TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni

UOMINI E BESTIE

8: Prospezioni dell’immaginario

Scorpiones

Parte seconda 

Tra le favole vere e proprie si posso ricordare: quella di Agatarchide (59 degli excerpta di Fozio) che gli abitanti di un non ben identificato paese costiero della Penisola araba avessero dovuto abbandonare il loro paese in seguito ad un’invasione di scorpioni e phalaggíōn (che dovrebbero essere le tarantole): 

Scrive Agatarchide che la regione limitrofa al paese dei Locustivori, vasta e ricca di pascoli singolari per varietà, è ora deserta e impercorribile per tutti i confinanti, pur non essendo stata in origine priva d’insediamenti umani, a causa d’un’incredibile quantità di scorpioni e di tarantole, da alcuni dette tetragnati [“a quattro mascelle”]. Pare che gli animali si moltiplicassero dopo un’inondazione e il paese rimanesse privo dei suoi abitanti poiché la popolazione non riuscí a fronteggiare la disgrazia ma preferí, rifugiandosi nell’emigrazione, la salvezza dalla morte al rimanere in patria; 

l’inimicizia colle cavallette che li combattono (PSAR. mir. ausc. 844 b 23 sqq.): 

Si dice che in Argo esista una specie di cavallette chiamata scorpiomaca. Non appena infatti una di loro vede uno scorpione, assume la posa del combattimento, e lo stesso fa lo scorpione. La cavalletta gli gira intorno stridendo, lo scorpione comincia a innalzare l’aculeo e la affronta rotando su se stesso nel medesimo posto, poi solleva l’aculeo sempre di piú sinché non lo estende tutto, mentre la cavalletta continua a corrergli attorno. Alla fine gli salta addosso e lo divora. Sembra che mangiarla serva anche contro le punture degli scorpioni, 

e con i gechi (se stellio in IS. or. XII 4, 38 questo significa), la cui vista li paralizza; gli scorpioni di Latmo di Caria (oggi Baty Mentese Daglary in Turchia), che conoscono le leggi dell’ospitalità, in quanto ammazzano i locali ma causano solo un po’ d’irritazione agli stranieri: 

Mi si dice che in Latmo di Caria si trovino degli scorpioni la cui puntura è mortale per i locali ma innocua per gli stranieri, ai quali causa solo un senso di prurito, ciò che a parer mio è un dono garantito da Zeus Ospitale ai viaggiatori46 (AEL. nat. an. V 14);  

e le strampalate ricette dei Cyranides che ho già riportate nella scheda della settimana precedente (sarà forse il caso di precisare che i Cyranides sono un tardo centone ermetico di ricette mediche, che i Bizantini facevano risalire a un inesistente re e mago persiano di nome Kyranos). 

Il mito (PALAEPH. 51; mith. Vat. I 32) racconta che ad Irieo, che li aveva accolti ospitalmente, Zeus, Posidone ed Ermete garantirono d’esaudire un desiderio; essendo senza prole, chiese un figlio ed i tre, dopo aver urinato, o essersi masturbati, nella pelle del bue immolato per il loro pasto, gli prescrissero di seppellirla per dieci mesi, trascorsi i quali ne nacque Urione (da uréō), per eufemismo poi Orione, il quale, divenuto compagno di caccia di Artemide, tentò di violentarla, onde la dea adirata gli suscitò contro dalla terra uno scorpione, che lo uccise con un morso al polpaccio, oppure fu la Terra per punirlo d’essersi vantato che avrebbe ucciso tutti gli animali (PSER. cat. I 32). Entrambi furono poi assunti in cielo fra le costellazioni per opera di Zeus (Orion, ascensione retta 5h35’, declinazione 4°35’;
Scorpius, il segno zodiacale qui a fianco, ascensione retta 16h59’, declinazione -37°17’). Ecco la versione di Palefato. 

Orione, figlio di Zeus, Posidone ed Ermete.

Irieo, figlio di Posidone e di Alcione, una delle figlie di Atlante, abitava a Tanagra di Beozia; essendo assai ospitale, accolse una volta i tre dei a casa sua. Zeus, Posidone ed Ermete, ospitati da lui, compiaciuti della sua amabilità lo esortarono ad esprimere un desiderio ed egli, che era privo di prole, chiese un figlio. Gli dei presero allora la pelle del bue ucciso per il loro banchetto, ci eiacularono dentro e ordinarono ad Irieo di seppellirla per dieci mesi e poi di riportarla alla luce, ciò che egli, passato il tempo prescritto, fece, e ne venne fuori un bimbo cui fu dato il nome di Urione, per il fatto che gli dei avevano “urinato” il loro sperma, poi per eufemismo cambiato in Orione. Quando fu cresciuto andava a caccia insieme con Artemide, ma una volta tentò di violentarla e la dea, adirata, suscitò dalla terra uno scorpione che lo punse nel tallone e lo uccise. Zeus, impietosito, lo asterizzò. 

Può esser interessante commentare un’affermazione en passant di Plinio (XI 89): 

Spesse volte gli Psilli, che hanno riempito l’Italia di guasti esotici perché importano veleni dai paesi stranieri a scopo di lucro, tentarono d’introdurvi codesta varietà volante [sono gli scorpioni alati del nono tipo di Nicandro, ricordati nella scheda prec.], ma non riuscirono ad acclimatarla oltre l’altezza della Sicilia. 

Di codesti Psilli ci parla per primo Erodoto (IV 173): abitavano le contrade dell’Africa mediterranea presso i Nasamoni nella Grande Sirte e, avendo intrapreso una battaglia col vento del sud che da tempo disseccava col soffio le loro sorgenti, furono sconfitti e scomparvero tutti, sepolti sotto le dune di sabbia. Plutarco (Cat. 56, 6) racconta che aiutarono Catone Uticense mentre attraversava le roventi regioni del deserto africano a curare i morsi dei serpenti o a tenerli lontani tramite i loro incantesimi; evidentemente, erano tornati in vita. Svetonio (Aug. 17) ricorda che, quando Augusto seppe che Cleopatra, che voleva conservare viva per il suo trionfo, s’era fatta mordere da un aspide, li chiamò perché la salvassero succhiando il veleno; ma cosí essi risposero nella secentesca tragedia di Daniel Casper von Lohenstein:  

Herr es ist nur vergebens.

Ihr todter Leib hat mehr kein Füncklein eines Lebens.

Das schnelle Gifft hat stracks ihr zartes Hertz ersteckt

So bald der Schlangen-Zahn das warme Blutt befleckt (Cleopatra, a. IV).

 

“Signore, ormai sarebbe solo invano.

La sua salma defunta non ha neppure più una scintilla di vita.

Il rapido veleno dritto ha trafitto il suo cuore:

così rapidamente la zanna del serpente il caldo sangue contamina”. 

Altrove (VII 13 sqq.) lo stesso Plinio li accosta ad altri celebri snake charmers antichi, i Marsi, e fornisce ulteriori “notizie”. Lucano, che date le sue manie erpetologiche non poteva mancare, scrive (IX 891-3): gens unica terras / incolit a saevo serpentum innoxia morsu, / Marmaridae Psylli (“l’unico popolo sulla terra inattaccabile dal morso feroce dei serpenti sono gli Psilli della Marmarica”). Gellio (IX 12, 12), citando Cinna: Somniculosam ut Poenus aspidem Psyllus (“come gli Psilli d’Africa rendono sonnacchioso un aspide”), dice che riuscivano ad addormentare un rettile coll’odore corporeo, e una nota dell’ed. Loeb delle Noctes Atticae, ad l., osserva che il nome divenne poi comune per antonomasia … (altro in H. TREIDLER, PW s. v. “Psylli”). Celso (V 27, 3b) aveva comunque capito tutto: 

Neque Hercules scientiam praecipuam habent ii, qui Psylli nominantur, sed audaciam usu ipso confirmatam. Nam uenenum serpentis ut quaedam etiam uenatoria uenena, quibus Galli praecipue utuntur, non gustu, sed in uulnere nocent

“Certo non hanno alcuna particolare capacità quelli che son noti col nome di Psilli, ma solo il coraggio confermato dall’esperienza. Infatti il veleno dei serpenti, così come alcuni altri veleni che specialmente i Galli usano per la caccia, non è dannoso se ingoiato bensì se assunto attraverso una ferita”. 

Ora, singolare prova della millenaria persistenza delle credenze, che si trasmettono attraverso vie sotterranee da una cultura all’altra, è quanto registra E. W. Lane nel suo Account of the Manners and Customs of the Modern Egyptians, pubblicato il 1836: 

Many modern writers upon Egypt have given surprising accounts of a class of men in this country, supposed, like the ancient Psylli of Cyrenaica, to possess a secret art, to which allusion is made in the Bible, enabling them to secure themselves from the poison of serpents.

MISERRIMUS