune notizie da Ernst Probst, Deutschland in der Urzeit. Il trovamento piú antico è rappresentato da Panthera gombaszoegensis del Protopleistocene, circa un milione e mezzo d’anni or sono, dai giacimenti della gola di Olduvai nell’Africa orientale: si tratta di un esemplare che presentava i caratteri misti del leone e della tigre. Panthera leo fossilis, anche mosbachensis, scoperta nel 1906 da von Reichenau presso Wiesbaden, colonizzò il Vecchio mondo circa cinquecentomila anni fa, profittando dei mutamenti climatici che ampliarono i suoli steppici. Panthera youngi, comparsa nella Cina nordorientale a Choukoutien intorno a trecentocinquantamila anni fa, costituisce probabilmente l’anello di congiunzione fra Panthera leo fossilis ed il leone delle caverne eurasiatico (Panthera spelaea), diffuso dall’Inghilterra al fiume Alazeya in Siberia, che durante la glaciazione dell’Illinois attraverso la Beringia entrò nel Continente nuovo e diede origine al leone americano (Panthera atrox), diffuso dal fiume Kaolak in Alaska sino alla Florida, al Messico e al Perú. Andrebbe citato anche il Thylacoleo carnifex o leone marsupiale australiano del pleistocene (STEPHEN WROE, More Over Sabre-Tooth Tiger, in “Nature Australia”, vol. XXVI, 10, 44-51). Al termine dell’era glaciale, quando le foreste tornarono a crescere rigogliose dove prima si stendevano vastissimi prativi, il numero degli erbivori si ridusse drasticamente per mancanza di cibo e, di conseguenza, vennero meno anche le condizioni di sussistenza dei predatori, ragion per cui i leoni disparvero dal continente americano e da gran parte di quello asiatico, eccetto l’India e nell’evo antico il Medio Oriente, nonché dall’Europa, esclusa la Grecia settentrionale sempre nell’evo antico, come si disse nella prima scheda. Nel continente d’origine, scomparsi dall’Africa mediterranea, si trovano ancora in buon numero, catalogati dal CITES (Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora, sottoscritta a Washington, D.C., il 3 marzo 1973, emendata a Bonn il 22 giugno 1979) nell’Appendix II: “species that are not necessarily now threatened with extinction but that may become so unless trade is closely controlled” (Checklist of CITES Species, compiled by UNEP-WCMC, 2001), ma relegati nei parchi (Serengeti National Park in Tanzania, Maasai Mara National Reserve in Kenya, Timbavati Game Reserve e Kruger National Park in Sud Africa), nella fascia territoriale dal Senegal alla Somalia, nell’Africa orientale, nell’Angola, nel nord della Namibia e dal Kalahari ad est sino al Mozambico e al Natal. 

Non c’è forse animale che, quanto il leone, abbia sollecitato in ogni tempo la nostra fantasia simbolica e rappresentativa (ciò che segue da L. FILINGERI, Il leone nella rappresentazione: dal Paleolitico ai tempi storici, in “Paleolithic Art Revue” 2001; FELICE MORETTI, Specchio del mondo. I “bestiari fantastici” delle cattedrali, 1995; Miti e riti della Preistoria, a c. di F. FACCHINI e P. MAGNANI, 2000, oltre quanto di volta in volta specificato). Una delle piú antiche testimonianze note è una consunta testa in travertino pensile a grandezza naturale dall’Arma delle Manie nel Pollupice, che lo scopritore, Pietro Gaietto, fa risalire al Musteriano. All’Aurignaciano certo risale, secondo prova la datazione col C14, la statuetta in avorio leontocefala al Museo di Ulma, trovata in minuti frammenti nel 1939 da Robert Wetzel nell’antro di Stadel delle grotte di Hohlenstein presso Asselfingen, nel Giura svevo, ricomposta nel 1969 da Joachim Hahn ed ora interpretata forse con ragione da Elisabeth Schmid quale una Löwenfrau, ma si tratta in ogni modo di un idolo cultuale (Der Löwenmensch, Tier und Mensch in der Kunst der Eiszeit, Ulmer Museum, 1994).

Nel 1994 alcuni speleologi dilettanti fecero nella caverna di Chauvet-Pont-d’Arc, nelle falesie calcaree delle gole dell’Ardèche, una delle piú importanti scoperte palentologiche del secolo: un magnifico bestiario figurale aurignaciano con rinoceronti, orsi, leoni e mammut che, non essendo prede di caccia dell’Homo sapiens sapiens, dimostrano per lo meno l’affrancamento dalle pratiche di magia simpatica che verosimilmente diedero origine alla pittura rupestre, se non verso una dimensione “inutile”, per lo meno religiosa dell’arte, come conferma anche l’insistita ricerca della rappresentazione prospettica (J. CLOTTES-B. GÉLY-Y. LE GUILLOU, Dénombrements en 1998 des représentations animales de la Grotte Chauvet-Pont-d’Arc, in “INORA Lettre Internationale d’Information sur l’Art Rupestre” 23, 1999; nell’immagine che segue non è chiaro se si tratti di due femmine, perché il leone delle caverne era privo di criniera).

La grotte ornée dei Trois Frères nell’Ariège, cosí detta perché fu scoperta nel 1914 dai tre figli del conte di Bégouen, ospita la magdaleniana “Chapelle de la lionne”, in cui si può ammirare uno dei disegni piú enigmatici e perturbanti, un felino con un braccio umano che si protende dal posteriore (D. VIALOU, L’Art des grottes en Ariège magdalénienne, 1986): torna súbito in mente la Mischgestalt dell’antro di El Juyo, presso Santander in Ispagna, ora al Museo di Altamira, del primo magdaleniano, in cui è grossolanamente scolpito un volto mezzo umano e mezzo leonino.

 MISERRIMUS