TRUCIOLI SAVONESI
spazio
di riflessione per Savona e dintorni
QUESTIONE DI
FEELING
Un racconto di Massimo Bianco
La serata era troppo afosa per restare a casa, così quando l’amico gli telefonò fu lieto del diversivo. Arrivò parecchio in ritardo all’appuntamento, trattenuto da una telefonata, femminile, proprio mentre stava uscendo. Propose così di restare a Savona e di fare una capatina in darsena, che in quella stagione era sempre affollata. Appena giunti scorsero un conoscente, un vecchio compagno di scuola del suo amico. Sovente in passato avevano organizzato uscite a tre. Il tipo venne loro incontro, scambiò due convenevoli e poi attaccò con le solite lamentele. I primi tempi non era così, ma negli ultimi anni la sua frustrazione lo spingeva a piangere sulla spalla di chiunque incontrasse.
“Sapete che Michela mi ha lasciato” – Lo sapeva sì, negli ultimi due mesi non parlava d’altro. – “Sei mesi di felicità, cancellati in un giorno. Ho capito che non sei la persona giusta per me. Così mi ha detto, senza una ragione, ho capito che non sei la persona giusta per me.”
“Sì Francesco lo so,” – lo disse con rassegnazione – “ma sono cose che succedono, credevo che ti stesse passando, ormai.”
“Ah, ma allora tu ancora non sai la novità, Vittorio. Cominciava, è vero, giuro che cominciava a passarmi, ma l’altro giorno ero appena rientrato dal lavoro quando me la vedo piombare in casa…”
Le storie d’amore di Francesco Sassi, così si chiamava il giovane da loro appena incontrato, andavano sempre a finire alla stessa maniera, perché la sua personalità ingarbugliata lo rendeva insopportabile per qualsiasi donna. Ogni volta arrivava felice come un bambino, descriveva la sua nuova conquista e la presentava come il grande amore della sua vita. Finalmente la donna giusta, con cui metterò su famiglia - era il suo chiodo fisso, la famiglia - la donna che ho sempre cercato e ora ho trovato, ah Lucia, Lucia, che donna meravigliosa sei, Lucia.
Lucia, Iris, Giovanna, Paola, un'altra Lucia, Samantha, un'altra Giovanna, Teresa, Anita, eccetera, eccetera, eccetera. Di solito le sue storie duravano pochissimo. Questi sei mesi rappresentavano un record. Un periodo di tempo durante il quale la succitata Michela doveva avergli inviato chissà quanti segnali, sistematicamente ignorati, perché lui era fatto così e non c’era rimedio. E chi ne faceva le spese erano gli amici, destinati a sopportarne i pianti fino all’incontro amoroso successivo.
Vittorio continuò ad ascoltarlo paziente e apparentemente imperturbato, mentre un sordo magone risaliva lentamente in superficie dagli abissi della sua psiche. Per lui era sempre doloroso prestargli attenzione, perché era a sua volta scontento della propria vita sentimentale. Nessuno lo capiva, però. Per fortuna tu sei forte, non ti spezzi, hai una personalità rocciosa tu, superi tutto, dicevano le rare volte in cui accennava alle proprie insoddisfazioni. Ma non era così, più semplicemente tendeva a tenersi tutto dentro. Sbagliava e lo sapeva, ma non poteva farci nulla, era la sua natura. E anche ammesso che fosse davvero la roccia immaginata dagli amici, perfino i macigni più saldi si sfaldano e franano a valle, dopo secoli o millenni di infiltrazioni piovose e sbalzi di temperatura.
Intanto il suo compagno di uscita serale si era assunto l’incarico di consolatore:
“Dai, non te la prendere. Ho un’amica di trenta anni, si è appena lasciata col fidanzato. Avrebbe una gran voglia di sistemarsi, di metter su famiglia, magari te la presento, combino un incontro.”
“Ehi Gianni, guarda che Francesco non è l’unica persona sola a questo mondo, ci sono anch’io, perché a me non hai detto niente?” Sbottò Vittorio, incapace di trattenersi.
“Ma tu sei forte e te la cavi e poi non è il tipo giusto per te, non vi ci vedo insieme, a voi due.”
“Ma sì, solo per tutta la vita, tanto io sono forte. E poi come diavolo puoi dirlo che non è il mio tipo se neppure abbiamo avuto l’opportunità di conoscerci?!”
Maledetti luoghi comuni! Come invidiava Francesco. Certo, poi gli andava male, ma almeno occasioni ne aveva a iosa, mentre lui non riusciva mai a trovarsi uno straccio di donna. Giorni addietro aveva udito alcune ragazze prendersela con “voi uomini, tutti uguali, inaffidabili.” Diavolo, perché non mettete alla prova me, per una volta, aveva “gridato” interiormente. Non siamo tutti uguali, noi. Siete voi donne, invece, voi donne che… Infine per fortuna Francesco proseguì per la sua strada e loro due sedettero a un tavolo all’aperto.
Era il suo amico Gianni a condurre la conversazione. Di ottimo umore, sprizzava vitalità da ogni poro e chiacchierava, gesticolava, lanciava battute e facezie su mille questioni. Argomenti che in lui invece, pur con tutta la buona volontà, perlomeno per quella sera non suscitavano alcun autentico interesse. Eppure partecipava alla conversazione e in fondo ascoltarlo gli giovava, perché gli permetteva di distrarsi. E forse era proprio questo il guaio: siccome quando si trovava con amici lasciava momentaneamente da parte gli assilli e si distraeva, non gli riusciva mai di sfogarsi a dovere con gli altri e veniva creduto forte. I problemi rimanevano però appena sotto la superficie e tornavano a galla non appena si ritrovava solo. Dunque stare in compagnia non rappresentava per lui un autentica soluzione. Per intanto, all’incirca una mezz’ora dopo essersi accomodati, Gianni era giunto a disquisire a proposito di una conoscenza comune:
“…Te l’immagini quel furbacchione con tutti i casini che ha combinato, come quella sera che a momenti lo arrestavano perché girava completamente nudo in mezzo alla strada ubriaco fradicio e bloccava il traffico, te lo ricordi, eh, te lo ricordi? E ora è vigile urbano in quello stesso paese e con tanto di pistola nella fondina. Un vigile donnaiolo che a trenta anni suonati da un pezzo passa il suo tempo libero a saltare addosso a tutte le ragazze che incontra e a rimbecillirsi con l’hascisc. Quello se ne va in giro la sera con amici nemmeno ventenni, te l’immagini?”
“Me lo immagino benissimo. Del resto è quella la sua età mentale, è un diciottenne incastrato nel corpo di un uomo di trentacinque anni.”
“Ah ah, hai proprio ragione, è sempre stato un bambinone. Un bambinone fulminato.”
“Beh, almeno non è come Giampi il pistolero. I vigili girano armati ma dubito che seguano corsi adeguati come i poliziotti e i carabinieri e prima o poi quello ammazzerà qualcuno, te lo dico io.”
“Hai ragione, è un tipo pericoloso. D’altra parte i vigili di quella cittadina sono tutti uno più fuori di testa dell’altro. Ad esempio una delle donne è quella famosa… ”
…E all’improvviso Vittorio la vide, inaspettata. Alta, snella, bellissima. Almeno ai suoi occhi. Non era sola. Passeggiava insieme a un uomo bruno sulla trentina, di media statura, col pizzetto. Chi sarà stato? Un amico? Doveva essere un amico, per forza.
Il suo primo istinto sarebbe stato di alzarsi, andarle incontro e salutarla gioiosamente. Ma non lo fece. Per la presenza di quell’uomo. Una remora immotivata, naturalmente. Di certo lo sconosciuto non era niente più di un suo amico, però…
Parevano entrambi di umore cupo. Proprio mentre passavano all’altezza del suo tavolo incontrarono un qualche conoscente e si soffermarono a salutarlo, offrendogli l’opportunità di osservarla con tutto comodo. La vide parlare al nuovo venuto, rasserenarsi e sorridere. Un sorriso dolcissimo. Quanto gli piaceva! La sognava da mesi. All’inizio intrattenevano rapporti formali e lei non dava l’impressione di essere interessata alla sua persona ma Vittorio era stato paziente e poco alla volta era riuscito ad attirarne l’attenzione. Lui con le donne era introverso e necessitava di tempo per mostrare il meglio di sé ma poco alla volta aveva saputo farsi apprezzare e lei si era sciolta manifestandogli aperta simpatia. Anzi, di più. Ricordava ad esempio di quella volta in cui erano rimasti soli e…
Insomma le sue erano più di semplici speranze, ormai sentiva che era quasi fatta. Doveva però ancora concludere e il timore che proprio all’ultimo qualcosa potesse andare storto lo metteva in agitazione. Per questo era nervoso e faceva più fatica del solito ad ascoltare i lamenti di Francesco. Per questo si era arrabbiato quando Gianni aveva proposto un aggancio a Francesco ignorando lui. Aveva paura. Paura di fallire un'altra volta, di restare ancora solo. Esteriormente appariva indifferente ma sentiva che se si fosse verificato il peggio non lo avrebbe sopportato. In effetti alle volte gli veniva quasi voglia di rinunciarvi. Perché ogni volta in cui si doveva incontrare con lei e doveva pensare a cosa dirle e a come conquistarla, si sentiva spezzare in due dalla tensione, dallo stress. Per assurdo, quante volte in passato dopo un fallimento si era sentito meglio, perfino sollevato, perché non doveva più preoccuparsi, perché così almeno se ne sarebbe stato tranquillo a casa senza pensare più a nulla.
Questo suo modo di reagire, lo sapeva, era figlio dei troppi fallimenti subiti, delle troppe delusioni patite. Eppure stavolta doveva essere la volta buona, lo sentiva. Doveva esserlo, doveva, perché c’era feeling tra loro due. Sentiva che la scintilla era scattata e qualcosa di meraviglioso sarebbe presto accaduto. In fondo con le donne è tutta una questione di feeling.
Si sentiva bene e male a un tempo. Troppo a lungo aveva vissuto di sogni e di fantasie. Andava ogni sera a dormire da solo. La notte fantasticava e… altro. Di recente lei era divenuta parte integrante di queste sue fantasie, dei suoi sogni, la protagonista principale del suo cinematografo notturno. Immaginava di stringerla tra le braccia, baciarla…
Presto lei si accomiatò dal conoscente e riprese il percorso insieme al suo compagno. Giunse fino alla fine della zona porto e poi, prima di attraversare la strada trafficata che l’avrebbe portata in centro città, fece dietro front e si avvicinò nuovamente alla sua postazione. Vittorio non riusciva a distogliere lo sguardo dalla giovane amata e dal suo accompagnatore.
Intanto Gianni discorreva senza avvedersi delle emozioni che lo stavano squassando. Lui annuiva ogni tanto facendo saltuariamente uscire dalla gola qualche inarticolato monosillabo in risposta al suo ininterrotto chiacchiericcio, capace di afferrare solo in grandi linee il senso del discorso.
“…Avrai certamente saputo dello scandalo che c’è stato un paio di anni fa, quando è stata sorpresa in ufficio, discinta e in atteggiamenti equivoci col comandante del corpo.”
“Eh? Ah, è vero, sì, l’ho sentito dire.”
“Infatti, tempo dopo…”
La coppietta giunse di nuovo alla sua altezza e proprio in quel momento l’uomo fece una fuggevole carezza sui capelli della ragazza e poi le avvolse il braccio intorno alle spalle, senz’altra reazione da parte sua che un impercettibile fremito. I due superarono l’angolo, diretti verso il ponte mobile che collega la vecchia darsena al centro cittadino ma in capo a meno di due minuti riapparvero, ancora abbracciati.
“Possibile, possibile?” Si chiedeva Vittorio. No, non poteva crederci. Sperava ancora, nonostante tutto, che tra quei due non ci fosse nulla, ma allo stesso tempo aveva il vago sospetto di essere preso in giro. Che i due lo avessero notato e gli passassero di continuo davanti apposta per provocarlo, perché lei forse aveva riferito all’accompagnatore dei rapporti intercorsi tra loro e quello avesse deciso di umiliare l’ex pretendente. A quel punto, a conferma dei suoi peggiori timori, avvenne l’irreparabile. Il tizio, il barbetta, avvicinò le labbra a quelle delle ragazza e i due si baciarono, con trasporto, più e più volte. Non si poteva più dubitare circa il tenore dei loro rapporti. Poi, subito prima di riprendere il cammino, lei volse lo sguardo dalla sua parte, come per assicurarsi di essere stata vista, e gli rivolse un sorriso ironico, strafottente. Era lei, lei a volerlo umiliare.
Si sentì cadere il mondo addosso. Eppure credeva, credeva… a lei piaceva, sapeva di piacerle, lo sapeva. Perché allora tradirlo così? Perché andava sempre a finire male? Non sarò l’uomo più simpatico della Terra ma neppure il più insopportabile, non sarò il più attraente ma neppure un mostro, cominciò a ripetere ossessivamente a sé stesso, perché va sempre a finir male? Cosa diavolo ho che non va, insomma? Perché perfino coloro a cui ero convinto di piacere alla fine di me non ne volevano sapere?
Nel frattempo l’amico, cieco e ottuso, continuava a parlare di vigili urbani, sebbene lui avesse ben altro per la testa.
“…Il bello è che, sballati come sono, non hanno alcuna comprensione, sono tra i vigili più carogna che esistano al mondo, ma mi stai ascoltando?”
“Certo, certo. Delle vere carogne. I vigili, là, sono famigerati.”
“Proprio così. Pensa che una volta…”
Vorrei morire. Quest’unico concetto prese a dominargli i pensieri, a giganteggiare nella sua mente alla stessa maniera in cui il pianeta Giove occuperebbe l’intera volta celeste allo sguardo di uno spettatore in osservazione da uno dei suoi più vicini satelliti.
Soffriva come un cane ma una volta di più non lo diede a vedere. Perché se ne sarebbe vergognato, perché avrebbe rovinato la serata di chi si trovava in sua compagnia. Lui non era come Francesco Sassi, in questo, proprio no. Non avrebbe pianto in pubblico come aveva sovente fatto lui.
Quando infine non ne poté più si rivolse spazientito a Gianni.
“Ok, basta così per oggi, mi sento stanco, andiamocene a casa.”
“Ma Vittorio, non sono neanche le undici.”
“Lo so, scusami, ma sono veramente molto stanco stasera, davvero. Andiamocene via, per favore.”
Quando si separarono Vittorio non se ne tornò a casa. Cominciò invece a girare senza meta per le strade, scioccato, annientato. Si sentiva come uno zombie. Si sentiva vuoto, desolatamente vuoto.
Quella sera la giovane donna si vide con il suo ragazzo. I due stavano insieme da quasi quattro anni ma impegni di lavoro avevano costretto l’uomo per tre mesi all’estero. Ora lui era rientrato da dieci giorni e avevano ripreso a frequentarsi. Lei insistette per fare due passi in darsena. Superarono il ponte levatoio e presero a fendere la folla di giovani riuniti davanti ai localini del porto turistico. Camminando lei si guardava di continuo intorno, come se si aspettasse di incontrare qualcuno. Giunta davanti al terzo bar notò immediatamente la presenza di un uomo e si accorse di essere stata a sua volta notata. Era Vittorio, il tipo da lei conosciuto subito dopo la partenza del fidanzato. Le faceva il filo ormai da mesi e lei gli aveva dato spago senza rivelargli la verità.
Questa era l’occasione attesa. Si lasciò avvolgere il braccio intorno alle spalle e proseguì il percorso. Dopo un poco si strusciò platealmente al suo ragazzo e lo baciò con ostentato trasporto, più e più volte, facendo ben attenzione che a Vittorio non sfuggisse nulla. Infine fissò la sua vittima intensamente, con sfrontatezza, subito prima di voltargli le spalle e allontanarsi.
Più tardi il suo ragazzo le chiese maggiori spiegazioni, incuriosito dall’anomalo comportamento.
“In effetti sembrava che ce l’avessi con quel tipo ma non capisco perché. È tanto atroce?”
“No, al contrario, è un po’ timido ma piuttosto simpatico. Non lo credevo all’inizio, sembrava così palloso, ma poi… ti dirò, non mi dispiace come personalità e non è per niente brutto, in fondo, anzi, lo trovo quasi carino. No, non è davvero male.”
Guardò il compagno e non poté fare a meno di pensare a come pur con tutti i suoi difetti Vittorio si fosse dimostrato migliore di lui, sotto diversi aspetti. Era fidanzata da quattro anni, lo riteneva il miglior partito e presto l’avrebbe sposato, eppure non era più così convinta del loro rapporto.
Lui dovette intuire qualcosa dalla sua espressione perché all’improvviso si dimostrò preoccupato.
“Perché questa sceneggiata allora? Hai una aria strana. Devo mica essere geloso?”
“Noo tranquillo, non uscirei mai con quello lì. L’ho fatto innamorare apposta per fregarlo.”
“Ma per quale motivo? Lui nemmeno ti conosceva, mi pare.”
“Perché sua madre mi ha fatto bocciare in seconda media, ecco perché. Era la mia insegnante di lettere. Dio come la odio, ancora adesso. E come ho odiato lui appena ho saputo chi era. Ma finalmente mi sono vendicata. Hai visto che faccia ha fatto quando ci siamo baciati?”
“Ah, ah, ah, sei proprio una bella stronza.” Rise lui.
“Perché mai, è solo una piccola vendetta, ci soffrirà alcune settimane, poi si troverà qualche altra ragazza e non ci penserà più. Però la madre l’ha saputo di essere stata la mia insegnante e di avermi bocciato. Spero che quando lui gli riferirà quanto è successo ripensi a cosa mi ha fatto e capisca.”
Francesco Sassi si sentiva di buon umore, sfogarsi con gli amici gli faceva sempre bene. Peccato solo che l’effetto positivo durasse poco, per cui in capo a qualche giorno in genere ricominciava a lamentarsi come e più di prima. Appena uscito di casa per recarsi al lavoro volse un occhio alla locandina dei giornali: SAVONESE SUICIDA SOTTO IL TRENO, recitava il titolo più in evidenza.
Una blanda curiosità lo spinse ad acquistare una copia del quotidiano. Sfogliò rapidamente, scorrendo le varie notizie di cronaca, politica, esteri, economia, sport. Infine giunse alla pagina locale e s’immobilizzò, sconvolto. Davanti ai suoi occhi i caratteri del titolo presero a ballare, impazziti. Non poteva crederci, proprio lui, così forte, una persona tanto solida, equilibrata. Eppure la notizia era lì, nero su bianco:
Vittorio Croce, savonese di trentatre anni impiegato al catasto, si è gettato sotto un treno, morendo sul colpo. Ancora sconosciuti i motivi del tragico gesto.
31/05/06 Massimo Bianco