I prestiti da lingue straniere rappresentano una normale evoluzione linguistica per qualsiasi popolo, da sempre |
Periodicamente qualcuno tira fuori la trita polemica sulla purezza della lingua. Gli “odiosi inglesismi” e altre presunte “contaminazioni barbare” di vario genere. L’argomento è stato ripreso di recente sul Secolo XIX in seguito alla presentazione di un libercolo di poesie elaborate da un ragazzino del liceo classico Gabriello Chiabrera di Savona (da cui peraltro proviene, con una diversa collocazione temporale, anche l’estensore di questo articolo). “È una crociata” – si legge – “contro i barbarismi linguistici che oggi, purtroppo, dilagano. In televisione, sui giornali, nel linguaggio quotidiano, l’italiano odierno è di una povertà lessicale umiliante. Sempre più spesso viene mescolato con inutili inglesismi, quando nella nostra lingua ci sono vocaboli che esprimono perfettamente gli stessi concetti.” E poco più avanti il giovane liceale, pieno di una prosopopea purtroppo non disgiunta da un elevato grado di ignoranza, peraltro giustificabili l’una e l’altra in considerazione dell’età imberbe, confonde uno tsunami, termine da lui vituperato, con un maremoto. In realtà non di maremoto trattasi ma di onda di superficie causata da un maremoto: ma quanto risulta più efficace parlare di “Tsunami” invece che di “Onda di maremoto”! Un unico evocativo vocabolo in luogo di tre. Proprio quest’esempio dimostra, credo, quanto sia irrazionale rifiutare i termini stranieri per partito preso.
Lottare contro l’avvento di termini stranieri non è solo una partita persa ma è, soprattutto, una scelta profondamente sbagliata! Eppure questo errore è commesso a volte perfino da rinomati intellettuali. Peraltro a suo tempo già il fascismo rifiutava qualsiasi espressione sospetta di origine non autoctona, per cui il regime, antilibertario perfino su tali inezie, pretendeva, ad esempio, che si utilizzasse l’orribile termine diporto in luogo del ben più efficace sport. In effetti non varrebbe nemmeno la pena di scriverne se non fosse una questione che torna in auge periodicamente da decenni se non da secoli coinvolgendo tanta gente.
I prestiti da lingue straniere rappresentano una normale evoluzione linguistica per qualsiasi popolo, da sempre. Se l’italiano non si comportasse alla stessa maniera sarebbe una lingua statica, antiquata e moribonda. Pretendere di conversare ancora oggi nell’idioma di Dante sarebbe grottesco, eppure nell’articolo da cui prendo spunto ci si riferiva con orgoglio a un “italiano arcaico” come se parlare l’idioma moderno fosse una vergogna. E perché allora non discorrere nel latino da cui l’italiano è derivato? E perché non addirittura nell’originario linguaggio indoeuropeo, da cui è derivato il latino stesso insieme alle lingue germaniche, slave, celtiche, persiane e indiane?
D’altronde l’italiano non discende in toto dal latino o dal greco da cui lo stesso lessico antico romano ha assorbito numerosi vocaboli. Fin dai secoli passati ha accolto prestiti da lingue straniere a volte perfino insospettabili, addirittura il Tahitiano, da cui deriva il termine tatuaggio. Per limitarsi a un unico esempio, nel cosiddetto medio evo la civiltà araba era molto più evoluta rispetto alla società occidentale, immersa in una stagione d’ignoranza, una vera e propria barbarie, dal raffinato punto di vista arabo. L’influenza culturale dei paesi islamici ha mutuato nel linguaggio italiano numerosi termini di origine araba. Parole come algebra, zero e altri vocaboli matematici oppure come alfiere, il pezzo degli scacchi o divano, il comodo sedile su cui siamo soliti riposare, derivano appunto dall’arabo. Oggi però sono tutte parti integranti della lingua italiana e nessuno (almeno spero) pretenderebbe di abolirle per sostituirle con non si sa quali neologismi alternativi.
Lo stesso vale per l’inglese. Espressioni che oggi a qualcuno suonano straniere e dunque nemiche, con il trascorrere dei decenni o dei secoli finiranno per italianizzarsi e divenire parte integrante della nostra lingua. In parte sta già accadendo. Basti pensare alle due fette di pan carrè imbottite di prosciutto cotto e formaggio e poi cotte nel tostapane, insomma per farla breve, al toast. Questo lemma va scritto t- o- a- s -t e andrebbe pronunciato più o meno “tooust” con la prima “o” che deve avere un sentore di “e” (la tastiera del mio computer purtroppo non mi permette di riportare gli esatti segni fonetici del dizionario di pronuncia inglese). Ma chi nel 2006 lo pronunciasse così sarebbe compreso a stento e forse dovrebbe subire qualche ironica risatina di scherno. Oggi tutti ormai pronunciano il pan carrè imbottito e cotto semplicemente “tost” e prima o poi sulla nuova edizione di qualche dizionario della lingua italiana apparirà scritto a questa maniera, senza più la vocale “a”. Quel giorno il termine sarà stato definitivamente inglobato nella lingua italiana, proprio come il divano, rappresentando un ulteriore passo nell’evoluzione di una lingua viva, con buona pace dei puristi, fanatici e retrogradi. Particolarmente significativo in proposito risulta il linguaggio informatico. Ad esempio il termine cliccare deriva dal verbo inglese to click, scattare, ma come ben indica la nostrana coniugazione in are è oramai stato italianizzato. D’altronde l’inglese stesso, lingua di origine germanica, vede il proprio vocabolario composto addirittura per circa un terzo di termini latini, mutuati dal francese parlato dalle popolazioni normanne che conquistarono l’Inghilterra nel 1066 in seguito alla battaglia di Hastings. La stessa parola Internet, non a caso conserva origini latine.
L’importante, come sempre, è non esagerare, in un senso come nell’altro, paventando tutto ciò che è straniero oppure rifiutando a priori valide espressioni italiane per una ingiustificata esterofilia.
Del resto l’assimilazione di parole straniere si verifica dovunque e l’Italia non funge solo da colonia culturale anglosassone ma anche da paese esportatore di cultura e dunque anche di lemmi. All’estero sono stati introdotti numerosi vocaboli italiani, come ad esempio la pizza, diffuso e amato nutrimento, o il ciao, saluto tricolore ormai celebre in tutto il mondo. In particolare si segnalano i vocaboli di derivazione musicale, che fin dal settecento appaiono sulle partiture dei grandi compositori e nei discorsi degli appassionati: allegro, adagio, bravo, virtuoso eccetera, tutti utilizzati nella forma originale. Sarebbe spiacevole se qualche purista straniero li rifiutasse per assurdi motivi di principio. Pensate, la nostra amata e gustosissima pizza trasformata in un tomatocheesepie, che tristezza.
Massimo Bianco