15 Novembre 2005 LA
STAMPA
HA SOLLEVATO IL PROBLEMA DURANTE UN
CONVEGNO DELLA CARITAS, OSSERVANDO CHE I DEPOSITI BANCARI SONO
IL DOPPIO RISPETTO ALLE ALTRE PROVINCE
Il vescovo ai savonesi: non lasciate
i soldi in banca
«Vanno
impiegati in meccanismi virtuosi»
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SAVONA
MENO di una settimana fa il Centro d’ascolto della Caritas aveva
fatto una denuncia allarmante: a Savona i poveri sono
quadruplicati. Ieri, invece, il vescovo ha lanciato strali
contro i savonesi, perchè lasciano troppi soldi in banca. Non è
che da qualcuno ha fallito clamorosamente le valutazioni: il
fatto è che la «forbice» tra ricchi e poveri si allarga sempre
più, e che questa disuguaglianza sta raggiungendo livelli
insopportabili.
Che i savonesi, non solo quelli del capoluogo, ben’inteso, siano
allergici agli investimento operativi e preferiscano far
fruttare i loro risparmi al riparo dei forzieri è storia
risaputa, anzi cronica. E poi basta guardarsi attorno: se in
città non fanno altro che essere aperti nuovi sportelli bancari
una ragione dovrà pur esserci. E’ segno che di danaro ce n’è
molto in circolazione, però non viene utilizzato come si
dovrebbe. Non ci sono più le generazioni di fine Ottocento-Primi
Novecento che investivano i loro capitali in opere pubbliche e
nuove aziende. Non molti forse ne sono a conoscenza, ma è stato
attraverso prestiti pubblici o la nascita di società tra
imprenditori locali che a Savona sono arrivati i primi telefoni
e sono state realizzate le Funivie. E poi è sufficiente uno
sguardo alla toponomastica, a strade e piazze dedicate a
imprenditori del passato. Che lasceranno alle future generazioni
i savonesi d’oggi, quelli che hanno radici familiari negli
imprenditori di ieri: soltanto fondi bancari ed enormi patrimoni
immobiliari.
«Savona ha mediamente il doppio dei depositi bancari rispetto
alle altre province», tuona il vescovo monsignor Domenico
Calcagno. «Ciò significa - sottolinea il presule - che la
disponibilità economica c'è, ma che troppo spesso con i soldi
non vengono messi in moto meccanismi virtuosi per aiutare le
persone in difficoltà». Mettere in movimento il volano
dell’economia può servire a creare lavoro, dunque a liberare
molta gente dalla miseria.
Da intenditore di faccende bancarie, il vescovo Domenico
Calcagno ha puntato il dito, durante il convegno per il
ventennale del Centro ascolto diocesano, sull'inerzia economica
del territorio, riscontrabile anche sul fronte della lotta
all'indigenza. Ai dati sulla povertà locale snocciolati
dall'operatore della Caritas, Alessandro Barabino, il presule ne
ha aggiunto due di cui ha personale esperienza: «In Vescovato ho
avuto in questi tre anni e mezzo circa duemila passaggi di
persone e metà di questi avevano a che fare con richieste di
aiuto economico. E su almeno settemila telefonate ricevute molte
consistevano nella presentazione di situazioni di disagio».
Insomma, neanche le sacre stanze dell'Episcopio sono un'isola
protetta, e in più di un caso monsignor Calcagno è intervenuto
personalmente per aiutare bisognosi.
La filosofia del vescovo è, comunque, quella di superare la
logica dell'assistenzialismo. «Se da un lato provo contentezza
per il buon funzionamento del Centro ascolto - ha detto durante
il convegno in Seminario - dall'altro lato mi assale l'amarezza,
perché le tante richieste di aiuto sono il segno di una
sconfitta della famiglia, della società e del mondo del lavoro.
Se uno arriva al fondo della scala vuol dire che sono mancati a
monte i sostegni sociali. Però mi chiedo, come è stato detto
dieci anni fa al convegno ecclesiale di Palermo, se sia giusto
che la chiesa faccia l'infermiera della società o piuttosto non
cerchi di andare alla radice dei problemi».
«La nostra vera povertà - ha concluso il presule dopo la
"tirata" sui depositi bancari a Savona - è che non siamo capaci
di equilibrare le risorse che abbiamo. E quando l'uomo crea
situazioni di disumanità, vuol dire che qualcuno non si è
comportato in modo ragionevole».
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