TRUCIOLI SAVONESI
spazio
di riflessione per Savona e dintorni
Un’auto per ogni uomo, un uomo per ogni auto
Cinquantasette auto ogni cento abitanti.
E’ il dato di Savona, anticipato dal presidente Della Seta nella sua visita qui da noi, e riportato nello studio annuale di Legambiente sullo stato di salute dei comuni italiani, che ci colloca al tredicesimo posto in ordine “virtuoso” su 103 comuni capoluogo.
A Roma, ultimo posto, abbiamo lo spaventoso numero di 77 su 100, e la media nazionale è di 63 . Un record assoluto europeo. No, dico: europeo. Nessuno ha più automobili di noi italiani. Come i telefonini. E ne dubitavate?
Ma non gioiamo troppo per la situazione relativamente di alta classifica di Savona. Per cominciare, queste auto le usiamo parecchio, e inquiniamo di conseguenza, e infatti il consumo di carburante è di 422 Kg/anno pro capite, che vuol dire essere al 71 posto da questo punto di vista, giù fra i “cattivi”. E poi, non sottilizziamo troppo su cinquanta o cinquantasette o sessanta: già essere oltre un’auto ogni due abitanti è una follia.
Le statistiche ci bombardano di numeri, e sui giornali in genere appare una breve sintesi. Prima la ricerca completa non era facilmente visibile, dovevamo accontentarci dei riassunti: adesso c’è Internet, sul sito di Legambiente si può leggere tutto, dati e commenti, su questo e altri temi, all’indirizzo:
http://www.legambiente.com/documenti/2005/1121_ecosistema_urbano_2006/index.php
Ammesso che non si abbia voglia di sorbirsi tutta la pappardella, rimangono i dati sparsi, le considerazioni vaghe di giornali e TV, a loro volta eco dei riassunti di agenzia sui riassunti di Legambiente.
Sulla matematica in genere siamo poco preparati, diffidenti per non dire ostili. Di fronte al comparire di file di cifre, alziamo immediatamente delle barriere mentali. Le statistiche le accettiamo già un po’ di più, anche per come sono espresse dai media: fanno folclore, fanno dato di costume, i numeri si perdono e galleggiano a stento nel magma dei commenti, trattati alla stregua di aggettivi, per dare più enfasi al discorso.
Bello, brutto, giallo, verde… cinquantasette su cento.
No, dico, ma vi rendete bene conto? Nella statistica, su cento abitanti, sono compresi vegliardi e lattanti non automuniti. Il che rende il dato ancora più spaventoso. Fatemi capire: secondo il vecchio principio del mezzo pollo, se nella mia famiglia siamo in quattro con un’auto, e nella mia scala conosco alcune famiglie di anziani privi di mezzi di locomozione, cosa vuol dire, che da qualche parte, magari nel palazzo accanto, c’è una famiglia di quattro persone con cinque o sei auto?
E che fanno, le usano a turno? Intonano il colore della carrozzeria con il vestito?
A parte gli evidenti aspetti grotteschi inevitabilmente legati alle generalizzazioni, il dato resta. Proviamo a pensare cosa significa. Anche solo se stanno ferme, inoperose, tutte queste auto difficilmente trovano posto in parcheggi privati e garage. A meno che non facciamo come in Germania, dove stanno costruendo case di lusso con ascensori appositi per auto. Così te le porti in salotto direttamente. Grande idea, strano che non l’abbiamo avuta noi.
Ma il più delle volte le auto affollano strade e marciapiedi delle periferie, ingombrano, imbruttiscono, s’impolverano e arrugginiscono, impediscono il transito a disabili e passeggini. Muoverle è un dramma, all’idea di non ritrovare al ritorno il parcheggio sotto casa. E si gira, si gira intorno all’isolato, cercando disperatamente Godot, cioè, il posto perduto. Ecco qui tutto quel consumo di carburante: girando la sera intorno a casa.
Per fortuna non sono mai in movimento tutte assieme, o nella maggior parte, queste auto. Sapete cosa significherebbe? Semplicemente la paralisi. Totale. Il caos. Degno del miglior film catastrofico. Nessuna strada potrebbe reggerne il flusso, nessun parcheggio potrebbe contenerle.
Ecco perché, oltre un certo limite, costruire troppe strade nuove o troppi posteggi è un danno anziché un beneficio: perché incoraggia a comprarne di più, a muoverne di più, di macchine, e più spesso, causando traffico, inquinamento, disagio. Fateci caso: un parcheggio nuovo, non importa quanto ampio, non importa dove situato, in centro o in aperta campagna, i primi tempi è bello vuoto, ma dopo un po’ si riempie, a tutte le ore, e ben presto vediamo macchine messe storte o in doppia fila.
Diciamocelo una volta per tutte, siamo già oltre la soglia di sopportabilità. Non possiamo pensare di trovare soluzioni, non esiste una sistemazione razionale al problema, e tutto ciò che si sperimenta finisce per ricordare quei personaggi che, per entrare nel Guinness dei primati, si sono chiusi in non so quanti in una cabina del telefono.
Tante macchine così NON CI STANNO. Non ci stanno e basta, e non è con la retorica che possiamo risolverla. Basta vedere come ci riduce qualsiasi evento, anche piccolo, che causi interferenza: un camion rovesciato, che blocca un’uscita di autostrada. Il primo ponte festivo. Una sagra paesana, una manifestazione. Subito code, disagi, strade bloccate, traffico in tilt. Che peggiorano di anno in anno.
E l’estate piena, qui da noi, non è neppure iniziata.
Eppure, se apriamo la TV su dieci pubblicità almeno cinque sono di auto. Auto nuove che ci costringono quasi a comprare, con agevolazioni, con finanziamenti, con crediti, perché le palanche non ci sono, ma le auto devono esserci. Tutto è improntato sullo sviluppo, sulla crescita, come se fosse l’unico parametro possibile, e la crescita, naturalmente, vuol dire anche automobili.
Quando ne avremo ancora, di più, una a testa almeno, poi che ne faremo? Dov’è il limite, dov’è il punto di rottura?
La sopportazione umana sa essere incredibile, anche quando sfiora il masochismo, anche quando ribellarsi, cambiare sarebbe sacrosanto. C’è chi tutte le mattine per andare al lavoro si mette in coda in auto, sopporta ore di ferma e parti su strade e tangenziali, ore sottratte alla vita. E non si pone il problema. Magari i suoi nonni, per andare in fabbrica in bicicletta, ci mettevano molto meno, e facevano pure dell’esercizio fisico.
Attenzione, il mio non è un discorso conservatore, passatista, di elogio del bel tempo andato. Ci mancherebbe: so bene che molti di quei nonni si schiantavano di lavoro pesante e mal retribuito, facevano vite d’inferno, altro che bicicletta. Nessuno ignora i vantaggi del progresso e del benessere. Dico solo che adesso le contropartite cominciano a pesare. Dico solo che, a questo punto, non si può continuare in questa direzione, che un ripensamento, una inversione di tendenza, la ricerca di soluzioni diverse sarebbero auspicabili. Magari un’altra volta provo a dirvi quali, dal mio modesto punto di vista, ma soprattutto, attingendo a idee ed esperienze positive altrui.
Nonna Abelarda