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DOVE VA LA  MUSICA?!

L’INDUSTRIA DISCOGRAFICA E’ IN CRISI

LA MUSICA NO! 

Interviste, news e considerazioni dal fitto sottobosco musicale savonese 

   a cura di Molly

ALESSANDRO BROCCHI  

La musica è una zona franca.

L’artista di cui parliamo questa settimana è uno di quei personaggi che lasciano il segno: musicista cantastorie poeta e guitto, tragico ironico arguto e maledetto ha passato gli ultimi 20 anni della sua vita a comporre incessantemente musica intrecciando collaborazioni e miscelando generi e influenze, ma, soprattutto, esponendosi sempre in prima persona, mettendosi a nudo nel bene e nel male, con sincerità e onestà disarmanti. 

Autodidatta, inizia a scrivere canzoni nella seconda metà degli anni ’80 assorbendo le tipiche sonorità della New Wave colta del periodo (Dead Can Dance, Virgin Prunes, Tuxedo Moon, Joy Division).

Suona nei Sur Sum Corda e nei Wiegen Den Toten. Nel 1994 fonda gli Empty Jars insieme a quello che diventerà il suo collaboratore di fiducia Alessandro Mazzitelli, fonico, arrangiatore, tastierista che da sempre si definisce citando Brian Eno un “non musicista”.

Nel 1999 insieme a Mazzitelli, Nico Immordino (batteria), Valter Rosa (chitarra e bouzuki), Roberto Rosa (basso), Davide Baglietto (percussioni, cornamusa) fonda i Monjoie con i quali produce 2 cd di musica che lui stesso definisce trovadorica del XXI secolo e si esibisce dal vivo in numerosi locali e manifestazioni in Liguria.

Con i Monjoie partecipa nel 2002 ad Arezzo Wave.

Nel 2004 inizia il progetto parallelo Campi di Vetro con i quali intraprende una breve ma avventurosa tournè che lo porterà a suonare addirittura in Finlandia.

Nel 2005, dopo la dolorosa e concorde decisione di sciogliere i Monjoie, inizia con rinnovato entusiasmo la registrazione del suo nuovo cd solista.

Lo sento telefonicamente sabato sera. E’ a casa con la febbre, la voce profonda e stanca, ma sembra ritrovare magicamente energia parlando del suo nuovo lavoro. 

A – Fare questo disco è stato davvero molto impegnativo sia a livello mentale che fisico. C’è voluto un anno e praticamente, a parte la batteria, ho suonato tutto io. Una bella fatica, ma dovevo assolutamente farlo, ne sentivo un’esigenza pressante. Sono molto prolifico, ma una volta che ho finito di scrivere i testi e di comporre le musiche non mi sento ancora appagato. Devo dare un abito alle mie canzoni e farle sfilare.

Inoltre, in questo ultimo anno ho anche sentito il bisogno di tornare ad altre sonorità, quelle che mi ricordano la musica ascoltata da ragazzino. In pratica c’è stato un ritorno alla chitarra elettrica e, in generale, a suoni più elettrici, in contrapposizione alle cose fatte in precedenza, acustiche, con strumenti a corde tradizionali ed altri tipici della musica etnica. E devo ammettere che suonare al chitarra elettrica è stato divertente. 

M – I testi delle tue canzoni sono molto ricercati e profondi. Sono anche autobiografici?

A – E’ davvero difficile rispondere. Parlare dei miei testi mi è difficile, ma non credo che si possano definire autobiografici perché l’artista quando scrive non appartiene a nessuno, neanche a se stesso. E’ vero che sono protagonista di alcune canzoni e altre, fortunatamente, sono pura fantasia. In generale il testo ed il cantato sono molto importanti per me. Scrivo di “condizioni”, “stati” particolari che possono appartenere a chiunque in certi momenti della vita. 

M – Il tuo nuovo cd si intitolerà “Parodia di un esilio”. Qual è la condizione protagonista? 

A – Quella della staticità. Tutte le canzoni del disco sono legate da un pensiero, un filo comune. I protagonisti vivono nella piena consapevolezza che un cambiamento è necessario, ma non ne sono capaci, non possiedono gli strumenti emotivi  per compiere il passo. 

M – La registrazione del cd è in dirittura d’arrivo. Hai già pensato se e come presentarlo dal vivo? 

A – Si. In questi ultimi mesi ho trovato le persone giuste e con loro ho assemblato la formazione che porterà il mio lavoro dal vivo, si chiamerà Alessandro Brocchi e i Giardini di Marvin.

Oltre a me che canto e suono la chitarra ci saranno Benedetto Vicini (chitarra solista), Ivan Ghizzoni (basso) entrambi già componenti  dei Campi di Vetro e alla batteria il bolognese Leonardo Saracino che vanta importanti collaborazioni con Massimo Volume e Il parto delle nuvole pesanti.

Debutteremo il 10 di Giugno a Loano all’Italo Calvino. E’ una data molto importante per me, rappresenta un nuovo inizio. 

M – Cosa sono i Giardini di Marvin? 

A – Questo nome lo aveva scelto il primo batterista che aveva suonato con me agli albori di questo progetto. La nostra collaborazione è durata poco, ma gli altri ragazzi hanno deciso di mantenere I Giardini di Marvin nel nome  del gruppo e io ho pensato che fosse giusto così anche perché….. sulla prima parte del nome non potevano decidere nulla!!

Comunque i giardini di Marvin fanno parte del Monopoli americano (in quello italiano  non esistono) e sono una zona franca, libera. Io li intendo come una specie di limbo. 

M – Credi che la musica possa veramente rappresentare una zona franca? 

A – Si. Per colui che fa musica il fare musica  è una vera liberazione. E credo che sia lo stesso per ogni forma d’arte ma solo ed esclusivamente se si ragiona in termini di creatività, di libero sfogo della propria pulsione artistica. Se si parla di fare musica e di viverci, beh allora  è una vera  tragedia se non sei benestante. L’idea di vivere di musica è una utopia, un purismo. 

La voce di Alessandro si fa sempre più roca e febbricitante, gli chiedo di una sua canzone dal titolo “La stanza dei topi” e mi racconta un po’ a fatica, a causa del malanno di stagione, di avere una certa difficoltà a esaminare le sue canzoni, a pensare ai significati e che sarebbe così bello se lo facessero gli altri. Afferro il concetto e penso che è stato gentile a dedicarmi un po’ del suo tempo. Lo immagino con occhi lucidi ed arrossati in quella sua casa di campagna sulle colline finalesi dove si domina dall’alto il mare, il contemporaneo e l’antico, lui ad osservare imbracciando una chitarra elettrica che nel mio sogno ad occhi aperti diventa una specie di liuto mentre i suoi abiti si fanno vagamenti “medioevaleggianti”…..

Echi cantautorali, tensione elettrica, un adolescente dai capelli d’angelo con fili d’argento, rinchiuso nella prigione dorata delle abitudini, del presente leggero, del passato pesante come macigno, tra figure familiari  e rassicuranti, luoghi del cuore e dell’anima che cullano i pensieri sanguinanti di chi guarda avanti con occhi bendati, verso un futuro non diverso dall’oggi. Per parafrasare una canzone di Alessandro di qualche tempo fa, un “viaggio all’interno”, nei sentimenti, nelle parti intime del nostro essere, che se per certi versi può sembrare un indulgiare nelle proprie debolezze è in realtà una coraggiose presa di coscienza dei propri blocchi e delle proprie paure, unica cura e preludio di una futura fuga verso la vita.

 

   

www.monjoie.it