[ Progetto SAVONADOMANI ® ] La nostra proposta vuole essere uno stimolo: se Savona vuole davvero configurarsi come “porta del Nord-Ovest”, non credo che i cittadini possano accontentarsi di esserne semplicemente gli uscieri !
di Giuseppe Antonio OZENDA |
Il dibattito in corso in questo periodo circa le prospettive di Savona e provincia mi induce a partecipare attivamente, con la passione di cittadino cinquantenne disincantato ma non assopito.
Non avendo famiglia, da anni occupo il mio tempo come Consulente per il progetto di Sistemi Informativi Aziendali ( con studio in Savona ) e come partner di una società per la tutela e la riqualificazione ambientale ( con sede in Roma ). Ma nel tempo libero, magari mentre corro a piedi o in bicicletta in qualche bosco o nuoto nello specchio di mare davanti al “Malpasso” ( tra Noli e Varigotti ), cerco di riflettere ( possibilmente senza deformazioni professionali ) sulla realtà che mi circonda e sulla situazione della città dove sono nato e di cui ( anche se spesso ne sono stato lontano ) non ignoro la situazione di profonda crisi economica e soprattutto socio-culturale.
Mi pare che di fronte alla crisi nella nostra comunità emergano due anime, rappresentate da chi si sforza di guardare comunque al futuro e da chi invece preferisce godersi passivamente il declino; ma credo che nella zona esistano intelligenze illuminate e potenzialità economiche ancora da esplorare e che, attivando le risorse intellettuali ed imprenditoriali ancora disponibili nella comunità locale, forse sia possibile perseguire nuovi obiettivi di crescita culturale e redditività ( infatti, nonostante tutto, varie attività oggi tentano di sopravvivere, annaspando alla ricerca di nuove prospettive ).
Considero però inutile qualunque critica se, in città gestite come statici coacervi di feudi privati e con gruppi dirigenti ridotti a governare la mediocrità, non si individua quella che per me è la causa principale dei problemi: non la difficoltà di scegliere rappresentanti più o meno credibili ( troppo spesso espressione di effimeri “cartelli” elettorali ), ma la mancanza di un progetto, condiviso da tutta la comunità, per il proprio sviluppo socio-economico ( di cui P.U.C., P.T.C. e altri documenti simili siano solo la traduzione normativa ), possibilmente non ispirato da ideologismi datati ma da una progettualità innovativa e lungimirante, con un orizzonte temporale di medio-lungo periodo e quindi estraneo a logiche elettoralistiche o di rapida redditività.
Perciò, disponendo di qualche competenza tecnica ( grazie agli studi di Ingegneria ), di una modica quantità ( per uso personale ) di cultura generale, di un pizzico di creatività e di presunzione quanto basta, non volendo limitarmi soltanto alla critica accidiosa o alla formulazione di domande retoriche ho voluto provare ad analizzare alcune possibili nuove opportunità per lo sviluppo dell’area savonese, cercando qualche idea originale che potesse permettere di scoprire nuove strade da percorrere fruttuosamente nei prossimi 25-30 anni.
Ho cercato di considerare quali siano le risorse locali peculiari ancora da valorizzare pienamente, tentando di non essere condizionato da presunte “vocazioni” o da abitudini storiche: mi sono anche chiesto se lo sviluppo di un territorio debba derivare da un’unica attività polarizzante o da una congerie di attività disparate e magari in conflitto fra loro.
Personalmente ritengo indispensabile coordinare attività economiche e culturali di una provincia osservando risorse disponibili e potenzialità di sviluppo in una visione sinottica, alla luce di un principio ispiratore unificante che permetta di interpretare con spirito innovativo le tendenze più attuali.
Ma come ?
Il desiderio di garantire una buona qualità di vita ai cittadini comporta inevitabilmente la necessità di confrontarsi col “mercato globale” che però, essendo ormai affollato da molteplici offerte in ogni campo, permette di distinguersi solo se si evidenziano le caratteristiche di unicità di una comunità.
Servono perciò idee nuove per immaginare, con una visione ampia, uno o più “attrattori” originali che caratterizzino la nostra zona e, generando attività ad alto valore aggiunto, copioso contenuto culturale e basso impatto ambientale, proiettino la provincia di Savona verso il mercato internazionale.
Esiste, per esempio, a Savona una “cosa” chiamata Priamàr, un piccolo promontorio affacciato sul mare luogo del più antico insediamento ( preistorico ! ) della comunità savonese ma anche, per estensione, la fortezza ad esso sovrapposta dai genovesi nel ‘500 come una specie di camicia di forza sulla città.
Questo sistema di tre componenti ( collina rocciosa, città antica e fortezza, oggi tra loro fuse indissolubilmente ), custodito gelosamente come una reliquia ambivalente del passato, nonostante gli utilizzi più recenti è tuttora un “oggetto” non ben definito: è noto quale sia il valore simbolico di questo oggetto per i savonesi, ma insuperabili ostacoli psicologici hanno finora impedito di scoprirne la valenza di motore socio-economico, non accorgendosi che il culto del passato non garantisce il futuro.
Anni addietro, spinto dal desiderio di contribuire alla riqualificazione di Priamàr ( per superare il suo stato di improduttività, la sua condizione di isolamento fisico e psicologico, la visione settoriale di precedenti proposte di riuso, l’indecisione della cittadinanza e dei suoi rappresentanti ) avevo ideato un progetto dettagliato per la sua rivalutazione, ma poi immaginando quel sito singolare come vetrina della civiltà savonese ( senza alcun riferimento a destinazioni commerciali ) ho colto il pretesto per una proposta decisamente più ampia: la conoscenza approfondita e la passione civile mi hanno suggerito di cercare nel luogo d’origine della nostra comunità anche un’occasione per la soluzione dei problemi attuali.
Come esempio ( forse più efficace di qualche enfatica manifestazione celebrativa ) di attualizzazione dell’eredità culturale del passato, perchè non immaginare che da Priamàr s’irradino gli stimoli indispensabili ad avviare un generale processo di risveglio socio-culturale ed economico della comunità savonese?
Infatti, osservando il problema con una visione sistemica, mi è parsa evidente la stretta relazione fra il contesto ( fisico e socio-culturale ) e Priamàr; identificando perciò i soggetti ad esso logicamente correlabili ( città, porto, Università, territorio ) e coordinandoli in un modello a rete, ne ho ipotizzato la valorizzazione reciproca nel perseguimento di un comune obiettivo: il benessere della comunità locale.
Per questo mi sono posto qualche domanda. È ancora possibile consentire ai giovani di immaginare con entusiasmo il proprio futuro? Coinvolgere imprenditori, operatori culturali, Università, istituzioni in un processo concordato di progettazione? Integrare risorse locali e funzioni con una visione sistemica? Governare con fermezza, lungimiranza e senso della comunità la realizzazione di quanto deciso?
Insomma, è possibile garantire ancora una buona qualità di vita ai savonesi ?
L’obiettivo è certamente ambizioso, ma raggiungibile.
Mi sono quindi chiesto come correlare le varie componenti della realtà savonese e le risorse attualmente disponibili ( natura, storia ed intelligenza ) per tentare di tradurre le idee prima presentate in modalità concrete di realizzazione nel nostro contesto e raggiungere lo scopo: favorire l’emersione dalla situazione di crisi attuale, senza inseguire modelli estranei alla cultura locale oppure oggi improponibili, proponendo di affiancare ed integrare le attività già esistenti nei settori tradizionali ( agricoltura, industria e commercio ) con altre ancora da inventare.
Ricerche di mercato e statistiche dicono che è sempre più evidente nella società moderna il desiderio di uno stile di vita equilibrato che, tutelando innanzitutto la salute psicofisica dell’individuo, stimoli e permetta di esprimere attraverso il lavoro la creatività della persona in un ambiente naturale armonico; l’obiettivo, nuovo ma in fondo eterno, pare essere la ricerca del “benessere” complessivo ( wellness ).
Ma uno dei problemi oggi più evidenti nel mondo è la degradazione ambientale. Per molti, tuttavia, “tutelare l’ambiente” significa segregare aree privilegiate del pianeta dove condurre mandrie di turisti votati alla contemplazione estatica del paesaggio oppure proibire attività umane in omaggio ad un ottuso conservazionismo; per altri la tutela ambientale è un’attività separata se non addirittura in contrasto con le attività produttive ( principalmente industriali, ritenute le uniche in grado di assicurare il benessere economico ), riducibile tutt’al più a modalità di compensazione dell’inquinamento.
Per me, invece, il rispetto per la natura significa piuttosto cercare di vivere confortevolmente utilizzando le risorse disponibili, ma consapevoli della propria posizione non privilegiata nell’ecosistema ed imparando a minimizzare la propria “impronta ecologica”.
Proprio avendo considerato quanto detto ho concepito un’idea-guida, quella dell’esigenza impellente di rieducazione alla naturalità ( intendendo con “naturalità” non la rusticità ma il corretto rapporto uomo-natura ), cioè l’aiuto nella ricerca dell’equilibrio dell’individuo con se stesso, con gli altri esseri viventi e con l’ambiente ( che non è la natura ma è la porzione di natura che interagisce con l’osservatore ).
Questo obiettivo è raggiungibile se si decide di usufruire del patrimonio di un territorio ( risultato dell’integrazione fra natura, persone, idee, storia, governance, ecc. ) valorizzandolo senza consumarlo, secondo una visione moderna del rapporto uomo-natura.
Il concetto ( quasi uno slogan ) mi ha portato ad ipotizzare una cornice ideale e metodologica per progettare, in un’ottica di sistema, attività in vari settori e per riorganizzare quelle già esistenti; sottolineo come tutto ciò si accordi ( ed in modo non meramente formale ) con principi e regole di AGENDA 21 ( un protocollo di gestione del rapporto uomo-natura molto attuale ) e con le conclusioni della conferenza di Lisbona ( 2000 ), avendo però inteso i temi relativi non come onirici argomenti per conferenze ma come stimoli progettuali per la realtà locale.
Osservando quindi come il nostro territorio abbia un aspetto naturale ( cielo, mare, terra ) ancora pregevole ed offra potenzialità di sviluppo ancora da indagare, il “motore” per la rivitalizzazione di tutta l’area savonese mi è parsa l’idea originale della Scuola di Naturalità.
Con questa espressione non intendo né un’istituzione didattica né una confraternita di seguaci di filosofie new age né tanto meno un edificio, ma una scuola di pensiero, cioè uno “spazio” concettuale non solo di elaborazione e comunicazione di idee ma soprattutto operativo, in grado di generare un modello di gestione delle risorse locali ( ispirato ai principi di integrazione naturalistica ) che rappresenti il tentativo concreto di armonizzare stimoli culturali, attività produttive ( industriali, agricole, di servizio ) e tutela ambientale ( suggerendo anche un’eccezionale leva di marketing territoriale ).
Molto spesso le attività di valorizzazione ambientale vengono intese con finalità essenzialmente turistiche o di ricerca scientifica, dimenticando come la possibilità di operare in armonia con i cicli naturali ( interpretando le variabili locali come fattori di vantaggio competitivo ) costituisca oggi una attraente e forse ormai imprescindibile opportunità per la produzione di reddito con attività di qualunque tipo ( non soltanto il pretesto per ottenere qualche cosiddetta “certificazione ambientale”, di solito puramente formale ).
Produzione di energia da fonti rinnovabili e di idrogeno come vettore energetico, diminuzione dei consumi domestici anche attraverso la bioedilizia, riduzione e riciclaggio di rifiuti, coltivazione di vegetali con tecniche biodinamiche, tutela preventiva della salute e riabilitazione ( attraverso corretta nutrizione ed esercizio fisico ) sono attività ottimali per il nostro territorio, grazie alle particolari condizioni geografiche ( mare profondo, colline a ridosso della costa, vento costante, insolazione annuale elevata ) ed infrastrutturali ( attrezzature ricettive e sanitarie, comunicazioni, ecc. ) della zona; questo è il modo di assicurare non solo redditività, ma più in generale una buona qualità della vita innanzitutto ai residenti.
Sperimentare localmente l’applicabilità di concetti e programmi ( elaborati anche con l’aiuto della locale sede universitaria ), insegnarne i principi e divulgarne i risultati potrà costituire un formidabile attrattore imprenditoriale e culturale, ma potrà anche generare nuove opportunità turistiche.
Infatti l’attrazione per una città ed un territorio non può derivare solo dalla contemplazione passiva delle sue bellezze naturali: anche attività industriali innovative ad alta redditività ( che non condizionino l’ambiente e non ne impediscano usi diversi in futuro ), se dimostrano la possibilità di coesistenza fra settori economici diversi, diventano motivi di attrazione ( ed esempi ripetibili ).
Ma uno degli elementi di maggiore fascino per un territorio è costituito dalla qualità della vita della comunità locale, che è un’espressione della sua identità: questa, insieme agli aspetti artistici, che ne costituiscono il momento di sintesi comunicativa, può essere valorizzata documentando come il rapporto uomo-natura si è realizzato nel nostro territorio ( frontiera fra mare e terra ) nel corso dei secoli.
Dallo sviluppo di tutte queste ed altre idee, dopo anni di “studio matto e disperatissimo” e meditazioni sull'argomento, ho allora iniziato ad elaborare un progetto-cornice, denominato SAVONADOMANI, che si articola in una trentina di progetti di dettaglio; questi spaziano dalla ricerca alla produzione, dal potenziamento delle infrastrutture alle strategie di comunicazione, dalla valorizzazione dell’identità alla sua espressione nelle arti e nello spettacolo, fornendo una cospicua serie di proposte operative ai potenziali “attori” ( industriali, politici, operatori culturali, ecc. ).
Il progetto completo vuole insomma costituire la proposta di un nuovo modello di sviluppo socio-culturale ed economico per la provincia di Savona ( coordinando le risorse per l’uso “sostenibile” del territorio ), in grado di connotarne una nuova identità e di indurre opportunità di lavoro e crescita culturale.
La città di Savona, in particolare, se opportunamente ricondizionata, potrà costituire uno dei “poli” di tutto il progetto ed il relativo Centro Direzionale, tra l’altro, potrà essere localizzato in un preciso spazio della città: Priamàr.
E così sono ritornato idealmente al punto di partenza.
Il progetto, però, pur essendo in gestazione da molto tempo, non riusciva a nascere: durante l’estate del 2002, conoscendo i miei limiti culturali e metodologici, ho deciso di iniziare a parlarne con qualcuno.
Grazie ai miei primi preziosi interlocutori ( non colleghi ma amici, intellettualmente omogenei e professionalmente qualificati ), Cristina Biasi, naturalista e Rodolfo Fallucca, architetto, che costituiscono con me e poche altre persone il nucleo originario del gruppo di progetto ( il “gregge della polveriera” ), esso è stato rielaborato e ha assunto una struttura organica.
Abbiamo deciso a questo punto di condividere le nostre idee con altre persone.
Tenendo conto dell'ambiente in cui ci saremmo mossi e dei risultati che desideravamo ottenere, abbiamo scelto una opportuna strategia di comportamento: cercare il conforto di alcuni esperti e poi l’approvazione di operatori che, condividendo gli obiettivi finali, costituissero un valido gruppo di supporto intellettuale per la Pubblica Amministrazione e non ne andassero ad impetrare soltanto la condiscendente approvazione ma la ponessero di fronte ad un piano di lavoro realizzabile.
Abbiamo richiesto innanzitutto la valutazione di figure competenti, esperte e sensibili: la prima persona a cui ci siamo rivolti è stata il prof. Adalberto Vallega, docente di Geografia Economica nella facoltà di Architettura a Genova. A lui abbiamo sottoposto il nostro lavoro, sapendo che dalle sue competenze complessive sarebbe derivato un giudizio qualificato: la sua approvazione sia per i contenuti che per la metodologia del progetto ha costituito un potente incoraggiamento a proseguire.
Dopo aver interpellato numerosi personaggi del mondo della cultura e dell'imprenditoria savonese ( e, ovviamente, i dirigenti di Unione Industriali e C.C.I.A.A., associazioni di categoria, ecc. ), abbiamo iniziato insieme l’esame degli aspetti economico-finanziari dell'operazione e abbiamo proposto alla sede universitaria di Savona ( Economia turistica, Ingegneria Ambientale ) di studiare l'impatto socio-economico del nostro progetto.
Grazie al significativo aiuto del Presidente di S.P.E.S., Armando Magliotto, poco prima di Pasqua 2003 tutte le “persone informate dei fatti” fino ad allora sono state convocate presso il Polo Universitario savonese per essere aggiornate sullo stato del progetto e per esprimere il proprio parere.
Ci siamo rivolti anche a figure istituzionali ( tra cui i responsabili di Comune, Provincia e Regione ) per esplorarne la disponibilità, scegliendone con cura la sequenza ed utilizzando anche la conoscenza personale con molti di loro per farci ascoltare.
Abbiamo insomma cercato di consultare i responsabili di tutte le attività potenzialmente congruenti con lo spirito dell’operazione, che consideriamo utili per la realizzazione.
A tutti abbiamo chiesto una adeguata riservatezza, per non danneggiare lo sviluppo del progetto, e questo è il motivo del “pubblico silenzio” sulla vicenda, tuttavia già nota a molti.
Il passo finale sarà l'organizzazione di un convegno, nel corso del quale sarà presentato in dettaglio il progetto con tutte le sue implicazioni e sarà sollecitata la reazione della comunità. Mi si lasci dire, con un pizzico di legittimo orgoglio, che l’impressione suscitata finora negli interpellati è stata generalmente molto favorevole, nonostante qualche inevitabile perplessità. A tutti però chiediamo commenti e idee: sarà perciò gradita qualunque forma di collaborazione.
Per evitare equivoci, desidero precisare che non mendichiamo incarichi professionali, non copriamo alcun potentato economico in agguato né ci stiamo preparando per una carriera politica.
La nostra è piuttosto la proposta di normali cittadini ( forse solo un po’ più preparati e sensibili di altri, o forse irriducibili sognatori ) e mira ad aggregare attorno ad un progetto quanti finora si sono soltanto limitati a “mugugnare”, per suscitare un dibattito ancora più ampio ma che possa condurre finalmente ad una realizzazione soddisfacente per la comunità; ci auguriamo vivamente che altri vogliano unirsi a noi per condividere con entusiasmo e capacità professionali questa avventura, perché pensiamo che organi istituzionali ed associazioni varie ritroveranno significato soltanto se non si ridurranno ad essere file di poltrone da occupare oppure arene per scontri fra tifoserie, ma se serviranno ancora ai cittadini per immaginare e progettare con entusiasmo il proprio futuro.
Il nostro è un atto politico, quindi, ma nel senso più puro ( etimologico ) del termine.
Ma è soprattutto uno spunto per un nuovo processo di elaborazione filosofica e politica: probabilmente l’equilibrio dinamico uomo-natura è un traguardo che rappresenta la “nuova frontiera” per la società mondiale nei prossimi anni, prospettando problemi intellettuali ed applicativi analoghi a quelli posti dopo la rivoluzione francese e la rivoluzione industriale.
La vera sfida sarà costituita dalla capacità di governare, ispirati da idee innovative, il coordinamento di diversi settori operativi.
Mi rendo conto di quali difficoltà siano prevedibili per la realizzazione di un tale progetto.
In particolare nella nostra zona sarà difficile, ma indispensabile, superare l’individualismo esasperato ( che contrasta con la percezione del senso di “comunità” ) ed il terrore dell’innovazione tipico di molti indigeni ( di qualunque condizione sociale ) che, imprigionati purtroppo nella melma della quotidianità, sono pronti a stigmatizzare le marachelle dei vari amministratori in carica o ad impegnarsi in labirintiche dissertazioni politologiche ma sono purtroppo capaci di organizzarsi per proporre e perseguire soluzioni originali dei problemi solo quando questi riguardino strettamente l’ambito personale.
Mi chiedo perché molti imprenditori, operatori culturali e politici locali continuino a ritenere che mentalità e percorsi operativi antiquati siano tuttora validi, senza accorgersi che il loro modo di procedere conduce inevitabilmente alla dissoluzione della comunità.
Ma mi chiedo anche perché la presenza ( nonostante l’immobilismo politico e la mummificazione ideologica ) di intelligenza, competenza tecnica, cultura, sensibilità e passione civile in persone che hanno capacità operative ed evidentemente hanno a cuore le sorti della comunità, non le induca ad aggregare le potenzialità, non solo per criticare le azioni di temporanei decisori ( quanto mai transitori ) ma piuttosto per definire gli obiettivi desiderati ed impegnarsi per raggiungerli.
La nostra proposta vuole essere uno stimolo: se Savona vuole davvero configurarsi come “porta del Nord-Ovest”, non credo che i cittadini possano accontentarsi di esserne semplicemente gli uscieri !