I libri di Pansa: Soleva ripetere il partigiano Bazzino “Gli uomini sono quello che sono” Non angeli, certo. Gente che ha sofferto e lottato come oggi non riusciamo più ad immaginare. di Sergio Giuliani |
In memoria del partigiano Pietro Morachioli (“Furetto”), con la speranza che torni presto primavera e che rinascano le foglie cadute ora dai saldi tronchi.
Un invito a discutere finalmente, senza dover andare in maschera, degli eventi degli ultimi 20 mesi della seconda guerra mondiale?
Prima di rispondere con lo sdegno ( e a me, spesso, certe pagine hanno proprio fatto arrabbiare!) proviamo a fissare alcune coordinate per intenderci, coordinate storiche indispensabili
a) Galli della Loggia ha parlato, giustamente,di “morte della patria” nei quaranta giorni dal 25 luglio all’8 settembre. L'Italia era al collasso:le forze antifasciste poche e disperse, la popolazione stremata dalle difficoltà e dalle paure quotidiane e i giovani praticamente senza ideali e senza parole: vent’anni di totalitarismo non erano passati invano. Pochi i politici, gli intellettuali capaci sia di veder chiaro in una situazione confusissima e nel vuoto assoluto di potere centrale, sia di parlare al popolo e di ricondurlo ad una sensata riflessione che non fosse soltanto la sterile rabbia o il “si salvi chi può”
Onore a chi, uscito di galera o rientrato dai fronti collassati, con coraggio si diede all’azione, sempre di pochi, rischiosissima, ricercando con grande impegno l’accordo tra forze politiche “classiche”, preesistenti al fascismo ed ibernatesi e forze neonate a cui c’era da dar gambe e vigore.
b) A Savona si visse una particolare situazione: il contingente “San Marco”, agli ordini del principe Junio Valerio Borghese, da corpo specializzato in guerra subacquea, venne impiegato dai tedeschi occupanti nel lavoro “sporco” di rastrellamento dei partigiani di città e di montagna. Breve il percorso dalla città alla collina, facile la repressione di giovani sbandati che fuggivano per salvarsi e per non servire l’invasore ed i suoi tirapiedi. Nuto Revelli soleva dire che, quando gli si presentava un giovane, non gli faceva l’esame per sapere che patria avesse in mente: gli importava che fosse determinato a combattere contro un sistema politico e sociale che aveva sostituito, con l’arbitrio violento, il potere, in qualche modo legittimato, dello stato monarchico e che, per sopravvivere in una situazione che di giorno in giorno andava collassando, usava leggi di guerra e cieca repressione
E’ impensabile, quindi, aver attraversato la palude (e che palude!) senza schizzi di fango. E’ impensabile che tutti i giovani che accorrevano ad ingrossare le bande partigiane fossero perfettamente consapevoli dei valori civili che faticosamente (una patria era morta, ma ne nasceva, vigorosa,un’altra, anche se certi processi non sono mai istantanei né indolori, repubblicana e democratica) Sarebbe facile, alla luce di certi “fattacci” che Pansa (ma ci aveva già pensato la pubblicistica neofascista, ed è vanto della nostra Repubblica averle concesso sempre libertà di parola) un poco enfatizza (molti avvenuti proprio alle spalle di Savona, là dove la linea del fronte partigiano era vicinissima alle porte della città: ad Altare c’era il comando delle forze repressive) perché ricerca, da giornalista,l’effetto, rispondere che anche i morti fascisti vanno sul conto di chi ha cominciato ad applicare leggi di guerra anche contro la popolazione inerme e contro giovani e soldati sbandati, di chi ha ritenuto legittima la rappresaglia più feroce (dieci innocenti giustiziati per un fascista) e chiudere così per sempre la requisitoria.
Troppo facile! Non ci piace. Non è degno di quegli uomini che hanno indicato, col sacrificio e con l’impegno personale,la via per ricostituire una patria e per riavere la dignità perduta.
Parliamo di certi misfatti, di certe intemperanze, di certa cattiva violenza indotta spesso dalla durezza dei tempi e da una difficile e continua convivenza col rischio. Parliamo anche di impossibile scelta e di impossibile formazione di tante,tante persone non pratiche di costumi democratici perché erano stati loro negati convenuti a frotte nelle deboli, precarie e volontarie strutture delle bande partigiane che si trovarono ad affrontare compiti immani, di riorganizzazione, di limitazione dei danni, di approvvigionamento di se stessi e della popolazione, di salvaguardia di strutture civiche ed industriali e così via.
“Malgrado” certi eccessi,tutto ciò fu avviato a soluzione e non appaia cosa di poco conto.
Soleva ripetere il partigiano Bazzino “Gli uomini sono quello che sono”.
Non angeli, certo. Gente che ha sofferto e lottato come oggi non riusciamo più ad immaginare. Rispettiamo quindi il diritto del giornalista Pansa di ricercare ed elencare “fattacci” senza accendere diatribe che fanno il gioco di chi vorrebbe tanto gettare nero di seppia su pagine dolorose ed esaltanti, alle quali è legato il nostro rinascer democratici.
Parliamone! Fuor di retorica che nessuno digerisce più I demoni esistono solo per chi ne ha paura.
Sergio Giuliani