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MA
Romanzo in dieci
racconti
di
Gloria Bardi
( disegno di Fernando Arena)
alle prese con le faccende domestiche, o con il quotidiano riassetto del manomesso, Matilde Agosti in Campochiesa, da intellettuale di buona scuola si sentiva un pò sprecatella
Matilde Agosti fu chiamata Matilde in onore della nonna materna, madre di Ernesta Franzone in Agosti, sua madre.
Ma, e questo è il fatto, a quanto Matilde ebbe modo di udire e di sapere, l'ava, che peraltro lei mai conobbe essendo passata a miglior vita poco prima della sua nascita, si chiamava Tilde e non Matilde, per l'esattezza nonna Tilde, detta la Generala.
Matilde Agosti non si limitò all'onde siccome suole, ma consultò i documenti anagrafici, nell'intento di rintracciarvi quel prefisso probabilmente atrofizzato, come spesso avviene per ragioni di economia vocale: ne sanno qualcosa i Nini e i Tonini, le Tine e le Pine d'Italia, nella cui schiera Matilde sarebbe stata ben felice di collocare la Generala.
Ma così non era, i documenti, scritti con grafìa tremolante e puntuta, non offrivano appigli: Tilde Luisa Magnazzi, nata a Bologna il 6 settembre 1896 da Augusto Magnazzi e Assunta Panarmi in Magnazzi, coniugata nel 1914 con Sigismondo Franzone.
Ma forse chi legge vorrà capire le ragioni di un simile zelo da parte di colei che, meglio dirlo subito, sarà la protagonista delle pagine che seguono, nel corso delle quali imparerà a prevederne autonomamente le frenesie interiori.
Ma non ora. Ora occorre un minimo di spiegazione.
Matilde Agosti in Campochiesa, figlia di Renato Agosti, commerciante di stoffe, e di Ernesta Franzone in Agosti, casalinga da combattimento, e problematica moglie di Stefano Campochiesa La Loubatière, avvocato civilista, è, e tale vi si rivelerà, una donna in bilico, affetta da una tendenza a problematizzare e ruminare le proprie scelte, che la rende nel contempo grande e infelice, o meglio: abbastanza grande e abbastanza infelice. Non è il caso di esagerare.
Ma: in questa fatale congiunzione avversativa, contraddittoria per definizione, preposta al familiare Tilde di nonna-Tilde Magnazzi in Franzone la Generala, e che, per sovrappiù le fa da monogramma (Matilde Agosti), sta racchiusa la destinazione esistenziale della nostra eroina, e la deviazione biologica dal ceppo trionfante dei Magnazzi-Franzone. Sta racchiusa, cioè, la ragion seminale del tormentato rapporto con Ernesta Franzone in Agosti, sua madre, e con gli altri a seguire. Tanto più che l'augusta genitrice, forse per un raffinamento di perfidia istintivo, perché in fondo era e restava una brava crista, prese da sempre, ab origine, a chiamarla utilizzando soltanto il fatal prefisso: Ma! Che, almeno per un certo periodo, Matilde non mancò di rilanciarle: "ehi, Ma".
Ma Ernesta non colse. Era e restava, si diceva, una brava crista.
Matilde Agosti, ovvero Ma più Tilde, così contratta dentro quel Ma, non poteva che ritenersi la personificazione, l'incarnazione, l'epifania di un'infima, monosillabica eppure molestissima congiunzione avversativa.
Ma, del resto, come avrebbe potuto la materialissima Ernesta sottrarsi ad una regola di economia quantunque vocale?
Ma potrebbe aver sbagliato a trascrivere l'impiegato comunale!: questo pensiero, suffragato da una copiosa e colorita aneddotica, fu l'ultimo sostegno cui Matilde Agosti si aggrappò, pur nella consapevolezza che, così basata, la sua latente positività era destinata a rimanere per lei materia di fede, non già di ragione.
Ebbene (ma il Ma...?), la storia che segue, è e deve essere considerata la storia di un "Ma".
Ma di quel "Ma".
Il topless di Matilde Agosti
Il mare in realtà la stancava e le toglieva l'appetito, eppure per nulla al mondo avrebbe rinunciato alla annuale settimana a Monterosso: sola, lontana da ogni domesticità figlio-marito, immersa nella folla epidermica dei bagnanti d'agosto. Magari in topless. Matilde Agosti si riproponeva ogni anno di liquidare il reggiseno del costume, e ciò per due ordini di motivi, convergenti quanto all'effetto ma intrinsecamente opposti.
Da una parte stava infatti un certo retaggio generazionale, i trascorsi garibaldini del sessantotto, femministi ed iconoclasti, di cui quella settimana rimaneva un feticcio diacronico. Matilde si sentiva in qualche modo umiliata dalla disinvoltura con cui le figlie del riflusso esponevano al sole i loro seni acerbi, incapaci, lei insegnante conosceva bene l'odierna adolescenza, di comprendere la portata storica di quel gesto.
C'era poi l'altro motivo, tutto del presente, ed era che malgrado appena un sospetto di cellulite, che infatti più non era, sapeva di essere bella e si sentiva in difetto verso la stessa propria bellezza, che per anni non aveva degnato di alcun riguardo. Bene, questa del 1985 sarebbe stata l'estate del suo seno nudo, anche perché a trentadue anni certe decisioni bisogna prenderle o abbandonarle, rinviarle in nessun caso.
Il primo giorno, dopo aver un po' tergiversato se partire senza o toglierlo in spiaggia, decise per la seconda soluzione, perché solo così avrebbe potuto dare a quel gesto quel che di rituale che lei vi vedeva. Però già per strada si rese conto che sfilarlo aveva anche molto di volgare, spogliarellistico, malizioso, del tutto contrario alle sue intenzioni. Il suo avrebbe dovuto essere soprattutto un topless di libertà e non ridursi a un semplice topless di vanità.
Matilde Agosti giaceva supina sul bell' asciugamano blu di spugna americana, studiando mentalmente i gesti da farsi per sfilare l'indumento evitando lo spogliarellistico: decise di farlo con aria insofferente, esattamente come se le desse un gran fastidio e già aveva contratto le labbra in una espressione quasi di dolore, mentre le dita percorrevano la schiena alla ricerca del fettuccino penzolante, quando una secchiellata d'acqua, maldestramente gettata da un ragazzino verso un amico, la colpì in pieno, privandola di quella serenità da aspetto che riteneva necessaria al momento.
Del resto, a ben pensarci, fingere fastidio sarebbe stato un’ imperdonabile ipocrisia: se lo si fa lo si deve fare con risolutezza, senza altri fini che il volerlo fare. Matilde Agosti ringraziò tra sé il secchio d'acqua che le aveva impedito di fare male quello che avrebbe fatto bene il giorno dopo.
Le cose proseguirono più o meno allo stesso modo per i giorni seguenti, nell'antagonismo tra intenzioni e fattori esterni, una volta il maltempo, una volta l'incontro imprevisto con un suo vecchio professore di università, che la indusse a cercarsi addosso con sguardo d'apprensione il reggiseno e a ringraziarlo di trovarsi disciplinatamente al proprio posto.
Il quarto giorno Matilde Agosti maledisse la sua dannata carnagione olivastra, così facile ad abbronzare che in poco tempo si era ritrovata il corpo marchiato da un vistoso segno del costume, che mandava all'aria i suoi progetti: sarebbe stata ridicola tutta nera con quei due occhielli bianchi, ridicola da entrambi i punti di vista, e da quello dell'audacia, scopertamente tardiva, e da quello dell'estetica.
Il quinto, con un certo anticipo sui tempi soliti che la registravano nella serata tra il sesto e il settimo, fu il giorno della crisi, della messa in discussione di se stessa: la sua era una sciocca, irrazionale eppure inscalzabile pudibonderia: l'educazione tradizionalista, la famiglia cattolica lasciano strascichi profondi nel subconscio, che se non hanno presa a livello critico, certo ne hanno, e potentissima, a livello emozionale. In serata, seduta al bar dell'Hotel, con davanti il suo bravo "ond the rocks", il discorso le prese una piega dotta, citò a se stessa la Bibbia, Bacone, Locke, Rousseau, Bergson, Nietzsche, per approdare infine a Pirandello e alla faccenda di chi si guarda vivere, e comprese la differenza di atteggiamento tra lei e le ventenni, capì che le sue reticenze a compiere quello sciocco gesto derivavano dall'eccessivo teorizzarlo, dal non sapersi andare al desiderio del momento, e la sua crisi raggiunse per questa via il proprio fondo.
Il giorno seguente Matilde Agosti si svegliò ritemprata e fece il suo ingresso in spiaggia in un costume nuovo, tutto oriente e luccichii, rigorosamente intero. Sì, forse è vera la questione del pudore ecc. ma è anche vero che il topless rappresenta una falsa libertà, è ostentazione di quell'audacia di costumi che, Boccaccio docet, è caratteristica di un certo strato sociale, a cui non era il caso di rafforzare i segni di appartenenza. Matilde Agosti si rimproverava bonaria, aveva travestito idealmente la pura e semplice vanità, la voglia di farsi vedere seminuda e magari di concedersi qualche diversivo alla sessualità coniugale, nulla di male beninteso, ma certo da non radicalizzare.
L'ultimo giorno, dopo una bella nuotata, si soffermò a guardare la folla d'agosto giocare nel bagnasciuga, a scrutarne il linguaggio, tentando di soppesarne la cultura; mentre osservava due cicaleccianti decerebrate su venti-venticinque, a ben vedere una poteva averne anche più di trenta, a seno nudo con stupida quanto ipocrita disinvoltura, a Matilde Agosti fu in definitiva evidente come il topless sia in realtà solo una borghesissima arma di seduzione, ben lontana dalla franchezza epidermica delle donne indigene, loro sì al di là dei pregiudizi della vecchia Europa.
E soprattutto c'è che il topless manca di radicalità, il nudismo ad esempio è un'altra cosa. Matilde lavò le stuoie in acqua dolce e le mise ad asciugare al sole; mentre attendeva per poi ripiegarle e congedarne la funzione fino all'altra estate, ricordò di essere giunta anche l'anno precedente a simili conclusioni, magari con minore determinazione. Uscì dalla spiaggia decisa a trascorrere la settimana balneare ottantasei al campo nudisti. Ma mentre faceva la valigia già si domandava se però l'idea di un campo nudisti non contenga un'insidia di fondo, finché, estenuata nello spirito, decise di rinviare l' analisi al lungo inverno della sua Torino.
Matilde Agosti, malgrado si fermasse una sola settimina all'anno, era ben nota ai bagnanti degli ombrelloni vicini anch'essi sempre i soliti, perché lei sì era una donna che un marito poteva permettersi di lasciare sola al mare: schiva riservata, non dava confidenza a nessuno, la vera mogliemadre modello, immersa nelle sue preoccupazioni familiari. Forse soffriva di apprensività, forse di gelosia: si vedeva che quella settimana di lontananza, probabilmente subita, magari per motivi di salute, le pesava moltissimo.
La prossima settimana LA CASA DI MATILDE AGOSTI