RICORDO DI BUFFARELLO

Un'occasione per fornire ai lettori, giovani e meno giovani, un panorama della situazione savonese, dei giornali e dei giornalisti in quegli anni.

di Luciano Angelini
 

Erano i primi anni '60. La redazione dell’Unità era in via Paleocapa, al numero 17, secondo piano, una stanzetta in fondo a destra nella sede della federazione provinciale del Pci. Nella stessa scala c’era l’albergo Milano. Il giornale aveva due edizioni, Roma e Milano. Il direttore del nord era Aniello Coppola. A Savona era il quotidiano più letto, davanti alla Stampa (senza cronache locali). Secolo XIX, Lavoro e Gazzetta del Popolo erano distanziati di diverse lunghezze. La domenica, grazie alla tenacia e all'impegno del compagno Olivieri e al lavoro delle sezioni del Pci, venivano diffuse quasi 10 mila copie con la vendita porta a porta (con la diffusione straordinaria veniva superato il milione di copie).

A Savona il capo della redazione (e di se stesso) era Fausto Buffarello, il “maestro”, fedele e puntuale tra i suoi scolari la mattina, giornalista di razza 24 ore su 24. Fausto ci ha lasciati una sabato mattina dei primi di novembre. Se n’è andato in punta di piedi, come sempre ha vissuto, circondato dall’effetto della moglie Magda e del figlio Massimo. Con lui se n’è andata un’altra fetta della storia di Savona. E quasi per un segno del destino poche ore prima era mancato Armando Magliotto, partigiano, sindacalista, dirigente del Pci, presidente della Regione, sindaco di Savona e infine anima del Campus di Legino, indimenticabile protagonista e testimone di una lunga stagione di lotte sindacali e politiche, simbolo di una genìa dispersa e irripetibile.

Ho conosciuto Fausto nell'autunno del ’63. Fin dal liceo coltivavo la passione (oltre che per il calcio) per il giornalismo, ma tutto si fermava a qualche resoconto dei tornei studenteschi. Quasi a sorpresa, l’occasione di cominciare un mestiere difficile quanto entusiasmante me la offrì Vittorio Martino, mio compagno di scuola in Ambrogio Aonzo, ora assicuratore affermato, padre di Luca, segretario cittadino dei Ds. Vittorio scriveva di sport, soprattutto del Savona Fbc, quello di capitan Persenda e del presidentissimo Stefano Del Buono per intenderci. Vittorio era in partenza per il servizio militare, cercava un sostituto, qualcuno che masticasse calcio e si accontentasse di quattro lire. “Se hai voglia di provarci, ti presento Buffarello. E’ lui il responsabile della pagina di Savona”.

 Ero emozionato quel pomeriggio di novembre mentre salivo, per la prima volta, le scale della Federazione del Pci. In un certo senso era come entrare in un chiesa. La nomenklatura era formata da personaggi di grande caratura e spessore politico, mostri sacri del Pci: Urbani, Aglietto, Noberasco, Amasio, Carossino, Magliotto, Rebuffello, Morachioli, Vigliecca. Il più giovane era Umberto Scardaoni, avviato ad una prestigiosa carriera politica. Entrai timoroso, in punta di piedi.

Quando Vittorio aprì la porta dell'ufficio che ospitava la redazione (due scrivanie, macchina da scrivere, telefono, armadio-archivio) fui quasi respinto da un muro di fumo. Fausto aveva già “bruciato” la decima sigaretta del secondo pacchetto della giornata. Via una, sotto l'altra. Presentazione, stretta di mano, niente fronzoli. “Stai un po’ a vedere. Adesso non ho tempo perché ho la fissa con Genova”. Solo qualche giorno dopo capii che la “fissa” era la telefonata giornaliera, sempre alla stessa ora, con una simpatica e paziente stenografa della sede di Genova. Era il modo più rapido per dettare servizi, notizie e notiziette, programmazioni cinematografiche (c'erano ancora Olimpia, Ars, Moderno e ovviamente l'Astor), movimento del porto. La velina con i film la forniva un omino che collaborava con Matteo Fiorito, all'epoca corrispondente della Stampa, il giro della capitaneria lo faceva per tutti Enrico Fabbri, corrispondenze per Lavoro e Corriere Mercantile, mitico presentatore, organizzatore di serate e di concorsi di bellezza. Il Secolo XIX si affidava al professor Carlo De Benedetti, direttore didattico, notista politico e critico d'arte, ma all'occorrenza anche cronista di nera e di sport. Ivo Pastorino, poi passato alla Stampa, era il giovane corrispondente della Gazzetta del Popolo (discrete vendite a Savona e Imperia) grazie ad una pagina di cronaca locale. Nicolò Siri, funzionario della Dc in via Cesare Battisti, scriveva sul Cittadino, quotidiano della Curia genovese all'epoca con una pagina di cronaca savonese, ma il suo punto di forza , una specie di passe-partout, era la corrispondenza della Rai, un biglietto da visita che gli apriva molte porte.

 Una pattuglia di cronisti eclettici, molto diversi tra loro, polivalenti, capaci di passare dal consiglio comunale al delitto, dallo sciopero alla partita di calcio, dalla mostra d'arte processo in Corte d'Assise. A quei tempi bisognava darsi da fare, saper scrivere di bianca e di nera, in fretta e senza fronzoli. La notizia prima di tutto. Pochi mezzi, telefonate in “erre stampa” (a carico del ricevente), fuori sacco (busta contenente articoli ed eventuali fotografie; consegna direttamente al treno con servizio postale, all'arrivo recapito immediato ad un fattorino del giornale). Telescrivente e telefoto arriveranno più tardi nel '69-70, ma solo al Secolo XIX, seguito a ruota dalla Stampa, quando il quotidiano genovese lancerà l'attacco al quotidiano dell'Avvocato. Telecopier, fax, telefonini, computer erano ancora lontani. Anni che mi sento di definire pionieristici. Di grandi emozioni, sempre a rincorrere. Una fucina, una palestra, una sfida. Un'esperienza esaltante.

Fausto Buffarello ha percorso molte stagioni del giornalismo savonese. Per oltre trent'anni è stato testimone e in qualche modo protagonista di una lunga fetta di storia della città. Testimone autorevole nel descrivere, analizzare, raccontare, commentare, con la sua capacità critica, quanto accadeva. Capace di percepire, mai in maniera settaria o faziosa, dal suo punto di osservazione, segnali, tendenze, anomalie. Capace di scoprire e denunciare scandali (caso Ghelardi, il fiorire degli abusi edilizi da Albissola a Borghetto, il caso Teardo). Attento osservatore della politica e del costume, dei fermenti sindacali e della società. “Bastava raccontargli due o tre cose e lui capiva tutto”, ricorda Umberto Scardaoni, una lunga frequentazione con Fausto, prima come giovane esponente del Pci, poi come segretario, sindaco e parlamentare.

Rapido, puntuale, scrittura secca, densa di pathos. Questo era Fausto Buffarello. L'ho sperimentato molte volte. Ricordo la mia prima sortita. A mattina inoltrata arriva in redazione la notizia di un delitto a Ceriale. Un pescatore immigrato ucciso a coltellate da un compagno di lavoro. Fausto è a scuola. Non so che fare. Di passaggio in Federazione c'è Ennio Elena, giornalista all'Unità di Milano, famoso per i suoi epigrammi, in vacanza con la famiglia nella sua Zinola. Ennio se ne accorge. “Ti accompagno io”, mi dice secco. Si va. Arriviamo sul posto. L'assassino è già in caserma ad Albenga, il morto è ancora in uno stanzone-dormitorio nella parte vecchia del paese, poco lontano dalla spiaggia. Sono già lì colleghi scafati, molto più esperti di me. Bene o male raccolgo dati e testimonianze, fotografo mentalmente l'ambiente del delitto. Un paio d'ore, poi si torna a Savona. Penso di avere tutto per scrivere il servizio. Ma quando mi trovo davanti alla macchina da scrivere vado in tilt. Una strage di fogli la dice lunga. Fausto capisce e viene in mio soccorso. “Facciamolo insieme questo pezzo. Raccontami cosa è successo, chi, dove, quando e perché”. Leggo gli appunti. Mi ascolta e subito comincia a battere sui tasti. Il rapido ticchettare fa da accompagnamento ad una lezione di giornalismo.

Fausto era un giornalista a tutto tondo. All'Unità lo sapevano bene e lo avrebbero voluto a tempo pieno a Milano. Invano. Lui non voleva staccarsi dal suo lavoro di insegnante ma soprattutto dalla sua famiglia. Non poteva però evitarsi le sostituzioni estive. E in una di queste si occupò con la consueta puntualità e maestria della strage di Bologna. Aveva uno stile asciutto, immediato. Rapido nello scrivere con le sue dita affusolate, l'indice e il medio macchiati dalla nicotina. Mi indicò con paziente severità la tortuosa strada per avviarmi alla professione. Aveva il senso della notizia, una straordinaria capacità di sintesi, avanti dieci anni rispetto agli stereotipi del giornalismo dell'epoca. Pochi fronzoli, nemico della retorica e dei luoghi comuni. Incisivo. Puntuale. Serio. Mai sopra le righe. Merce rara.

Non so dove tu sia andato, caro Fausto. Ma credo che se da quelle parti vorranno fare un buon giornale, non potranno fare a meno di te.

 Luciano Angelini