TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni

UOMINI E BESTIE

8: Prospezioni dell’immaginario

Leones

Parte prima 

Secondo Aristotele si classificano fra i quadrupedi, vivipari, polidattili, criniti, multiunguli, zannuti, artigliati, carnivori, ambianti, amphodónta (cogl’incisivi su ambedue le mascelle), opisthourētiká (mingenti da retro), tà stómata anerrōgóta (dalla grande apertura buccale), syniónta pugēdón (montanti), e da un punto di vista etologico fra i liberi, valorosi e nobili (eleuthéria kaì andreîa kaì eugenē^: hist. an. passim). La trattazione specifica si legge in ibid. 516b7-11, 579a31-b14, 594b17-28, 610a13-14 e 629b8-630a8, ripresa da Plinio, per sua stessa ammissione (VIII 44), nei capp. 41 sqq. dell’ottavo libro della Naturalis Historia, che ora riassumeremo, integrando ove necessario con quanto di Aristotele risulti trascurato (o frainteso) e commentando talvolta alla luce delle moderne conoscenze; molte delle sciocchezze vengono da altre fonti (quae a me collecta in artum cum iis, quae ignoraverat). 

Hanno le unghie retrattili come altri felini (VIII 41). I maschi colla criniera, (le femmine non l’hanno: per una moderna spiegazione di questo dimorfismo sessuale secondario, si cfr. P. M. WEST-C. PACKER, Sexual Selection, Temperature, and the Lion’s Mane, in “Science”, 297, agosto 2002, 1339 sqq) sono figli legittimi, quelli senza sono il frutto dell’adulterio delle leonesse coi leopardi all’abbeveratoio, poi per evitare che il leone fiuti l’odore del rivale e le punisca, si lavano nel fiume oppure lo seguono da lungi (42-43). Ecco il testo strampalato 

Particolarmente nobili sono quei leoni che hanno il collo e le spalle rivestite dalla criniera; questo càpita però solo agli adulti che abbiano per padre un leone: quelli generati da un leopardo sono sempre privi di tale contrassegno, e lo stesso vale per le femmine. Le femmine hanno sempre una gran bramosia d’esser coperte, ciò che desta l’ira dei maschi. Fatti simili accadono soprattutto in Africa dove, raggruppandosi tutte le fiere lungo le rive di pochi fiumi per mancanza d’acqua, vengono poi partorite forme animali d’ogni sorta perché le femmine di una specie, spinte dall’estro o costrette colla violenza, copulano indistintamente coi maschi di un’altra specie: di qui viene tra l’altro il detto comune in Grecia che l’Africa riserba sempre qualcosa di nuovo. Se il leone s’accorge dell’adulterio della leonessa a causa dell’odore che resta su di lei dal coito col leopardo, si precipita ad infliggerle la piú severa delle punizioni, per cui essa o cerca di cancellare la sua colpa lavandosi nel fiume o segue il maschio mantenendosi a distanza. 

Notizia pescata chissà dove: pardus potrebbe essere effettivamente il leopardo (Panthera pardus). “Pantera” è una trad. di comodo: la panthera ha un vello bianco maculato, emana un profumo inebriante (favola antica: ARISTOPH. hist. an. ep. II 282, Comm. Ar. Gr. suppl. 1.1 LAMBROS, ripresa in tutti i bestiari medievali), la razza piú diffusa in Africa e in Siria si chiama varia, ossia “variegata”, e pardus il maschio (VIII 63); nel brano qui tradotto sembra di capire che ci sono leoni genuini e leoni mezzosangue, figli dei “pardi” e delle leonesse; Isidoro scrive (or. XII 11, 11) che dai “pardi” e dalle leonesse nascono i “leopardi”; Aristofane di Bisanzio (ibid. II 281) chiarisce finalmente che la panthera è solo ciò che il suo nome dice che sia, pàn thē’r, la fiera “frutto di tutte le fiere” (iena, leone, “pardo”, capra, lepre, gazzella, lupo), un altro animale fantastico che la fertile fantasia antica immaginò proveniente dai coiti promiscui “della madre” (che non si sa a quale specie appartenga), e d’altr’onde anche la nomenclatura binomiale moderna indica col termina Panthera il genus, ad es., oltre il leopardo già ricordato, P. onca (il giaguaro), P. leo, P. tigris. Nel linguaggio comune pantera è un sinonimo di leopardo.

Plinio non accoglie invece la notizia che partoriscano una sola volta nella vita perché il nascituro lacera la matrice della madre cogli unghioni (43); Aristotele (579a32 sqq.), che si limita a parlare dell’espulsione dell’utero, precisa che la fandonia fu inventata perché sono poco prolifici; Aulo Gellio (XIII 7 pr.-6) osserva: 

Erodoto nel terzo libro delle Storie scrive che la leonessa partorisce una sola volta in tutta la sua vita e che in quell’unico parto non mette al mondo mai piú di un cucciolo. Ecco le sue precise parole [III 108]: 

La leonessa, che è un animale possente e assai animoso, partorisce una volta nella vita, perché durante il parto espelle insieme col cucciolo l’utero.  

Omero invece sostiene che i “leoni” (applica infatti il termine di genere maschile anche alle femmine, ciò che la grammatica chiama un uso epiceno) generano e allevano piú di un cucciolo, 4 come si evince chiaramente da questi versi [Il. XVII 133-5]:  

Stava come leone a difesa dei figli,
che conducendo i suoi nati s’imbatta nella foresta
in uomini predatori.
 

E come è confermato in un altro luogo [Il. XVIII 318-20]: 

Fitto gemendo, quale leonessa foltocrinita
cui sottrasse i piccoli cacciatore di cervi
dal folto della foresta.
 

La femmina figlia la prima volta cinque piccoli informi (l’originale, 579b8, riporta solo “tanto piccoli che a due mesi riescono a stento a camminare”; della credenza dell’informitas neonatale discuterò in una futura scheda sugli orsi), grandi quanto una donnola, poi ogni anno uno di meno sinché, dopo averne dato alla luce uno solo, resta sterile, riferito dal Filosofo alla sola specie siriana (579b8 sqq.); prima (579a33 sqq.) aveva scritto che le leonesse mettono al mondo in primavera, ogni anno, di solito due piccoli, non piú di sei, talora uno (in verità, dopo una gestazione di tre mesi e mezzo nascono da uno a cinque piccoli, di solito due o tre, il cui peso medio alla nascita è l’un per cento del peso medio adulto, in ogni stagione dell’anno: ciò è principalmente dovuto al fatto che, vivendo i leoni in comunità dette con termine inglese prides, composte di un numero di femmine variabile da due a diciotto, coi loro piccoli, e di un numero di maschi da uno a sette, quando i giovani adulti vengono espulsi dal gruppo d’origine, fanno lega con altri consanguinei e vanno in cerca di una pride da cui cacciar via i maschi per sostituirvisi; se ci riescono dopo furiosi combattimenti, spesso uccidono i figli degli spodestati, onde le leonesse entrano poco dopo in estro e avviene la congiunzione coi nuovi padri: RONALD M. NOWAK, ed., Walker’s Mammals of the World, 5th ed., 1991, anche per quanto segue).

In Europa si trovano solo nel territorio compreso tra l’Acheloo ed il Mesto (l’Acheloo -un’immagine alla fine di questo articolo- o Aspropotamo nasce dai monti di Lakmos e di Peristeri, a sud di Metsovo, attraversa il Pindo, l’Etolia, la piana di Agrinio a sfocia nel Mar Ionio di fronte alle isole Echinadi; il Mesto, che nel testo greco compare nella variante Nesso, è l’attuale Mesta-Néstos, nasce sui Monti Rodopi in Bulgaria e sfocia nel mar Egeo nella provincia greca di Kavala, di fronte all’isola di Taso), ma sono molto piú vigorosi di quelli d’Africa e di Siria (45). Ne esistono due specie: quelli piú piccoli e tozzi, colla criniera arricciata, piú pavidi, e quelli che hanno un vello piú folto e liscio e sono piú animosi (potrebbero essere, rispettivamente, Panthera leo persica e Panthera leo leo, come dirò nel prossimo articolo). Mingono al modo dei cani (da 594b25, ma s’è visto che in 500b15 li dice opisthourētiká, con ulteriori osservazioni sulle feci, rare e secche come quelle dei cani, e sulle flatulenze pestilenziali, che evidentemente il Nostro ha ritenuto sconveniente di riportare; il deporre urina ed escrementi, artigliare i tronchi o sfregarvisi contro, ruggire, sono tutti espedienti per delimitare il territorio della pride, che misura di solito circa ottanta chilometri quadri) e hanno un odore corporeo greve, quanto l’alito. Bevono poco e mangiano a giorni alterni ma, quando sono sazi, possono rimanere per tre giorni senza cibo. Inghiottono senza quasi masticare e, se si sono rimpinzati troppo, vomitano l’eccesso cacciandosi le zampe in gola, soprattutto quando devono fuggire, per non essere appesantiti (46, le assurde pratiche vomitorie assenti in greco, il resto è abbastanza veritiero). Vivono a lungo (non oltre i vent’anni in cattività), come dimostra il fatto che molti di quelli catturati risultano privi di denti e, quando sono vecchi, secondo riferisce Polibio (XXXIV 16, 2; da III 59, 7 sappiamo che viaggiò in Libia, inoltre fra il 149 e il 146 partecipò ad una crociera di costa da Gades all’Uadi Draa), assalgono l’uomo nei dintorni delle città perché non riescono piú a catturare gli erbivori; gli Africani allora ne prendono alcuni e li crocifiggono per scoraggiare gli altri (47; diventano antropofaghi meno spesso delle tigri ma, se càpita, si aggirano di notte intorno ai villaggi in cerca di preda, come sembra ad es. accertato che accadesse nel campo degli operai che costruivano un ponte sul fiume Tsavo in Kenya all’inizio del secolo). Secondo Giuba (II di Mauretania, †23p, forse nei Libyca, FHG III 23 sqq. MUELLER) capiscono ed accolgono le suppliche di chi li prega d’esser risparmiato (48). I movimenti della coda indicano lo stato d’animo: se è ferma sono tranquilli, se la muovono lentamente fanno festa, se battono il terreno e poi si sferzano i fianchi, sono adirati (esatto a parte il far festa, assente in greco; in AEL. nat. an. V 39 si frustano i fianchi colla coda per stimolarsi all’assalto). La loro forza stà nel petto (assente in greco) e dalle ferite che infliggono cola un sangue nero (49). Quando sono sazi sono innocui. Per non apparire vili, se cacciati si ritirano con lenta noncuranza, dandosela a gambe solo quando nessuno li vede perché sono coperti dai cespugli. Fanno dei balzi solo quando inseguono la preda, ma non quando scappano (50; gli Antichi non avevano evidentemente alcuna idea della caccia di gruppo praticata dalle leonesse della pride o della subpride). Riconoscono fra i cacciatori chi li ha feriti e lo assalgono, ma non lo azzannano se ha sbagliato mira (anche in AEL. ibid.; di qui in poi tutto assente in greco, tranne il particolare del fuoco). Le madri si dice che tengano lo sguardo al suolo, quando combattono in difesa dei leoncini, per evitare di farsi spaventare dalla vista delle armi (51). Fissano sempre dritto negli occhi e cosí vogliono esser fissati, si crede che morendo mordano la terra e piangano sul loro destino. Hanno paura del fragore dei carri in movimento, o se li vedono vuoti, delle creste e del canto dei galli e soprattutto del fuoco. Ecco quanto a conferma di queste panzane in cui credevano gli Antichi riporta

Nepualio (perì tō^n katà antipátheian kaì sympátheian 60-65). 

Se un leone sale su un leccio a foglie bianche [non esistono “lecci a foglie bianche”, se non le piante giovani che hanno entrambe le pagine tomentose, tanto da parere biancastre; e ovviamente i leoni non salgono sugli alberi], cade addormentato.

Il grasso di leone tiene lontani topi e mosche.

Se si unge tutt’intorno un deposito di grasso di leone, i cavalli e i buoi non ci mettono piede.

Il leone ha paura del gallo, soprattutto se è bianco.

Se uno si unge di grasso di gallo, rintuzza l’assalto portatogli da un leone.

Il leone rifugge da un carro vuoto, da una ruota che gira e da un fuoco che arde. 

Soffrono solo di stomaco, e la cura consiste nel legarli ad alcune scimmie, che li esasperano coi loro lazzi, allora le uccidono e, dopo averne gustato il sangue, subito son guariti (52; codeste scimmie digestive anche in AEL. V 39). Se gli si copre il capo con un telo, perdono ogni forza, onde son catturati in tal modo per l’arena (54). Marc’Antonio fu il primo ad aggiogarli al suo carro di trionfo, su cui percorse la città al fianco di una spogliarellista, Annone di Cartagine (IIIa; anche in AEL. V 39 e in PLUT. praec. ger. reip. 799e: “esiliarono Annone, accusandolo di avere in animo un colpo di stato perché usava un leone come bestia da soma durante le spedizioni militari”) il primo ad addomesticarne uno (55). Seguono due storielle simili a quella di Androclo (che riferirò nella prossime schede): un Mentore siracusano cavò una spina dalla zampa di un leone in Siria, come fà fede un dipinto in Siracusa, ed un Elpide di Samo, naufragato sulle coste africane e inseguito da un altro leone a fauci spalancate, dopo essersi votato a Dioniso, s’accorse che l’animale aveva un osso incastrato nella gola e glielo tolse, ricevendo in cambio dalla bestia il cibo sin quando non vennero a salvarlo, onde, tornato in patria, consacrò un tempio a “Dioniso boccaperta” (56-8, frammentarie in AEL. VII 48, il quale nomina tra le fonti Eratostene ed Euforione, ciò che sembra convincente data la natura eziologica della fola).

Restano fuori i seguenti ragguagli: secondo alcuni le ossa non hanno midollo e sono cosí dure da esser usate come pietra focaia (516b7-11); perdono i quattro canini all’età di sei mesi (579b12 sqq.); tra loro e gli sciacalli intercorre una grande inimicizia (610a13-14); a volte son messi in fuga dai maiali e scappano a coda ritta come i cani (629b35 sqq.); patiscono solo le ferite nel ventre (630a3 sqq.). Alla categoria delle frottole vere e proprie appartiene invece la notizia in PSAR. mir. ausc. 845a28-34: 

Si dice che in Siria si trovi un animale chiamato leontofono, che deve il suo nome al fatto che il leone muore, a quel che pare, se lo mangia: non lo fà volontariamente e se ne tiene lontano, ma quando i cacciatori, dopo averlo catturato, lo cuociono e lo riducono in polvere come la farina bianca, poi lo mescolano alle carni di un altro animale, dicono che il leone muoia immediatamente se le mangia. Lo danneggia anche orinandogli sopra.

MISERRIMUS