Quote rosa in Senato.
IL PALAZZO DELLE DONNE INSULTATE
Secondo me non se ne ha idea. Non si ha la piu' pallida idea,
voglio dire, del clima in cui al Senato si e' svolta la discussione
sulle famose quote rosa, ossia le percentuali che dovrebbero tutelare la
presenza delle donne nelle nostre istituzioni rappresentative. Dice che
si tratti di un espediente umiliante, che porrebbe le donne allo stesso
livello di una specie protetta. Le donne come i panda, si deplora. Il
fatto è che oggi le quote sono, all'opposto, proprio lo strumento per
non trasformare le donne in panda.
Meglio, le donne italiane.
Perche' negli altri parlamenti la presenza femminile e' due, tre,
quattro volte maggiore. Perche' quanto a presenza femminile siamo, con
tutto il rispetto, dietro il Ruanda e il Burkina Faso. Le deputate, le
senatrici, lo sanno benissimo. E sanno anche che la nuova legge
elettorale togliendo all'elettore la possibilità di scegliere,
prevedendo una lista già confezionata dai partiti, con i candidati messi
in un ordine prestabilito dalle segreterie e che verranno eletti in
quell'ordine in base ai voti di lista, non concederà alle donne uno
spillo in piu' rispetto agli spazi odierni. Anzi, capace che gliene
toglie pure.
Perciò hanno condotto in aula una
battaglia che a me è parsa di altissima civiltà. Per
difendere oggi, nel Duemila, il diritto delle donne di stare in
parlamento, di rappresentare i bisogni, i valori, le culture, le
sensibilità dell'"altra meta' del cielo". E per questo sono state offese
fuori e dentro le istituzioni. Del fuori si sa. Si conoscono - ad
esempio - le dichiarazioni del ministro Giovanardi, il quale giura che
alle donne di casa sua di entrare in politica non gliene può importar di
meno (commento: dipende sempre dalla visione della politica che si è in
grado di offrire). Del dentro, di ciò che è accaduto in aula, si sa
meno. Personalmente ho cercato di ascoltare con attenzione non solo
fisica, logica, le parole delle mie colleghe al Senato. Ma ho cercato
anche, sicuramente senza riuscirci, di immedesimarmi nel loro stato
d'animo. Di capire, per quanto potevo, il senso e la portata della loro
battaglia. E sono rimasto soncertato, direi quasi sgomento, nel vedere
come, di fronte a loro, si poneva la questione della parità uomo-donna
oggi, nell'Europa industriale, nell'era dell'informatica, dopo decenni
di lotte per i diritti civili.
Le donne parlavano e dai banchi della
maggioranza ricevevano sberleffi, dileggi, gesti, suoni
irriverenti. Esse cercavano allora di fronteggiare la difficoltà di
farsi sentire alzando la voce; e la voce diventava naturalmente più
acuta, talora urlante, e le parole fluivano con minore tranquillità
emotiva. Ma questa diventava un'ulteriore ragione per essere prese in
giro, per ricevere inviti sfottenti a darsi una calmata, a non
arrabbiarsi ché tanto le avrebbero confermate tutte nella prossima
legislatura. E nel frattempo roteavano nel chiasso le battute più
volgari, con il consueto repertorio di similitudini, un campionario
vasto, dalla vacca alla gallina. Invano chi cercasse tutto ciò nei
resoconti stenografici potrebbe trovarlo, perché questo era purtroppo
non il singolo urlo, ma il "rumore di fondo" della discussione.
Bisognava starci, e purtroppo la cronaca parlamentare non può raccontare
questi straordinari pezzi di vita collettiva da quando si è ridotta a
pura sequenza di interviste fuori dall'aula.
Pero' ottime tracce nei resoconti
stenografici si trovano lo stesso. Si trova la predica sulla
eguaglianza che è più importante della parita'. E l'eguaglianza e'
sociale, e mettere in testa il problema delle donne anziché quello dei
poveri significa fare una battaglia d'élite, restare vittime di
ambizioni e "frustrazioni piccolo-borghesi". Osservazione acuta e
folgorante, quest'ultima, che ha meritato all'autore vivi complimenti e
pacche sulle spalle da parte delle decine di senatori operai e contadini
di Forza Italia scesi all'uopo in festa dai loro scranni. Si trova
anche, nei resoconti, l'invito ripetuto a condurre la discussione
secondo ragione anziché cedendo all'emotività, perche' - come e' noto -
le donne sono tutto cuore e sesto senso ma di ragione ne possiedono
pochina. E campeggia ancora, negli stessi resoconti, l'obiezione che se
si fanno le quote per le donne poi bisognerà farle per tutte le altre
"categorie". Non prevede forse la Costituzione eguaglianza anche per le
religioni? E allora perché non stabilire quote pure per gli ebrei, i
musulmani e i testimoni di Geova? E non c'è poi -lo dice sempre la
Costituzione, no?- anche un problema di eguaglianza tra le lingue e le
razze? E allora perché non proteggere pure le minoranze greche o
albanesi? Anzi, care donne, sapete che c'è? Che se si dovesse seguire
questa vostra fisima delle quote si tornerebbe alla Camera dei fasci e
delle Corporazioni. Ovvero, la cultura della pari dignità femminile come
possibile anticamera del fascismo.
Stiamo parlando di esempi veri,
naturalmente. Come è un esempio vero il riferimento alla
cultura di evasione (testuale) quale germe di queste folli,
incomprensibili rivendicazioni. E d'altronde, che "sostanza"
(contrapposta a evasione) può mai esservi nella cultura delle donne
visto che anche i diritti di eguaglianza sono stati loro dati da uomini,
sia pure uomini grandi come Terracini, Togliatti, De Gasperi, Saragat,
Ruini, e non sono stati loro certamente dati (di nuovo testuale) dal
"caporalato del femminismo"?
Si badi bene. Se la fretta della maggioranza di approvare la legge
elettorale non avesse consigliato ai senatori governativi di parlare il
meno possibile, avremmo sentito ben altro che queste perle, venute
comunque da persone di studi e "moderate". E se i vari gruppi
parlamentari di minoranza non avessero ogni tanto chiesto rumorosamente
un minimo rispetto per le protagoniste del dibattito, ben altro si
sarebbe trovato a verbale.
Ma tanto e' bastato. E'
bastato per farci ritrovare con angoscia, nella "Camera alta", l'Italia
di mezzo secolo fa, che almeno alle donne cedeva il passo e non
rivolgeva il turpiloquio. Davvero è tutto frutto della (rancida) paura
dei maschi della maggioranza di perdere posti in parlamento, sommando
sconfitta elettorale e quote rosa? Certo, è una spiegazione che ci può
stare. Ma che non è sufficiente. Il fatto è che il parlamento, messo
davanti a una ovvietà culturale, o meglio, a quella che è considerata
un'ovvietà culturale in tutto il mondo progredito, ci ha restituito
un'Italia che non conoscevamo. Retriva, volgare, maschilista. Che fa
pendant con gli attacchi che alle donne giungono oggi da ogni luogo di
potere. Un salto all'indietro, quasi fossimo montati su una di quelle
macchine del tempo escogitate in tante vignette da Archimede Pitagorico
per reimmergerci in atmosfere da goliardia presessantottina.
In questo clima, in questa temperie
da Italia retrodatata, hanno alzato la loro voce le parlamentari
dell'opposizione (le altre, numericamente ancora più esigue, hanno
taciuto). Le osservavo mentre addosso a loro arrivavano gli insulti e le
battute e, con incredulità crescente, provavo per loro l'ammirazione che
si prova nei film vedendo i deboli che difendono le proprie cause. A
loro va reso oggi il merito di avere saputo affrontare e subire una
umiliazione personale e collettiva per difendere non solo le donne ma
l'Italia civile.
Nando Dalla Chiesa (l'Unità 2/12/05)