05 Dicembre 2005 LA STAMPA
IL CONFRONTO SINISTRA-CDL |
Luca Ricolfi DA un paio di settimane i più importanti quotidiani italiani sono impegnati in una disputa sul cosiddetto «programmismo», ossia sulla vocazione del centrosinistra a presentarsi all'elettorato con un programma fatto di troppi e troppo generici obiettivi, anziché con pochi impegni, chiari e verificabili. Il programmismo della sinistra è stato sostanzialmente difeso su Repubblica, mentre il modello «contratto con gli italiani» pare avere il sostegno convinto del Corriere della Sera. Come sempre da una decina d’anni, il punto sensibile della disputa è Berlusconi. Chi difende la chiarezza del contratto con gli italiani è accusato di confondere chiarezza e demagogia. Secondo Scalfari, ad esempio la demagogia è l’opposto della chiarezza, e se una promessa è impossibile non può essere chiara. Si potrebbe obiettare che, a rigor di logica, una promessa può benissimo essere chiara e al tempo stesso irrealizzabile: se ti prometto che correrò i 100 metri piani in 8 secondi tu sai benissimo che non ce la farò mai, ma io sono stato più che chiaro. Quindi il vero interrogativo è un altro: era veramente demagogico il contratto con gli italiani? Secondo me no, se pensiamo alle circostanze in cui siamo soliti usare la parola demagogico. La prima è quando un uomo politico cerca di «ottenere il pieno appoggio del popolo eccitandone i sentimenti più irrazionali» (dal Dizionario di Storia). Evidentemente non è il caso del contratto con gli italiani, che nella sua fredda logica ragionieristica cercava di persuadere le menti, non certo di eccitare gli animi. Bossi e Bertinotti sono spesso demagogici in questa accezione, Berlusconi lo è talvolta (quando si scaglia contro il pericolo comunista, ad esempio), ma non lo è certo quando indica gli obiettivi concreti che si propone di raggiungere. C’è una seconda circostanza in cui usiamo la parola demagogico, ed è quando un uomo politico promette qualcosa che sa di non poter mantenere, e lo fa con un interlocutore che non ha i mezzi per accorgersi dell’inganno. In altre parole il demagogo inganna il popolo, e per questo è detestabile. Ma era questo il caso di Berlusconi nel 2001? E sono stati semplicemente stupidi o ingenui gli italiani che lo hanno votato? Questa è l’opinione prevalente a sinistra, ma è in gran parte infondata. L’idea di onorare il contratto con gli italiani almeno all’80% (Berlusconi promise di mantenere almeno quattro promesse su cinque) non era affatto irrealistica con le informazioni che allora si avevano. Nella primavera del 2001 nemmeno il centrodestra sapeva che il «buco di bilancio» lasciato dal governo Amato non era di «soli» 12 miliardi di euro (stima dell’economista Brunetta) ma più o meno il doppio, come sappiamo oggi. La crisi economica mondiale era già in corso, ma nessuno allora - né a destra né a sinistra - poteva prevedere che il ristagno europeo sarebbe durato così a lungo. Ecco perché l’idea di poter mantenere quattro promesse su cinque non era così irrealistica. Ed ecco perché gli italiani che «si fidarono» di Berlusconi non sono un branco di stupidi o di sprovveduti. Semplicemente hanno perso una scommessa e - stando ai sondaggi - sanno oggi perfettamente di averla perduta, né si lasciano incantare dai trionfalistici proclami del premier. Dobbiamo concludere che quello è il modello giusto, e che anche la sinistra dovrebbe adottare il «contrattismo», rinunciando per sempre ai vizi del «programmismo»? Nemmeno per sogno, perché anche il contrattismo ha i suoi limiti. Sia il programmismo sia il contrattismo hanno tre gravi difetti, che tanti elettori avvertono chiaramente. Quando i politici ci chiedono il voto, noi non ci accontentiamo di sapere con precisione dove hanno intenzione di portare la nave. Quel che vogliamo conoscere dal timoniere, sia esso Prodi o Berlusconi, sono anche altre tre cose. Uno: chi dovrà remare di più? Due: qual è la rotta e quali sono i rischi della navigazione? Tre: siamo sicuri che l’equipaggio è unito, e che non ci sarà un ammutinamento? Fuor di metafora: chi dovrà fare sacrifici, dove taglieremo per raggiungere gli obiettivi, che cosa garantisce che una volta al governo la coalizione non sia paralizzata dalle sue divisioni interne. Queste tre cose non possono dircele né il programmismo, né il contrattismo. Eppure, in una democrazia piena, conoscere le risposte a questo genere di domande sarebbe un diritto fondamentale degli elettori. Se prometto di ridurre le aliquote Irpef, devo anche dire come intendo coprire questo costo: con altre tasse? ridimensionando lo stato sociale? portando il deficit pubblico oltre il tetto del 3%? Così, se prometto nuovi ammortizzatori sociali e meno tasse sul lavoro, devo anche indicare quali gruppi sociali sono destinati a pagare questo costo. E se affermo che i conti pubblici sono ormai fuori controllo, devo avere il coraggio di dire su chi dovrà pesare l'inevitabile manovra di aggiustamento. E così via per tutti gli obiettivi e le riforme che non sono a costo zero. Ecco perché fra programmismo e contrattismo preferisco una terza via, che proprio in questi giorni è stata indicata con grande lucidità da due economisti di opposta fede politica, Michele Salvati (Ds) e Renato Brunetta (Fi). Proprio per evitare che la sinistra cada nel semplicismo del contratto con gli italiani, Michele Salvati ha ammonito che «chiunque vinca deve avere pronto il primo Dpef (dunque il quadro macroeconomico in cui ci si intende muovere) nonché le leggi delega che contengono le riforme più importanti, più ostiche e che richiedono tempi lunghi per andare a effetto». A destra gli ha fatto eco Renato Brunetta, che a governo e opposizione ha chiesto di tradurre le rispettive proposte in disegni di legge, farli firmare dai principali leader di ogni coalizione, e infine depositarli alle Camere «indicando anche un ordine di priorità in cui si impegnano ad approvarle nella prossima legislatura». Un approccio del genere non impedirebbe di andare una sera in tv e proporre una piccola lista di obiettivi chiari e controllabili, ma al tempo stesso garantirebbe a noi elettori il realismo e la solidità del contratto che ci viene sottoposto. Del resto è quel che già succede nella pubblicità, dove nessuno può magnificare un prodotto complesso senza aggiungere la fatidica avvertenza: «Prima dell’uso leggere attentamente il prospetto informativo». |