L'Inquieto Debray,
da allievo di Sartre e amico di Fidel
a presidente dell'Istituto Europeo di scienze religiose
Da sempre alta espressione della cultura francese ed europea
di Elio Ferraris
Come definire Regis Debray? Filosofo? Mediologo? Politologo? Storico dell'Arte? delle Religioni? Un ex guerrigliero - raffinato pupillo di Sartre e amico di Fidel e del Che -convertito al cristianesimo grazie alla mediologia, disciplina da lui inventata? E' difficile catalogare Regis Debray. La sua ricerca culturale e scientifica ed il suo itinerario personale si intrecciano. La sua produzione culturale è incredibilmente ricca e varia e dalla sua biografia trabocca un intenso fascino. Chi cerca di seguirlo viene continuamente spiazzato dalle sue nuove sfere di interessi e dalle provocazioni che ne conseguono. Credo che l'Inquietudine che lo muove, quasi lo perseguiti, gli crei ansia, qualche sofferenza. I suoi "cambi di campo" non sono frutto di incoerenza o di opportunismo ma percorsi culturali e personali rigorosi. Sin da quando - lui figlio di madre dirigente della Resistenza - fu riempito di botte dai comunisti all'età di 14 anni mentre vendeva un giornale di destra, a quando scontò anni di carcere duro in Bolivia dove voleva importarvi la rivoluzione, a quando, ancora, si dimise dalla ristretta nomenclatura della Francia di Mitterand perché deluso da uno Stato che all'arte del governo andava, poco per volta, sostituendo l'arte della seduzione per conquistare il consenso dei cittadini. La mediologia - che non è la massmediologia ma lo studio delle mediazioni cioè della disciplina da lui "inventata" nel 1979 con "Le pouvoir intellectuel en France" - non sembra, così, essere solo uno dei tanti approdi culturali ma un susseguirsi di esperienze personali che gli consentono di studiare con metodo - guardandoli dal basso, vivendoli - sia il dominio delle produzioni culturali di ogni epoca che il dominio delle produzioni tecniche, di superarne la separatezza e di comprenderne l'interazione, fino al momento in cui il segno diventa forza materiale ed incide nella Storia e nella vita dell'Uomo (il divenire-Partito di un manifesto politico ad esempio). E forse proprio la mediologia ci aiuta a non perderci, a trovare un filo conduttore tra le decine di libri di Regis Debray apparentemente distanti, come Rivoluzione nella rivoluzione, Lo stato seduttore, Contro Venezia, Dio un' itinerario, La Bibbia in cento capolavori della pittura; Fare a meno dei vecchi. Libri di Filosofia, di Arte, di Politica, di Letteratura, di Religione, di quelle "funzioni sociali superiori" che sono, appunto, l'oggetto dell'analisi della mediologia "nel loro rapporto con i mezzi e ambienti di trasmissione e di trasporto" (dove la trasmissione è da intendersi come il trasporto dell'informazione nel tempo, la comunicazione il trasporto dell'informazione nello spazio e ... la mediologia fondamentalmente come una dottrina della trasmissione, non della Comunicazione). Ecco allora che non stupisce ma affascina il suo essere Presidente dell'Istituto Europeo di Scienze religiose, la sua "ricerca religiosa" che tanto sta facendo discutere la Francia cattolica e laica. Non stupisce perché quella di Debray non è una "normale" conversione ma una ricerca affascinante di un "itinerario" che ha portato Dio agli uomini e viceversa. A partire da quelle pitture rupestri che la mediologia ci svela essere primordiali media del Creatore. Ricerca rispettosa del sentimento di chi crede perché "La benzina degli uomini - sostiene - é la fede e non la conoscenza o il sapere. Si può esaminare Dio, ma non si deve violare il santuario". Di certo il nostro prossimo Inquieto è una delle più alte espressioni della cultura francese ed europea. Da sempre! Da quando, ed era il 1973, il Grande Dizionario Enciclopedico della Utet ne riportava già la voce. Ma ancor da prima. Da quando eravamo giovani studenti e, nei collettivi del '68, studiavamo il suo libro Rivoluzione nella rivoluzione al pari de // Capitale di Marx, I pensieri del presidente Mao; L'uomo aduna dimensione di Marcuse, i libri della Scuola di Francoforte.. Noi, ventenni, non sapevamo neppure chi fosse Debray se non che era allievo di Sartre ed Althusser. Ci rassicurava la sua amicizia con Fidel e la sua militanza a favore della rivoluzione del Che in America Latina. Ci infiammava la sua leggenda di intellettuale che si era fatto guerrigliero. Più che ai suoi scritti guardavamo al suo mito, al suo arresto in Bolivia, alle torture alle quali fu sottoposto, al carcere duro in cui fu buttato per ben 4 anni ed in cui sarebbe rimasto (o sarebbe scomparso) se non fosse stato per De Gaulle che ne ottenne la liberazione. A nome di tutta la Francia che non poteva ammettere che un figlio illustre della cultura francese fosse trattato in tal modo. Diavolo di un Debray! Ora, 40 anni dopo - proprio mentre iniziamo a capire che qui in Occidente noi ex sessantottini non moriremo di Aids ma di Alzheimer - ci ritroviamo tra le mani un suo libretto provocatorio fin dal titolo: Fare a meno dei vecchi. Una proposta indecente. Nelle prime 50 pagine il nostro Inquieto ci sbatte in faccia un'analisi rigorosa e impietosa della condizione dell'anziano in una società non adatta ad ospitarlo nonostante ne prolunghi ogni anno l'età media. Nelle rimanenti 25 ci ammalia con una proposta, indisponente, dissacratoria, indecente appunto, per risolvere il problema: costruire "un luogo di accoglienza, se non un focolare sopranazionale e, perché no, un giorno, un micro-Stato....Il suo nome? Bioland. / suoi check-points alle frontiere avranno una sola insegna di benvenuto: Welcome to the bio age/" Debray s'amuse? Di certo "affascina, irrita, seduce - come scrive di lui la rivista cattolica Esprit e Vie - Un unico consensus, è fuori dalla norma". E lui, forse, si diverte ad affascinarci, irritarci, sedurci. Ma, se è vero, glielo chiederemo il 14 maggio prima di consegnargli la nostra pentola sghimbescia. Per ora rimaniamo al ritratto che di se stesso Egli tratteggia in "Contro Venezia": "lo non 'sono'teatro. Non 'sono'luce, non 'sono'Rubens. E neanche Poussin, lo sono cinema (il cui inventore si chiama Tintoretto, e non Lumière o Edison), oscurità, Rembrandt e Caravaggio. Gli assi orizzontali, le simmetrie e le bellezze perfette mi irritano, come mi irrita chi trova invece di cercare. Voglio che il tempo disturbi lo spazio per destabilizzarlo, per intersecarlo di diagonali o di linee di fuga. Preferisco l'orgoglio alla vanità. L'esistenza all'essenza, il Dies Irae all'Alleluja; preferisco il vino rosso allo champagne, e Rimbaud a Baudelaire. In una parola, o in cento, io "sono"Napoli e non Venezia. " A noi sembra proprio il ritratto di un Grande Inquieto.da La Civetta bimestrale del Circolo degli Inquieti