GLI IMMATURI E IL
QUIRINALE LA STAMPA
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Augusto
Minzolini
FORSE non esiste Paese al mondo che abbia un sistema politico
governato dalle regole della gerontocrazia come l’Italia. Se i
candidati a guidare il Paese nel prossimo quinquennio hanno
superato entrambi l’età pensionabile dei 65 anni (nel 2006
Silvio Berlusconi ne avrà 69 e Romano Prodi 66), il favorito di
questi giorni per il Quirinale, cioè Carlo Azeglio Ciampi, se
fosse riconfermato comincerebbe il suo secondo settennato alla
soglia degli 85. Nel Bel Paese, è un dato di fatto, gli anziani
sono al potere: ecco perché non bisogna scandalizzarsi poi
troppo se negli Usa a poco più di trent’anni Bill Gates era già
diventato l’uomo più ricco del mondo, mentre alla stessa età i
suoi coetanei italiani vivono per buona parte ancora a casa dei
genitori.
In fondo i meccanismi della politica rispecchiano quelli della
società. Si entra nel mondo del lavoro a quasi quarant’anni e si
esce dalla politica a settant’anni suonati. Ma colpisce che
nessuno si ponga il problema, che nessuno avverta quanto sia
singolare l’originalità italiana rispetto alle regole di
selezione degli establishment politici degli altri Paesi.
Naturalmente non sono in discussione le provate capacità del
Presidente uscente o l’abilità con la quale ha esercitato in
questi sette anni il suo ruolo. Ma per i protagonisti della
nostra politica tutto rientra nella normalità, quando invece
l’indifferenza alle questioni anagrafiche è il sintomo di una
patologia del nostro sistema. Una patologia che nasce
dall’impotenza delle nostre seconde file e, per alcuni versi,
dalla strumentalità con cui ci si rapporta a simili problemi.
Ieri, ad esempio, nell’incontro con il presidente della Camera,
Pierferdinando Casini, Gianfranco Fini si è vantato di aver
lanciato la candidatura di Ciampi per il Quirinale: «Hai visto
che bella mossa - ha spiegato -, mi mette in sintonia con il
Paese». Ora immaginare che uno dei candidati del centro-destra a
Palazzo Chigi, che rispetto al Cavaliere può vantare il fatto di
appartenere ad un’altra classe di età, quella dei cinquantenni,
invece di candidare per il Quirinale un esponente della
generazione precedente, cioè, appunto, quella dei Prodi, dei
Berlusconi e degli Amato, preferisca indicare il nome di un uomo
di valore come Ciampi, ma che ha trent’anni più di lui, beh,
francamente, lascia un po’ perplessi. E’ come mantenere un tappo
sulla propria testa, un tappo che mortifica le proprie
ambizioni. E tutto, per giunta, con un motivo squisitamente
tattico: è evidente, infatti, che se uno dei due schieramenti
vincesse con un certo margine penserebbe per il Quirinale ad un
proprio candidato, non fosse altro che per fortificare gli
equilibri interni dato l’affollamento di leader, reali o
supposti tali: Berlusconi, Fini e Casini nel centro-destra;
Prodi, Fassino, Rutelli, Amato, D’Alema e altri ancora nel
centro-sinistra. Nei fatti, la conferma di Ciampi potrebbe venir
fuori solo nel caso di un pareggio tra i due schieramenti, come
scelta propedeutica alla nascita di un governo di Grande
Coalizione. Ipotesi complessa, si sa. Ma questo a coloro che
agitano il nome di Ciampi, importa poco. Solo che Fini e gli
altri non si accorgono che lanciando la candidatura di Ciampi
per il Quirinale e accettando di fatto la regola per cui il dato
anagrafico non è fondamentale nella scelta delle leadership del
nostro Paese, ammettono, sia pure indirettamente, che a
cinquantanni si è troppo immaturi, pardon troppo giovani, per
puntare a Palazzo Chigi. Del resto lo conferma indirettamente
anche Giulio Andreotti in uno spot pubblicitario. Quando Valeria
Marini lo giudica trendy e uomo del futuro, la sfinge della
politica italiana risponde con un ammiccante: «ennò...». |
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