La carenza delle infrastrutture sportive è un problema diffuso in tutto il savonese
IMPIANTI SPORTIVI DEFICITARI

Massimo Bianco

Nel mondo del calcio la stagione agonistica savonese 2005 – 2006 è terminata “sognando la Lombardia”. Di recente una formazione giovanile milanese, il Lombardia uno, è venuta a disputare una partita, finali nazionali, allo stadio Bacigalupo di Savona. L’incontro lo hanno perso perché, nonostante la situazione logistica disastrosa, il calcio giovanile nel savonese bene o male funziona ancora (e i giovanissimi regionali si sono qualificati, per sorteggio eppur con merito, alle semifinali nazionali), ma i dirigenti e i genitori dei giocatori ospiti, abituati, beati loro, alle moderne infrastrutture lombarde, sono trasecolati scoprendo la malinconica situazione a cui si devono adattare i loro corrispettivi savonesi e in genere tutti i praticanti sportivi. Lo stadio comunale è ridotto ai minimi termini. Buona parte delle gradinate sono inagibili da anni, l’erba è quasi del tutto bruciata, tanto che quel pomeriggio sembrava di giocare sulla sabbia, perché dopo il fallimento del Savona calcio nessuno irriga più il terreno di gioco, gli impianti interni malridotti, parcheggi in zona non c’è ne sono e se quest’ultimo punto non rappresenta forse un ostacolo per una squadra di Eccellenza lo è stato e tornerebbe a esserlo per una formazione di serie C2 attira pubblico, eccetera, eccetera. I problemi del Bacigalupo si trascinano da anni, sono infiniti e rischiano di diventare irrisolvibili, tanto che qualcuno già parla di demolizione e successiva ricostruzione.

In città peraltro non esiste nemmeno un impianto in erba sintetica, figuriamoci naturale, per cui i ragazzi sono costretti a introdurre nei polmoni polvere, lesta a sollevarsi in furiosi turbini a ogni alito di vento, senza neppure poter riparare naso e bocca come fanno i Beduini in marcia nel deserto del Sahara.

Ogni tanto per fortuna si riesce pure a realizzare qualche infrastruttura nuova, basti pensare allo splendido impianto recentemente costruito a Noli Voze. Purtroppo altrove le operazioni siano state spesso effettuate non a regola d’arte. Come ad esempio a Santuario, dove finalmente lo Speranza calcio dispone di spogliatoi all’altezza. Peccato però che mentre i soldi per l’erba sintetica non sono stati reperiti, siano stati spesi oltre centomila euro (naturalmente con denaro pubblico) per un impianto di irrigazione inutilizzabile, giacché l’acqua non vi arriva.

Il Levratto di Zinola, vittima di annose liti tra la federazione calcistica e dell’Hockey su prato (anzi su terra battuta, giacché non si è arrivati a un accordo per definire le tracciature sul terreno e l’altezza regolamentare dell’eventuale sintetico) e appartenente alla Veloce è stato a sua volta appena ristrutturato. Mi piacerebbe in proposito fare due chiacchiere con il geniale architetto autore delle nuove tribune. Varrebbe la pena che i lettori più volonterosi visitassero l’infrastruttura e provassero a sedersi in tribuna. Scoprirebbero così che le gradinate sono troppo strette, non per mancanza di spazio ma per estro(?) dell’architetto, autore di una struttura concepita con un’assurda rientranza centrale che restringe lo spazio disponibile. Per cui chi provasse ad accomodarsi scoprirebbe che in presenza di molto pubblico restare seduti è impossibile, perché manca lo spazio per poggiare i piedi, destinati inevitabilmente a finire sulla schiena di chi sta seduto nella fila davanti.

Sperando di non trasformarmi nella Cassandra di turno lancio qui una preoccupata previsione: se non si prenderanno solleciti provvedimenti prima o poi qualcuno su quelle tribune finirà per ammazzarcisi. Il motivo di questo funesto vaticinio è presto spiegato. Sovente alcuni spettatori cercano di godersi la partita dall’alto, piazzandosi dietro ai sedili dell’ultima gradinata. Una volta assestatisi, costatano inevitabilmente la mancanza dello spazio necessario per posare i piedi per cui, non resistendo a lungo in quella scomoda posizione, alle volte costoro finiscono per far forza sulle braccia e arrampicarsi sul bordo posteriore della tribuna stessa, dove vi si appollaiano a mo’ trespolo, con la schiena rivolta sul vuoto. Non è difficile immaginare quale potrebbe essere il tragico risultato finale. Prima o poi qualcuno, passando lì davanti alla ricerca di una sistemazione, urterà inavvertitamente uno spettatore in equilibrio precario e lo farà cadere nel parcheggio sottostante, vedendolo senza sua colpa sfracellarsi sull’asfalto dieci metri più sotto. Per favore qualcuno intervenga prima che sia troppo tardi!  

La carenza delle infrastrutture è peraltro un problema diffuso anche al di fuori del nostro capoluogo. Limitandoci ai paraggi, si può citare ad esempio il Faraggiana di Albissola Marina, in località Grana. Si tratta di uno degli unici quattro stadi della provincia in erba sintetica e oggettivamente di uno degli impianti più funzionali eppure, a dispetto della costosa ristrutturazione, da anni a ogni temporale l’acqua entra negli spogliatoi, allagandoli. E intanto Santa Cecilia, Albisole e un sindaco Parodi in preda a conflitto di competenza, nelle sue vesti di dirigente accompagnatore del Santa Cecilia allievi, dove gioca il figlio, litigano sulla gestione del campo con tanto di ricorsi al TAR. Chi ci ha rimesso sono i ragazzi dell’Albisole calcio, costretti ad allenarsi in esagerata promiscuità perché ai tesserati, e sono centinaia, l’accesso al terreno di gioco per gli allenamenti è consentito appena due giorni alla settimana. Al Faraggiana d’altronde non ci si può più neppure dissetare, causa chiusura e smantellamento del bar interno.

Quanto al Dagnino del Vado, le gradinate sono di fortuna, costruite con delle impalcature e coperte solo grazie alla buona volontà di un gruppo di genitori, mentre l’impianto di illuminazione non è a norma e lascia zone buie rendendo sconsigliabile giocare dopo il tramonto. Per non parlare delle malagevoli condizioni del terreno di gioco, a causa del quale il club ha dovuto rinunciare al suo tradizionale torneo, giacché faticava a trovare squadre genovesi disposte a disputarvi incontri.

E meno male che siamo entrati nel ventunesimo secolo. Ah! che sogno, le infrastrutture sportive lombarde!

Massimo Bianco.