28 Novembre 2005 LA STAMPA
LA DOPPIA PARTITA |
Luigi La Spina LA partita della politica si complica perché, come al Totocalcio, il risultato non prevede solo due variabili, ma tre. Così, come i grandi allenatori che non si fanno prendere alla sprovvista da un improvviso cambio del gioco, i leader stanno modificando la tattica e, perfino, la formazione delle squadre. Gli elettori penseranno con il loro voto, la prossima primavera, di scegliere tra centrosinistra e centrodestra, tra Prodi e Berlusconi. Invece, la nuova legge elettorale potrebbe trasformare il verdetto degli italiani in una «X», con una diversa maggioranza tra Camera e Senato e, allora, darebbero il via, sia pure involontariamente, a quella «grande coalizione» che tutti giurano di non volere. Ma che, come è stato in Germania dove gli spergiuri sono stati numerosi, tutti, poi, sarebbero costretti a stipulare. Solo in questa prospettiva si possono capire le grandi manovre in corso nell’attuale maggioranza che anche ieri, con il discorso di Casini, hanno avuto un’ulteriore chiara conferma. Appare infatti curiosa l’inversione di clima, negli ultimi giorni, tra i due poli: il tradizionalmente litigioso centrosinistra sembra abbastanza stretto intorno al suo leader, Romano Prodi. Quello del centrodestra, invece, è costretto a subire il «no» degli alleati alla modifica della «par condicio», le allusioni maliziose sulle sue capacità di guida del governo, i sarcasmi sulla resurrezione della propaganda anticomunista. La sfida del presidente della Camera alla ricandidatura di Berlusconi a Palazzo Chigi non prevede, verosimilmente, che il leader dell’Udc riesca a ottenere più voti di quello di «Forza Italia» nella competizione elettorale. Anche perché le nuove norme di quella legge elettorale che dovrebbe essere approvata anche al Senato prevedono l’indicazione preventiva del capo della coalizione. Se spuntasse, invece, la «X» del pareggio nella maggioranza tra le due Camere o se la vittoria di Prodi risultasse, comunque, piuttosto risicata, un buon successo elettorale garantirebbe a Casini almeno una doppia chance: la successione di Berlusconi come leader del centrodestra o l’elezione alla presidenza della Repubblica. Le complicazioni, nella vita come nella politica, non sono mai isolate. Il futuro, infatti, non prevede solo la gara con le tre variabili di cui si è parlato prima. Ma l’esito della prima condizionerà un’altra partita collegata, quella per la nomina del Presidente della Repubblica. Il pareggio o quella vittoria che i cronisti sportivi amano definire «di misura» potrebbe sfociare in un grande scambio di favori bolognesi tra i due inquilini più importanti della Roma repubblicana, Prodi a Palazzo Chigi e Casini al Quirinale. Ecco perché il grande show mediatico e polemico sui programmi dei partiti e degli schieramenti non deve distrarre troppo l’attenzione dallo svolgimento della vera trama politica che si dipana tra le quinte. Sia le enciclopedie di buone intenzioni che amano stilare i leader del centrosinistra sia le più ridotte ma scoppiettanti promesse di Berlusconi contano poco. Il problema italiano non sta, infatti, nelle cose che sarebbe bello fare, ma in quelle che, ragionevolmente, si riusciranno a fare. Ancor prima che lo dicesse l’Economist, sapevamo che gli interessi più protetti, le corporazioni più agguerrite, le resistenze di chi deve tutelare le rendite di potere sono talmente forti in Italia che difficilmente un governo riesce a sconfiggerli. Solo un fortissimo mandato popolare, con una chiara investitura del leader dello schieramento vincente, tale da ridimensionare le pretese dei partiti che lo compongono, potrebbe consentire al capo del governo di riuscirci. Ma i sondaggi, alla luce della legge elettorale pseudoproporzionale che si sta approvando, non confortano queste speranze. Un risultato elettorale contraddittorio tra Camera e Senato o uno scarto di maggioranza non rassicurante in un ramo del Parlamento potrebbero dar luogo, allora, solo a due esiti: un breve governo tecnico che si incaricasse di indire una nuova consultazione politica o, appunto, la cosiddetta «grande coalizione». La prima strada, non potendo evidentemente contare su un accordo per cambiare ancora la legge elettorale, condurrebbe forse al nulla: il risultato del voto, a pochi mesi di distanza, resterebbe probabilmente immutato. La seconda soluzione lascia grandi dubbi sull’efficacia concreta di una così larga intesa tra schieramenti avversi. L’esempio tedesco, che sarà comunque interessante seguire nei suoi risultati pratici, non è facilmente importabile nella situazione italiana. L’effetto di isolare i gruppi più radicali di entrambi gli schieramenti potrebbe annullarsi in un sostanziale immobilismo governativo. Proprio il rischio maggiore che corre l’Italia in questo momento. La democrazia prevede che siano gli elettori a decidere. Ma in primavera, questa fondamentale regola potrebbe non bastare. |