TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni

Le aree verdi di De Chirico 

Torniamo a parlare del rapporto  Legambiente sull’ecosistema urbano dei 103 comuni capoluogo. Le percentuali di zone pedonali o a traffico limitato e di aree verdi sono  forse dati dal valore meno “pesante” in concreto, rispetto a rifiuti, emissioni, acqua, scarichi, tanto è vero che la stessa Legambiente non sa bene come classificarli e che peso dare, però hanno un alto valore simbolico per la vivibilità, la bellezza, in una parola, per la qualità della vita in città.

E noi come siamo messi? Molto male, a braccetto con Genova, a fondo classifica. 89° posto con 0,11 m2/abitante, per le zone pedonali. 79° , con 1,13 m2/abitante, per quelle a traffico limitato,  un bel 90° posto (su 103, non dimentichiamolo!!!) per le aree verdi, con 1, 60 m2/abitante, valori bassissimo rispetto alle non già esaltanti medie nazionali, a loro volta lontane anni luce dalle medie europee.

Del resto, basta guardarsi intorno, per vedere che questi sconfortanti dati non sono campati per aria. Non manca solo la “quantità”,  manca anche  la “qualità” , il senso del verde e del bello, insomma, lo spirito ecologico e l’estetica giusta. Manca completamente l’educazione al verde.

Prima di tutto, occorre sfatare il concetto, sostenuto a suo tempo anche da una persona rispettabilissima come il candidato sindaco Buscaglia, che il verde cittadino da noi “non ha molta importanza”, essendo circondati dalle colline (spelate, bruciaticce, trascurate e insidiate dal cemento, aggiungo io), e avendo a disposizione un ampio litorale.

Non è per niente la stessa cosa, come gli fece garbatamente notare anche il presidente di Legambiente Della Seta. Per portare a spasso i bambini piccoli, far giocare quelli più grandi, concedere un minimo di ristoro agli anziani quando fa caldo, consentire una pausa pranzo rilassante a chi lavora, per tenersi in forma con una corsetta senza respirare gas, per leggere o chiacchierare seduti su una panchina, per ambientare strutture sportive, per allenare i cani (in aree apposite!) e per tanti altri qualificati motivi le zone verdi sono insostituibili e preziose. Per non parlare della pura funzione di abbellimento: una città non può essere solo un deserto di acciaio, asfalto e cemento.

Ma assodato questo, che non per tutti, purtroppo, è così ovvio come dovrebbe, torniamo a guardarci intorno. Avete visto il piazzale del nuovo Chiabrera, interdetto alle macchine  ma rigorosamente asfaltato, con tre pietose fioriere in mezzo? Quando si tratta del verde, i fondi sono già finiti. Penso con nostalgia alle cartoline della vecchia Savona, dove ogni piazza aveva la sua zona alberata. La parte vecchia del Prolungamento, i giardini di piazza del Popolo  ancora richiamano quei ricordi. Così dovrebbe essere un’area verde, ombrosa e folta. Anche piccola in estensione, ma curata, con alberi imponenti, panchine, siepi, aiuole, sentierini.  Attenzione: sentierini, non vaste aree lastricate o cementate.

Invece il nostro modo di trattare verde e alberi di solito è molto più indifferente, quasi burocratico: li si considera alla stregua di arredi urbani spostabili e sostituibili, non come creature vive parte di un ambiente. Altrimenti, come spiegare discorsi tipo: sì, ora tagliamo venti alberi adulti, ma poi ne pianteremo quaranta a lavori finiti… Oppure, le potature selvagge, barbare e sistematiche dei filari di alberi in corso Ricci e sul Cadibona, potature che mi sanno tanto di burocrazia e di fondi da spendere a ogni costo, come quando si riasfalta dieci volte di seguito una stessa strada, mentre accanto altre vie rimangono perennemente dissestate? O gli spostamenti sospetti e le sostituzioni di piante sane con altre provenienti non si sa da dove (intrallazzi anche qui?) . Per non parlare di una cosa patologica, che andrebbe studiata da specialisti: l’odio al pitosforo. Ogni qualvolta una siepe, in qualsiasi giardino pubblico, è alta e rigogliosa, verde e fiorita, ci si accanisce a sfrondarla, capitozzarla, ridurla a pochi tronchi spelati. Freud parlerebbe forse di “invidia del pitosforo”.

Vi confesso che, per quanto l’attuale zona mare del Prolungamento sia degradata e trascurata (caliamo un pietoso velo sul discorso a parte della piscina e della pista di pattinaggio) quando sento parlare di progetti per rimetterla a posto provo autentico terrore.

No! Un progetto no! Gli architetti no! Sono ancora più pericolosi quando progettano giardini che palazzi. Specie se giovani, e ansiosi di emulare i loro modelli. Basta vedere i giardini di S. Michele: il deserto dei tartari, con metà alberi morti nei lavori, e gli altri che sopravvivono a stento. Per non parlare della bella siepe che proteggeva dal vento e dal salino  (pitosfori, ovviamente) tagliata per non “impedire la vista del mare”. Ma impedire a chi? E perché? Fatemi capire: se il mare lo nascondono i palazzoni, va tutto bene, ma i pitosfori, che diamine, no, non sia mai! E infatti anche la siepe del Prolungamento, triste segno premonitore, subisce attacchi sistematici.

Gli architetti stanno al verde come Attila ai pascoli. Il loro concetto di bellezza è quello delle piazze di De Chirico, desolati lastricati che si perdono all’orizzonte, circondati da portici oscuri, con in primo piano pensosi manichini (i quali cercavano forse i giardinetti?)

Per favore, se progettiamo o ristrutturiamo aree verdi, chiamiamo agronomi, biologi, ecologisti, semplici giardinieri, anche la vecchietta con i gerani sul balcone. Ma gli architetti, vi prego, no.  Almeno in questo caso, lasciamoli stare dove sono. 

Nonna Abelarda