BIOPOLITICA
di GIULIO MAGNO
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Sui quotidiani del Belpaese, ogniqualvolta una notizia di cronaca giudiziaria scuote questo o quell’ambiente considerato “intoccabile”, politici, giornalisti e opinionisti si prodigano per sottolineare la necessità di regolare, limitare, o addirittura impedire l’attività giudiziaria di intercettazione delle comunicazioni, oramai indispensabile per ogni azione di indagine inerente tipologie di reati per i quali non c’è arma del delitto, non ci sono, se non raramente, pentiti, né tantomeno cadaveri o pistole fumanti.
L’opinione pubblica ne rimane disorientata, spaventata, e si sprecano le notizie allarmanti sulla quantità delle intercettazioni, sul loro costo, al punto che ciascuno di noi, al telefono o al bar, ogni tanto si pone la domanda: “mi staranno ascoltando?”
Questo aspetto della nostra vita sociale, complice il fatto che l’italiano medio è un grande consumatore di telefonia mobile, si dimostra un punto sensibile per il nostro immaginario collettivo, almeno a giudicare dal rilievo dato dagli organi di stampa a certi episodi.
Ma come stanno veramente le cose? Chi conosce le regole alla base delle intercettazioni, e gli eventuali punti deboli dei sistemi di indagine in questo campo?
Premetto subito che le garanzie previste dal nostro codice di procedura penale sono, sulla carta, assolutamente adeguate. A partire dall’art. 266, l’attività di intercettazione è ammessa e regolamentata solo in casi determinati, per alcune tipologie di reato e solo per quelle; inoltre gli atti irrilevanti, vale a dire le comunicazioni non aventi valenza per le indagini in corso, che hanno giustificato il ricorso alle intercettazioni, non vengono neppure trascritti.
Potete parlare liberamente con il/la vostro/a amante, quindi, senza timori di venire scoperti da alcuno, a meno che non vi siate accompagnati con un esponente della malavita (altolocata o no) e con lui progettiate qualcosa di diverso da un incontro passionale clandestino…
Ma allora quale dovrebbe essere l’atteggiamento corretto da tenere nei confronti di uno strumento oramai indispensabile di indagine? Perché la stampa e i politici (spesso quelli coinvolti in scandali legati alla pubblicazione dei testi delle telefonate, o quelli che sanno di poterlo essere di lì a poco) si dannano tanto per confondere le acque?
Si identificano, erroneamente e volutamente, due problemi distinti: la necessità e la correttezza dell’attività di indagine di quel tipo, con i noti effetti dirompenti sulla vita di relazione dei soggetti interessati causati dall’infedeltà degli addetti ai lavori, che per danaro, militanza politica o anche solo negligenza professionale danno in pasto alla stampa notizie secretate o comunque irrilevanti ai fini delle indagini ma molto rilevanti, invece, per Fini diversi (carina questa, eh?…).
La conclusione che si vuole far passare è che si debba mettere fine a questa intrusione negli affari privati del cittadino.
Non si può buttare il bambino insieme all’acqua sporca, però, e quindi è necessario che la politica intervenga per fare chiarezza: applicazione della legge già esistente, per regolare l’attività del magistrato, ma interventi severi per chi viola il segreto per fini diversi dal perseguimento dei reati che hanno giustificato le intercettazioni.
Chi grida al lupo, al bavaglio, pensando di impedire tali attività, accarezza evidentemente l’idea di una impunità di fatto per talune tipologie di reato (si pensi ai reati di droga parlata, che ogni giorno vengono giudicati nelle aule di giustizia, o agli intrecci tra politica e mafia, che altrimenti vedrebbero alla base del castello accusatorio di molte Procure solamente la tanto discussa presenza dei pentiti).
L’uomo qualunque e il politico onesto, che se ricevono una telefonata torbida mandano a quel paese l’interlocutore, non hanno nulla da temere dalle intercettazioni, ammesso che queste non diventino una pagliacciata da rotocalco perché chi deve controllare non lo fa.
Non è difficile individuare chi “canta”, chi passa le intercettazioni secretate o da distruggere alla stampa: la Polizia Giudiziaria è il primo attore delle intercettazioni, perché il personale delle cancellerie giudiziarie non ha accesso ai risultati di tale attività, se non dopo il loro deposito in ufficio.
I cosiddetti “brogliacci” delle intercettazioni contengono l’elenco delle telefonate, con le conversazioni rilevanti ai fini dell’indagine, che vengono poi trascritte (e solo queste) in atti che devono quindi essere messi a disposizione delle parti processuali. E chi intercetta, chi è di turno alla consolle, si sa eccome.
A questo punto, delle due l’una: in caso di fuga di notizie, le due fonti, nell’ordine, sono chi materialmente ascolta, e l’abbiamo detto, e poi chi decide, sempre che gli venga sottoposto tutto quello che è stato ascoltato…poi gli altri, i cancellieri, i difensori e via dicendo, che però potrebbero divulgare illecitamente solo testi depositati in atti.
A questo punto è necessario affrontare un dilemma di tipo etico, anzi, bioetico poiché strettamente legato, nei suoi effetti, alla vita dei cittadini (e non solo degli spernacchiabili intercettati): la sfera inerente la vita privata di tutti noi è da considerarsi uguale per ognuno, cioè tutelabile allo stesso modo e con la stessa intensità, oppure, per alcuni, l’essere individui pubblici comporta necessariamente una compressione di quella sfera intima?
In altre parole, un uomo politico, eletto dai suoi concittadini, dovrebbe godere delle medesime tutele della propria riservatezza assicurate ad ogni cittadino, oppure è lecito pensare che la sua caratteristica di uomo pubblico, di rappresentante dei propri elettori, debba portare con sé una maggiore trasparenza della sua vita privata, una maggiore riconoscibilità della presenza di eventuali scostamenti dai valori etici condivisi?
Il principio che la legge sia uguale per tutti è sicuramente condivisibile, ma quando alcuni soggetti, per le cariche che ricoprono, per il potere che esercitano, godono di guarentigie, di privilegi e riguardi particolari, è bene ricordare che questi individui hanno assunto un impegno nei confronti degli elettori. E gli impegni si onorano.
Idealmente, al limite, la casa di costoro, il loro ufficio, la loro sede di partito, dovrebbero tutti essere costruiti in cristallo.
Siccome ciò non è possibile, si può ben accettare, secondo un’interpretazione un po’ forcaiola, che inascoltabili debolezze (purchè non inerenti la sfera della vita privata dura e pura, e cioè i gusti sessuali, lo stato di salute, gli affetti, etc), soprattutto relative agli appetiti economici, alla maggiore o minore inclinazione all’intrallazzo, ancorché non integranti gli estremi di un reato, vengano consegnate alla stampa, mettendo gli elettori in grado di giudicare gli eletti.
Una cartina di tornasole dell’integrità morale? Forse, ma la possibilità che tale trasparenza venga usata a fini politici per sconfiggere o mettere in forte difficoltà l’avversario di turno alle elezioni sarebbe concreta.
Meglio allora ricondurre il dibattito sui binari indicati dalla saggezza del legislatore, appalesata in tempi non sospetti: regole uguali per tutti, chi tradisce la consegna del segreto paghi, e molto, ma per cortesia piantiamola con la voglia di bavaglio!
Alla prossima settimana
Giulio Magno