TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni 

Ad Auschwitz ancora  silenzio. 

Nei giorni del pellegrinaggio ad Auschwitz di papa Ratzinger, io, nel mio più modesto ruolo di insegnante, prendevo in esame con gli alunni di  classi diverse due documenti: la difesa dell’editto di Nantes al Parlamento di Parigi da parte di Enrico IV di Borbone nel 1599 e la ripresa filmata del processo ad Eichmann a Gerusalemme, nel 1961.

Il primo testo interveniva, nel 1598, in un passaggio storico grondante del sangue reciprocamente versato dalle guerre di religione, compreso il sacro macello di san Bartolomeo, dove vennero trucidati dai cattolici migliaia di ugonotti. Si trattava di un tentativo di pacificazione voluto da un sovrano che per essere tale aveva dovuto abiurare la fede calvinista e abbracciare quella cattolica, pare col  fortunato slogan: “Parigi val bene una messa”. Era la famosa guerra dei tre Enrichi, tutti e tre morti ammazzati, compreso il nostro, per mano di un fanatico cattolico che non riusciva a deglutire Nantes.

Insomma, scommetto che l’Editto borbonico, con tutti i suoi limiti, non fa parte degli episodi che il cardinal Bertone vorrebbe veder diventare festa nazionale, come la presa di Granada agli infedeli, nel 1492. Per chi non lo avesse letto, vale la pena di sottolinearlo: il metropolita genovese anti-codice ha protestato ufficialmente con la Spagna per l’assenza della Reconquista di Granada dal novero delle feste nazionali.

Non c’è che dire: la Crociata e l’Indice in questi tempi tirano.

Ma  che cosa c’entra Ratzinger con l’Editto di Nantes?

Innanzitutto il massacro degli ugonotti e le guerre di religione fanno parte delle colpe riconosciute da Woytila, assieme all’antisemitismo e alla condanna di Galileo. Colpe che le affermazioni di Ratzinger ad Auschwitz hanno scientemente attenuato, come ha rilevato Umberto Galimberti su Repubblica.

Inoltre mi ha colpito un fatto formale, esattamente come Enrico IV al principio del discorso in difesa dell’Editto (“Vi parlo non in abito reale o con la spada e la cappa…ma vestito come un padre di famiglia, in farsetto, per parlare familiarmente ai suoi figli”),  anche il papa ha dichiarato di parlare come “figlio del popolo tedesco”, puntando quindi su un altro tipo di appartenenza che finiva tuttavia per essere aggiuntivo rispetto a quello, solo ipocritamente rimovibile, di capo della chiesa cattolica e aggiungere deresponsabilizzazione a deresponsabilizzazione.

Il papa infatti, azzerando anni e anni di riflessione storica, analisi psicologica ed elaborazione etica, ha ripetuto il vademecum  morale degli irresponsabili: il nazismo fu dovuto a una banda di criminali. Alle persone la colpa veniale di aver subito.

Né come papa né come tedesco, Joseph Ratzinger si è messo in discussione.

Si sono messi in discussione perfino gli ebrei, le stesse vittime dell’Olocausto, come si può leggere nell’insuperato “I sommersi e i salvati” di Primo Levi ma non la Chiesa e non il popolo.

Meno male che i tedeschi sono stati più severi con se stessi di quanto sia stato nei giorni scorsi il papa.  

E’ proprio quel popolo deresponsabilizzato che si riflette in quella mai abbastanza sottolineata “banalità del male” di cui ci ha parlato Hanna Arendt: il criminale Adolf Eichmann, chiamato a organizzare i trasporti  che invoca la sua innocenza per il fatto di aver obbedito agli ordini. L’uomo obbediente, l’uomo disattivo, l’uomo disumanizzato, l’uomo irresponsabile: banale, incolpevole e assolto.

Ai tedeschi poca colpa se hanno consentito che alcuni di loro, ebrei e non solo ebrei, non avessero più accesso alle scuole, alle biblioteche, alle professioni, ai pubblici locali; che portassero la stella gialla a sei punte che il IV Concilio Lateranense nel 1215 aveva escogitato per poterli identificare ed emarginare;  che venissero confinati nei ghetti, seguendo l’esempio romano di un altro papa, Paolo IV Carafa, che nel 1555 aveva emulato nel nome di Cristo il pessimo esempio veneziano ; che venissero infine forzatamente fatti emigrare.

Erano all’oscuro dell’olocausto?

Era, quella del papa tedesco, l’occasione giusta per sottolineare le colpe dell’ipocrisia e dell’omissione e non per attenuarle. E non è in gioco solo la responsabilità del passato ma anche quella del futuro.

E non c’è solo da fare i conti con l’antisemitismo ma con molto altro ancora, compresa l’omofobia e la nomadofobia.

E, sia chiaro, non intendo colpevolizzare i tedeschi più di quanto intenda colpevolizzare gli italiani, e gli insegnanti più di tutti gli altri (vd. Giorgio Boatti: Preferirei di no- Einaudi).

E, naturalmente, tutti i collaborazionisti.

Ma nell’ Auschwitz del papa tedesco non è uscito come responsabile solo il criminale Hitler e quelli della sua personale associazione a delinquere ma anche Dio in persona, che ha “taciuto”.

Insomma, il cattolicesimo nasce e si puntella attraverso una costante opera di mediazione tra la coscienza dei fedeli e Dio ma quando qualcosa non va, ci si dimentica di puntare i fari sul mediatore terreno e si parla del silenzio del Cielo.

E la Chiesa dov’era? Che cosa impedì a Pio X di sconfessare, come era sua intenzione fare se non fosse morto all’improvviso, l’antisemitismo? In che modo ha fatto parlare Dio, Pio XI? Si trattò di  una chiesa concordataria col nazismo dal 1933, che consentì già allora a Hitler di dire le seguenti parole:

“ Questo Concordato, il cui contenuto non mi interessa minimamente, ci ha avvolti in un’atmosfera di fiducia molto utile alla nostra lotta senza compromessi contro l’ebraismo..”

E, anche dopo la caduta: in che modo il Vaticano si è reso complice dell’operazione Odessa, che assicurò la fuga in Argentina di molti gerarchi nazisti, tra cui Eichmann?

Sono decenni che si attende una parola da parte della Chiesa e Ratzinger da Auschwitz non poteva non dircela. Il silenzio è suo prima che del Cielo e comunque la risposta va data anche a chi al Cielo non crede.

E’ sufficiente il rinvio ad un testo breve e inchiodante: “La parola ebreo” di Rosetta Loy, oltre a “Il vaticano e l’olocausto in Italia” dell’americana Susan Zucconi.

A ben vedere, Ratzinger non ha solo attenuato ma ha annullato i riconoscimenti delle colpe storiche pronunciate dal suo predecessore. 

Grandissimo pensiero il silenzio di Dio, ma se si vuol sentirne parlare con serietà, traendone tutte le conseguenze teologiche, si legga il bellissimo “il pensiero di Dio dopo Auschwitz” scritto dall’ebreo Hans Jonas.

Enrico IV, nel corso della difesa in Parlamento dell’Editto di Nantes, ha dovuto riconoscere che un re non può fare la commedia di togliersi la corona, e lo ha  riconosciuto sospinto dagli attacchi verbali dei parlamentari contrari, concludendo “papale-papale” (sic): “Ora sono re, e parlo da re. Voglio essere obbedito”. E così facendo, si assumeva anche le responsabilità del caso.

Ma i papi fanno sempre discorsi con cui non è concesso interloquire.

Ratzinger ha parlato come tedesco ma molti tedeschi avrebbero parlato con maggiore slancio etico, ora per cortesia getti la maschera e parli come papa.

Solo così, il suo pellegrinaggio, che di per sé conteneva promettenti potenzialità, potrà davvero costituire un inizio.  

Gloria Bardi    www.gloriabardi.blogspot.com