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MA

Romanzo in dieci racconti di Gloria Bardi

L'amante

Matilde Agosti era sconcertata nel constatare come l'abbandono o anche solo l'adulterio gettassero in uno stato di completa prostrazione le donne che li subivano, perlomeno tra le sue conoscenze.

Sia che si abbandonassero al vittimismo, ai singhiozzi e ai sensi di colpa, sia che si lanciassero nella più selvaggia aggressività con tanto di improperi, persecuzioni telefoniche e graffiate a destra e a manca, tutte le sue parenti ed amiche avevano dato comunque in tale circostanza prova di scarsa razionalità.

Persino una ragazza bella e fiera come l'Annabella Ferramont, manager e socia di maggioranza della ditta Ferramont & Ferramont, materiali per l'edilizia, e presidente della squadra di pallanuoto Ferramont & Ferramont, aveva smarrito il suo equilibrio e si era lasciata andare a scenatacce davanti a tutti, persino ai panchinari della Ferramont & Ferramont.

Mentre un’ ex femminista ed ex coordinatrice nazionale di autonomia coma Paola Arnaud si era gettata ai piedi del suo carabiniere implorandolo di tornare da lei che da sola non poteva più vivere.

E cosa dire di sua cognata, Eliana Bonavira in Campochiesa, che aveva tentato tre volte il suicidio da quando aveva scoperto che suo marito Umberto Campochiesa La Loubatière, degno figlio di tanto padre, aveva una storia con una hostes della compagnia Iberia e che per lei andava e tornava in volo da Barcellona, lui che aveva fatto saltare il viaggio di nozze ai Caraibi perché all'ultimo momento gli era presa la paura dell'aereo ?

E di Gabriellina Manzo, la sua colf ? Da quando aveva trovato una giarrettiera rossa nella valigia del marito camionista non faceva che piangere e minacciare, minacciare e piangere fino a quando non scagliava a terra la prima cosa frangibile che le capitava tra le mani in casa Agosti-Campochiesa: ora il pappagallino in vetro di Murano dono di Agostino per la festa della mamma, ora l'anforetta faentina antica, quella dove Stefano nascondeva i gemelli d'oro, ora l'ampollina di terracotta spagnola portata da Umberto Campochiesa, l'adultero, in uno dei tanti andirivieni, giusto per darsi un tono. In quelle occasioni Matilde si sentiva davvero fortunata a non possedere il famoso vaso cinese e ne deduceva che la ragione dell'umana felicità è piuttosto nel non essere che in una qualche fantomatica positività.

Per di più Matilde aveva preso a frequentare un gruppo femminile che, in autogestione, operava una sorta di psicoterapia di gruppo, dove, salvo qualche svirgolata sul rapporto coi figli, coi padri e col mito di Marilyn Monroe, l'argomento fisso era proprio quello: il tradimento e le diverse reazioni. Sia in questa sede che nei lunghi colloqui telefonici con le amiche in singhiozzi, Matilde faceva appello alla ragione e alla salvaguardia della propria dignità, sosteneva la naturale precarietà delle passioni umane e la necessità di pensare una coppia non come  una realtà pietrificata ma come ad un organismo vivente e quindi evolvibile. Sosteneva che in quel casi bisognava assolutamente razionalizzare, parlare col partner e insieme cercare una verifica al rapporto di coppia, giungendo, se il caso, a metterne in discussione l'esistenza stessa. E non mancava Matilde di perorare la causa dell'antagonista, quella che generalmente viene apostrofata come "la sgualdrina" e peggio, lei stessa persona pensante e pulsante e come tale degna di essere ascoltata e considerata.

In ultimo Matilde ribadiva che non stava certo nel rapporto sessuale strictu sensu l'essenza dell'adulterio, quello era l'aspetto più trascurabile e meno allarmante, da leggersi caso mai come conseguenza e non come essenza del guasto all'interno della coppia.

Aveva un bel dire Matilde, ma prima o poi qualcuno finiva per risponderle: "parli perché non ci sei mai passata, vorrei vederti se venissi a sapere che Stefano ha un'amante". L'affermazione era inoppugnabile e Matilde ne era conscia. A lei, tanto ricca dal punto di vista teorico, faceva difetto l'empiria, e l'ottuso pragmatismo imperante, incapace di riconoscere il privilegio della ragion pura, le toglieva diritto di replica.

Comunque sia, Matilde si sentiva umiliata da quella elementare constatazione che tacciava di vaniloquenza le sue tesi e rischiava di farla sentire sempre più emarginata dal momento che, a quanto pareva, l'unico uomo fedele a questo mondo se l’era beccato lei.

"Beata te" le dicevano le amiche e l'abbandonavano lì, nella sua presunta beatitudine, come si fa talvolta con le persone sane da parte di quelli che, malati, ritengono che l'unico argomento serio al mondo siano le malattie. "Comunque sia" concludeva Matilde giusto per trarsi d'impaccio "una cosa è certa, non agirei d'impulso,  infatti è vero che non posso scommettere sui miei impulsi, ma per prima cosa porterei qui nel gruppo psicoterapeutico la mia esperienza e sottoporrei all'analisi collettiva la mia condizione psicologica per cercare una decantazione terapeutica del dato istintivo ed una razionalizzazione comparativa che guidi poi i miei propositi d'azione".

Tornando a casa dalle sedute, Matilde si sentiva piena di dispetto verso se stessa, che ancora una volta aveva provocato con i suoi interventi l'espressione della solita condanna al silenzio, da parte delle compagne, che si rivelavano intel­lettualmente ottuse e umanamente poco delicate nei suoi confronti, e di Stefano Campochiesa avvocato civilista, suo marito, che non c'aveva mai neppure provato a farsi un'amante, mettendola così alla berlina del mondo esperiente.

Matilde Agosti finì così per non rispondere più se non a monosillabi alle amiche telefonanti, e per non andare più al gruppo di psicanalisi autogestita, dal momento che l'argomento trattato, giragira, era sempre quello.

Senza le riunioni le serate di Matilde erano lunghe e noiose, talvolta si immergeva nella lettura di qualche libro ma con sempre maggior distrazione, talvolta addirittura guardava la televisione, mentre Agostino dormiva e Stefano era chiuso nel suo studio a riordinare le carte ma, inutile dirlo, era molto insoddisfatta di se stessa e soprattutto si sentiva sprecata ed improduttiva.

E fu proprio durante una di tali serate televisive che Matilde Agosti in Campochiesa fece l'inusitata scoperta che Stefano Campochiesa, avvocato civilista, suo marito, aveva un'amante o giù di lì.

Matilde si era alzata per andare ad avvertire Stefano che stava per iniziare un documentario sulla vita e gli amori del lumacone di mare striato, Stefano era un divoratore di cose del genere, ma, avvicinandosi allo studio, fu sorpresa nell'udire suo marito parlare concitatamente a bassa voce. Siccome era passata la mezzanotte, Matilde si stupì e fece quello che pensava non avrebbe mai fatto: origliò. Riuscì a capire ben poco ma tanto bastava per fugare qualsiasi dubbio: Stefano aveva un'amante che si chiamava Maria Pia e in quel momento aveva il mal di denti. Era molto tenero il tono con cui Stefano le consigliava un analgesico, lo stesso di cui lei, la moglie, faceva uso in simili circostanze, e le diceva: "se solo potessi esserti vicino in questo momento!".

Matilde barcollò e, sostenendosi alla parete, arretrò fino a riguadagnare il suo posto in poltrona davanti al teleschermo che fissò inconsapevolmente con occhi sbarrati e bocca aperta, tanto che Stefano, sopraggiunto per verificare se per caso avesse udito qualcosa, non riuscì proprio a spiegarsi cosa sua moglie trovasse di travolgente nei titoli di testa del lumacone.

Quella sera, mentre Stefano dormiva Matilde continuava a  rigirarsi nel letto, combattuta tra due forze contrapposte, quella della disperazione e quella della soddisfazione. Tra due se stessa contrapposte: la Matilde moglie mediterranea o la Matilde "femme savente".

Prevalse la seconda, e lei si addormentò alle sette del mattino pregustando il rientro trionfale per quella stessa serata nel gruppo psicoterapeutico autogestito, con diritto di parola per consumata esperienza.

Matilde, accolta festosamente, si sentì subito e finalmente a proprio agio ma non ebbe per quella volta occasione di parlare perché il discorso si incanalò sull'incidenza degli status symbol nell'immaginario maschile e si finì per parlare della Ferrari e del Rally di Montecarlo.

Del resto Matilde non voleva farsi vedere troppo impaziente di raccontare e si compiacque delle circostanze che glielo avevano impedito consentendole di farlo più distaccatamente la volta successiva.

Ma nemmeno la volta successiva fu quella buona perché si parlò delle pubblicità degli assorbenti igienici e del senso di imbarazzo che producono in famiglia, segno evidente di come sul ciclo femminile perdurino ancestrali tabù.

Dovettero passare ben due settimane prima che il discorso tornasse all'adulterio, tanto che Matilde aveva cominciato a credere che il solito inadeguato di suo marito avesse cominciato a tradirla quando il resto del mondo aveva scoperto la fedeltà.

Il discorso, si diceva, tornò dopo due settimane, riproposto da Fulvia Percivale, tecnica di laboratorio, che aveva sorpreso il marito in flagrante con la sua segretaria, certa Deborah D'Andreis, ed immediatamente le fecero eco analoghe storie raccontate da altre, ma neppure in quel caso Matilde parlò, e per il semplice fatto che alle varie Deborah D'Andreis, Melissa Smith, Pamela Avogadro, c'erano perfino un paio di Luane e una Samantha, non aveva da contrapporre che una inadeguatissima Maria Pia, della quale nel frattempo Matilde aveva scoperto anche il cognome: Santogervaso. Il nome completo della sua rivale avrebbe prodotto solo ilarità e sottovalutazione.

E così anche quella sera dovette sentirsi dire: "Tu te ne stai zitta, vero? Fai bene. Beata te. Salutami Stefano".

E anche quella sera rincasò indispettita contro tutti e soprattutto contro Stefano che già che si era fatto un'amante almeno se la fosse fatta col nome giusto.

Matilde si ripropose di raccogliere altri dati sull'antagonista, ma quanto riusciva a sapere era a dir poco sconfortante. Anziché fare mestieri come la hostes, la fotomodella o, semplicemente, la segretaria, il mondo è pieno di segretarie, faceva la maestra d'appoggio. Anziché avere capelli rossi o biondi o nero corvino li aveva castan-cinerino. Come se non bastasse, Matilde seppe che la storia tra i due era iniziata presso il C.A.D.M., centro appassionati documentari marini, dove l'avvocato Campochiesa, civilista, si era recato per rintracciare un filmato dal titolo: "la flora sottomarina delle Galapagos".

E si può immaginare l'effetto che avrebbe fatto la conversazione galeotta sul molare dolente, con Stefano che offriva all'amante l'analgesico della moglie. Non il profumo, l'analgesico!

Insomma, per l'ennesima volta Matilde fece ritorno dalla seduta di gruppo carica di frustrazioni e risentimento ma questa volta, giunta a casa, sfogò tutta ma proprio tutta se stessa contro quel marito che si era rivelato di un egoismo intrinseco senza limiti e che era riuscito a farsi un'amante incapace di riscattarla intellettualmente.

E Matide, varcata la porta di casa sua, si precipitò nello studio di Stefano, il civilista fedigrafo, e sfoderò tutto il campionario in parole e gesti della tradita tipo, quella di stampo isterico apocalittico, gridando frasi quali: "brutto porco, tu e la tua puttana", "gli uomini sono tutti maiali", "mia madre lo ha sempre detto che sei un povero scemo", giungendo perfino alle maledizioni dirette: "a quella sgualdrina vorrei che cadessero tutti i denti e che restasse sdentata per tutti gli anni a venire". Il tutto pronunciato, rompendo piatti e soprammobili, e meno male che il vaso cinese non c'era. Ma non solo, alla rabbia tipica si aggiungeva una rabbia non tipica, che si esprimeva in una parola più e più volte urlata: "inadeguato".

Ora, Stefano Campochiesa, avvocato civilista, poteva ben attendersi di sentirsi definire "porco" e "maiale" dalla moglie tradita ma l'appellativo "inadeguato" gli risultava davvero inatteso e, come tutte le cose che ci sorprendono, gli metteva paura e nel contempo riproponeva la natura eccezionale della donna che lui aveva sposato e che ora, per una qualunque Maria Pia Santogervaso, rischiava di perdere.

Infine Matilde si abbandonò ad un pianto dirotto e al vittimismo: "e pensare che la scorsa estate, quando ero a Monterosso, se avessi voluto... e invece nemmeno in topless mi sono messa per riguardo verso di te", chi ha letto queste pagine si sarà accorto che Matilde era diventata un tantino bugiarda.

E concluse come nella peggiore cinematografia con le parole: "Torno da mia madre", e la sbattuta di porta, e mancò poco che non ci tornasse davvero, il che, data la natura di Ernesta Franzone in Agosti, sua madre, sarebbe stata la catastrofe.

In conclusione, la lezione per Stefano fu dura e dopo aver troncato di netto con Maria Pia Santogervaso, maestra di appoggio, abbandonata impietosamente ai dolori dei suoi molari, per di più senza analgesico, e ai piaceri degli abissi delle Galapagos e foss'anche di Praia a mare, dovette giurare e rigiurare che con "la sgualdrinaccia" aveva avuto qualche paroluccia, un paio di bacetti ma a letto non c'era andato mai e nemmeno lo aveva pensato.

Da allora accaddero diverse cose: Annabella Ferramont della Ferramont & Ferramont, a furia di fargli scenate davanti, finì per mettere su casa con uno dei panchinari della Ferramont & Ferramont U.S.; Matilde cessò di frequentare il gruppo psicoterapeutico autogestito; Stefano scoprì l'ineguagliabile bellezza dei documentari sulla montagna; Maria Pia Santogervaso si sposò con il dentista. Inoltre, la coppia Agosti-Campochiesa, al fine di pronunciare un simbolico atto di fede in se stessa, voltando pagina e ricominciando come dal primo giorno, acquistò il vaso cinese. E Matilde raccomandò alla colf di pulirlo solo in quei giorni gioiosi e pacificati che succedono alle notti d'amore coniugale, il che con i ritmi, le assenze, l'irruenza e l'infedeltà del marito camionista, per il povero vaso cinese significò alternare periodi di lucentezza a periodi di crassa sporcizia e divenire così davvero un simbolo dell'alternarsi delle umane cose. 

La prossima settimana ultimo racconto:

 C' è orecchio e orecchio, ovvero: dall' assoluto al relativo